Page 2 - Opinione del 29-9-2012

II
GIUSTIZIA
II
Aproposito di Sallusti: ma dov’è la vera giustizia?
di
VALTER VECELLIO
he il direttore de
Il Giornale
Alessandro Sallusti finisca in
carcere per scontare la condanna in-
flitta in primo e secondo grado e
confermata dalla Cassazione, oppu-
re no, perché la sentenza viene con-
gelata, a questo punto è secondario.
Sallusti è stato condannato nella sua
qualità di direttore responsabile, per
omesso controllo: il giornale (al-
l’epoca dei fatti dirigeva
Libero
)
ha
pubblicato un articolo di “Dreyfuss”
alias Renato Farina, ritenuto diffa-
mante. Se la legge è essere uguale
per tutti, la è chiunque lo commetta,
cittadino normale o giornalista. C’è
tuttavia da chiedersi che giustizia
sia, una giustizia che impiega oltre
due anni per stabilire se una persona
è stata diffamata o no: dopo oltre
due anni aver ragione o torto lascia
il tempo che trova. Premesso tutto
questo, la pena dovrebbe essere
commisurata all’entità del reato, e
un anno e due mesi di carcere per
un articolo scritto da altri, pare dav-
vero eccessiva. Ora forse è un so-
spetto infondato, ma come ha detto
una volta Andreotti, a pensare male
si fa peccato, ma non si sbaglia. La
querela contro Sallusti è stata inten-
tata da un magistrato. Se fosse stata
promossa da un semplice cittadino
la condanna sarebbe stata così pe-
sante? In questo caso, ci si permette
di essere sospettosi anche rifacendosi
a una personale esperienza. Tra le
varie cose accadute a chi scrive, c’è
stata anche l’esperienza di direttore
responsabile del
Male
.
Qualcuno lo
ricorderà: era il settimanale satirico
che ha segnato un’epoca. In quei
mesi di direzione, ho collezionato
una trentina e più tra denunce e
querele, per i “reati” più strani: dalla
divulgazione di segreto militare per-
ché il settimanale aveva riprodotto
una cartina de La Maddalena repe-
rita alla Biblioteca Nazionale, a tutta
la gamma delle possibili diffamazio-
ni e oltraggi. Tutti i procedimenti si
sono risolti; meno uno. Una querela,
C
per un articolo che non avevo scritto
io, anche questo firmato con pseu-
donimo. Articolo pesante: si soste-
neva che una tale persona era un
pezzo di m...”, al punto che al suo
passare l’olfatto si accorgeva della
sua presenza. Quella persona ebbe
lo spirito di presentare querela con
ampia facoltà di prova, ed era evi-
dente che provare quell’affermazio-
ne non ci sarebbe riuscito nessuno.
Il
Male
lo dirigevo solo nominal-
mente, perché in redazione non di-
sponevano di un professionista
iscritto all’albo, e mi ero prestato al-
la bisogna, in omaggio a un’antica
tradizione libertaria. Era ben speci-
ficato che lo facevo solo per consen-
tire che il giornale potesse uscire.
