Page 3 - Opinione del 29-9-2012

di
MASSIMO GIORDANO
dar retta ai deputati che si ag-
girano mogi per il Transatlan-
tico, l’atmosfera all’interno del Pdl
è già quella da
day after
.
L’avvenire
sembra più buio e fumoso che mai,
e la cronaca non contribuisce certo
a migliorare gli umori di un partito
che fino ad un paio di anni fa po-
teva contare sul più ampio consen-
so mai registrato nella storia della
Repubblica. Ci mancava soltanto
lo scandalo della giunta laziale per
coronare con una meravigliosa (si
fa per dire) ciliegina sulla torta i
guai di un partito che si scopre più
diviso che mai, tra ex forzisti ed ex
An che scalpitano per ritornare tali,
rinnovate ipotesi di opa ostile da
parte dell’Udc di Pierferdinando
Casini, fantasiose opzioni di appa-
rentamento con Matteo Renzi, nel
caso in cui dovesse uscire bastonato
dalle primarie democratiche, o an-
cora diluizione totale in un’informe
maggioranza senza arte né parte,
buona solo per votare la fiducia ad
un altro governo tecnico.
Quello che, almeno sulla carta,
dovrebbe essere il leader del partito,
ovvero il segretario Angelino Alfa-
no, non perde occasione per cavarsi
d’impiccio rilanciando un ritorno
in grande spolvero di Silvio Berlu-
sconi. E il Cavaliere che fa? In que-
sto marasma di pessimismo esisten-
ziale sembra l’unico ad apparire
A
soddisfatto di come si stanno met-
tendo le cose. Specie dopo il ritro-
vato feeling con il premier Mario
Monti. Che non è più il professore
in loden che gli soffiò il governo
con un intrigo di palazzo, come in-
vece continuano a pensarla in molti
all’interno del Popolo della Libertà.
«
Non è il governo tecnico il grande
imbroglio», ha dichiarato proprio
ieri l’altro Silvio Berlusconi. Anzi,
dopo la mezza autocandidatura al
bis lanciata tra le righe da New
York, Monti ma potrebbe addirit-
tura rivelarsi la soluzione migliore
per impedire alle sinistre di salire al
governo e fare filotto tra Palazzo
Chigi e Quirinale, nel caso in cui
per il centrodestra le cose dovessero
andare proprio male.
Certo, di mezzo ci sono ancora
le elezioni, senza che ancora nem-
meno si sappia con quale legge si
andrà a votare, come l’ex premier
tiene molto a precisare ai cronisti.
Però... secondo il Cav Monti è sì
come il diavolo, ma nel senso che
non è mai così brutto come lo si di-
pinge. I veri nemici sono altri. Ber-
sani, ad esempio, che se riuscisse ad
emergere dalle prossime consulta-
zioni con una maggioranza solida
a sufficienza, potrebbe davvero de-
cidere anche chi mandare a fare il
presidente della Repubblica per
l’imminente settennato. E poi Equi-
talia, che, parola di Silvio, sarebbe
colpevole di vere e proprie estorsio-
ni ai danni dei contribuenti italiani.
E anche l’euro, che definisce «un
grande imbroglio», dal quale la
Germania potrebbe tranquillamente
uscire senza che questo rappresenti
«
una grande tragedia». E poi , ov-
viamente, la Germania: «è incapace
di essere solidale», dice Berlusconi.
Insomma, dopo le frecciate an-
ti-Imu, ancora una volta il Cavaliere
senza macchia e senza paura scio-
rina slogan di grande effetto per da-
re uno scossone alla pre-campagna
elettorale di un partito in cerca
d’autore, che gli si affida ancora
una volta ad occhi chiusi per non
saper fare di meglio.
II
POLITICA
II
Il centrodestra in crisi al bivio:
traAn e forzisti spuntaMonti
Renzi vs Bersani,
la partita veneta
K
Silvio BERLUSCONI
ello scacchiere sofisticato che
vede contrapporsi le truppe
di Pierluigi Bersani a quelle di
Matteo Renzi un nome da tenere
d’occhio è quello di Achille Varia-
ti.
Ma andiamo con ordine. Il Ve-
neto è storicamente un bacino di
voti democristiano. Con la diaspo-
ra seguita a Mani Pulite, l’eletto-
rato si è diviso equamente tra cen-
trodestra e centrosinistra. Il primo
più radicato in provincia, il secon-
do solido nei grandi centri urbani.