Bene: per quella battuta, greve ma
sempre battuta, ho rischiato concre-
tamente la galera, perché sia in pri-
mo che secondo grado sono stato
condannato a due anni e sei mesi
senza la condizionale. Poi, arrivato
in Cassazione qualcuno si deve es-
sere messo una mano sulla coscien-
za, deve aver pensato che non aveva
senso una condanna di quella por-
tata per quel “reato”; hanno così in-
dividuato un cavillo e rimandato il
processo in Appello, e lì per fortuna
si è perso, prescritto. Si sarà com-
preso, che la persona in questione
era un magistrato. Il mio sospetto è
che se si fosse trattato di “altra” per-
sona, appartenente ad altra “cate-
goria”, me la sarei cavata prima, e
con meno problemi. Tutta questa vi-
cenda avrebbe un aspetto positivo
se servisse per avviare una profonda
riflessione sullo stato della giustizia
in Italia. L’ultima condanna è di po-
chi giorni fa, contenuta nel rapporto
del Commissario per i Diritti Umani
del Consiglio d’Europa Nils Muiz-
nieks. Sostiene che per l’Italia è tem-
po di trovare «soluzioni durevoli»
allo stato, drammatico e inaccetta-
bile della giustizia. Un po’ tutti sap-
piamo dello stato incivile in cui ver-
sano le carceri, le condizioni
indegne, che contrastano non solo
con un elementare criterio di uma-
nità e con la Costituzione in cui so-
no costretti a vivere i detenuti e gli
agenti della polizia penitenziaria;
sappiamo tutti che nei 206 istituti
di pena sono stipati oltre 66mila de-
tenuti, quasi la metà in attesa di giu-
dizio; e almeno la metà di quel 47
per cento sconta ingiustamente una
pena preventiva: la pena preventiva,
di per sé è ingiusta, ma l’ingiustizia
diventa ancora più atroce quando
si viene infine assolti per non aver
commesso il fatto… Non è però su
questo che richiama l’attenzione
Muiznieks, che invece punta l’indice
sull’«eccessiva lunghezza dei pro-
cessi». Un problema annoso, scrive,
che si ripercuote negativamente
«
non solo per le persone interessate
e per l’economia italiana, ma anche
per il sistema europeo di protezione
dei diritti umani nel suo insieme, a
causa della continua iscrizione di ri-
corsi alla Corte europea dei diritti
dell’uomo». Quanto incide nell’eco-
nomia questa inefficienza struttura-
le? Due economisti, Silvia Giacomel-
li e Carlo Menon, hanno calcolato
che a parità di altri fattori, con una
riduzione della durata dei processi
civili del 50 per cento, nel settore
manifatturiero le imprese sarebbero
in media più grandi di circa il 10%.
Il malfunzionamento della giustizia
civile, ricordano, «riduce il grado di
tutela dei contratti, e quindi disin-
centiva le relazioni contrattuali. Per
le imprese, rende più rischioso in-
trattenere rapporti con agenti ester-
ni, quali ad esempio fornitori o pre-
statori di servizi». Gli imprenditori,
non potendo fare affidamento sul
sistema giudiziario, affrontano rischi
maggiori nell’interagire con nuovi
partner commerciali con i quali non
hanno ancora costruito un rapporto
di fiducia. Inoltre, l’inefficienza della
giustizia può determinare un peg-
gioramento delle condizioni di fi-
nanziamento, poiché i creditori sono
meno tutelati a fronte di eventuali
insolvenze e quindi richiedono un
premio per il rischio più elevato. La
Banca mondiale, per quel che ri-
guarda i tempi dei processi, colloca
l’Italia al 148 posto su 183 paesi.
Siamo sotto Vietnam, Gambia,
Mongolia… Gli oltre sei milioni di
processi civili ci costano qualcosa
come 96 miliardi di euro. Secondo
l’ufficio studi di Confindustria que-
sta situazione incide per circa il 4,9
per cento del Pil. Una situazione che
spaventa e allontana gli investitori
stranieri, deprime quelli italiani. Per
tutelare un contratto in Italia occor-
rono in media 1200 giorni. In Ger-
mania, Gran Bretagna e Francia si
oscilla tra i 394 e i 331 giorni. An-
che con il penale non si scherza: i
risarcimenti per ingiusta detenzione
(
e ottenerli è un supplemento di pe-
na), costano circa 46 milioni di euro
l’anno. Capitolo a parte quello delle
prescrizioni: sono 165mila circa
ogni anno, riguardano anche reati
gravi; è un’amnistia quotidiana, si-
lenziosa, di classe che si consuma da
anni. Non è solo un’ingiustizia nei
confronti del cittadino che si vede
negato un diritto di cui ha diritto; è
anche un ulteriore costo sociale: altri
84
milioni di euro l’anno che se ne
vanno in fumo. Un enorme fiume di
denaro che paga la collettività, che
giorno dopo giorno esce dalle nostre
tasche. Dal caso Sallusti al caso giu-
stizia in Italia. Sarebbe utile, neces-
sario e opportuno che si avviasse un
grande dibattito, una grande rifles-
sione su quella che il presidente della
Repubblica più di un anno fa definì
«
impellente urgenza», per poi sce-
gliere di non parlarne più.
La querela contro
il direttore è stata
intentata da un giudice.
Se fosse stata promossa
da un semplice cittadino
la condanna sarebbe
veramente
stata così pesante?
K
Alessandro SALLUSTI
Sarebbe utile
che si avviasse un grande
dibattito, una grande
riflessione su quella
che il presidente
della Repubblica più
di un anno fa definì
«
impellente urgenza»
segue dalla prima
Oltre Monti
Questo significa che le elezioni debbano es-
sere considerate del tutto inutili? Niente af-
fatto. Significa solo che il percorso per uscire
dalla crisi è ancora molto lungo e che il
compito delle forze politiche italiane in que-
sta fase di subalternità non può essere quello
di lottare per la conquista di un potere che
è detenuto da mani lontane ma quello di la-
vorare alla propria rigenerazione ed alla
transizione dalla Seconda repubblica esaurita
prima ancora di essere ufficialmente nata
ad una Terza repubblica effettivamente ade-
guata ai tempi. Le elezioni, allora, debbono
essere intese non come come l’occasione per
determinare una politica nazionale che è già
stata segnata “ove si puòte ciò che si vuole”
ma per per rinnovare i partiti e dire agli ita-
liani quali riforme si vorranno realizzare
nella prossima legislatura oltre quelle indi-
cate dall’Europa per recuperare un minimo
di sovranità nazionale e risolvere i più gravi
problemi specifici del paese. In questa luce,
ad esempio, le primarie del Pd assumono
fatalmente l’aspetto di una sorta di congres-
so che si celebra nell’arco di più mesi, si con-
clude con un referendum e che ha come po-
sta in palio la conservazione dell’attuale
gruppo dirigente o la sua completa rotta-
mazione. Lo stesso vale per il Pdl, che in
campagna elettorale deve decidere se restare
unito o trasformarsi in una federazione. Ma
in questa luce, soprattutto, diventa indispen-
sabile sottolineare come non sia sufficiente
l’Agenda Monti per salvare il paese. Ma che
a questa agenda dettata dall’Europa si debba
aggiungere una Agenda Italia con le cinque
grandi riforme che riguardano i problemi
specifici italiani e che sono indispensabili
per la ripresa: istituzioni , fisco, lavoro, au-
tonomie, giustizia.
Questo è il margine di autonomia che viene
lasciato da chi “puote ciò che si vuole”. Oc-
cuparlo con il programma delle cinque ri-
forme può dare un grande senso compiuto
alle prossime elezioni.
ARTURO DIACONALE
Politica e onestà
Per costruire un sistema politico efficiente,
insomma, si deve partire dall’ipotesi che tutti
gli uomini politicamente attivi siano imper-
fetti (...). La faccenda è resa ancor più com-
plicata dal fatto che in politica, come insegna
Machiavelli, il principe deve talvolta usare
mezzi condannati dalla morale comune. Per
sconfiggere un nemico dell’umanità, tipo
Adolf Hitler, o per abbattere una grande or-
ganizzazione criminale, tipo Cosa nostra,
un capo politico deve talvolta consentire
l’uso di sistemi illegali (...). Tutto ciò vuol
forse dire che gli onesti, nell’Italia di oggi,
non abbiano funzioni da svolgere? Niente
affatto(...). E allora diremo che il primo
obiettivo delle persone per bene dovrebbe
essere quello di introdurre, all’interno del
sistema democratico-parlamentare italiano,
quel controllo delle opposizioni sui Governi,
che finora è mancato (...). Non si tratta di
un’utopia, perché questi controlli, queste
punizioni e questi ricambi sono già in atto
in tutte le democrazie occidentali, Italia
esclusa. E non sarà neppure la soluzione di
tutti i mali del Paese poiché, anche nel resto
del mondo occidentale, democrazie ben più
efficienti di quella italiana sono afflitte da
crisi, difficoltà e malanni consistenti. Ma si
tratterà pur sempre di un grande migliora-
mento. E gli italiani dotati di probità e ret-
titudine potranno far molto per favorirlo.
Ma soltanto - ripetiamolo - se saranno ca-
paci di abbandonare certe loro illusioni ex-
tra-politiche su un’onestà che non appartiene
a questo mondo. E forse neppure all’altro,
come indurrebbero a pensare i casi di Lu-
cifero e San Pietro.
PIETRO MELOGRANI
K
Renato FARINA
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ARTURO DIACONALE
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SABATO 29 SETTEMBRE 2012
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