Una tradizione di lungo corso, che
penalizza l’appeal della socialde-
mocrazia in salsa bersaniana con
la quale il segretario del Pd punta
a conquistare la leadership. A Ve-
nezia governa Giorgio Orsoni, av-
vocato, ex condigliere di Paolo Co-
sta quando quest’ultimo era
ministro dei Lavori pubblici. Di
Costa, esponente dell’Ulivo di os-
servanza democratica (intesa come
la vecchia formazione di Arturo
Parisi), è stato assessore, prima di
succedergli alla guida della città
lagunare. Un cursus honorum che
lo colloca anni luce lontano dal-
l’attuale leader del Pd. Lo stesso si
può dire di Flavio Zanon, l’eclet-
tico primo cittadino di Padova, ce-
lebre per aver recintato con un
muro una zona malfamata della
sua città all’epoca della segreteria
multi-culti di Walter Veltroni. In-
fine Variati: formazione democri-
N
stiana, fu sindaco vicentino già del
1990
al 1995. Un Renzi ante litte-
ram, visto che si ricoprì della fascia
tricolore a “soli” trentasette anni.
È tornato in sella all’amministra-
zione comunale nel 2008, battendo
in volata la rivale pidiellina Amalia
Sartori. Tra gli amministratori ve-
neti del Pd non solo è il più lonta-
no da Bersani, ma è anche l’unico
che si è professato apertamente
renziano. «Nelle primarie ho de-
ciso di scegliere Matteo Renzi».
Ha detto senza mezzi termini lo
scorso 11 settembre. «La mia scel-
ta di appoggiare Renzi è legata a
quattro punti: la necessità di rin-
novare la classe dirigente, una que-
stione anagrafica, una questione
di idee e una di passione». Senza
il serbatoio veneto, se la partita
delle primarie si giocasse in una
manciata di voti Bersani partirebbe
azzoppato. Nascerebbe dunque
(
anche) da questa considerazione
la scelta di cooptare la vicesindaco
di Variati, Alessandra Moretti, a
capo dello staff che ne curerà la
comunicazione in vista dei gazebo
di inizio dicembre. Moretti può
erodere consenso in una città che
Renzi credeva di avere in pugno.
Inoltre, vincendo, Bersani consa-
crerebbe quello della Moretti come
un profilo di respiro nazionale. Dal
quale poter ripartire in vista del
prossimo congresso.
PIETRO SALVATORI
Fava non correrà
Crocetta favorito?
ltro che giallo. Altro che golpe
politico. Una distrazione, solo
un banale errore ha fermato la cor-
sa dell’ormai ex candidato alla pre-
sidenza della Regione siciliana,
Claudio Fava, sostenuto da Sel, Idv,
Verdi e Federazione della sinistra.
Al suo posto, dopo il no di Rita
Borsellino che comunque ha riba-
dito il suo sostegno alla coalizione,
Giovanna Marano, già leader re-
gionale della Fiom e attuale presi-
dente del comitato centrale dei me-
talmeccanici della Cgil.
Un colpo di scena nell’infuocata
campagna elettorale siciliana frutto
della dimenticanza, da parte del-
l’esponente di Sel, del trasferimento
della sua residenza da Roma in Si-
cilia entro i 45 giorni previsti dalla
legge regionale per l’iscrizione nelle
liste elettorali. Una non conoscenza
di una norma regionale, come ha
ammesso lo stesso Fava, che di fat-
to lo mette fuori gioco.
Finisce qui la marcia dell’espo-
nente del partito di Vendola verso
la poltrona di Palazzo d’Orleans.
Fava, però, potrebbe affiancare
Marano come vicepresidente ester-
no. Eppure era stato il primo a
scendere in campo nella corsa alla
presidenza della Regione e i son-
daggi lo davano al quarto posto
con poco più del 10%, dopo Nello
Musumeci e Rosario Crocetta, testa
a testa, e dietro Gianfranco Micci-
chè.
A
Il passo indietro di Fava, chiesto
a gran voce dall’Idv di Orlando per
evitare l’esclusione delle liste a lui
collegate, influisce senza dubbio sul-
l’equilibrio tra le forze del centro
sinistra siciliano, e crea le condizio-
ni elettorali per un rafforzamento
delle posizioni di Crocetta, candi-
dato di Pd, Udc e Rutelliani. Dal-
l’altro fronte il centrodestra, che
vedeva in Fava un personaggio ca-
rismatico che divideva obiettiva-
mente l’elettorato di sinistra, sot-
traendolo a Crocetta, ora si trova
di fronte ad una situazione ribalta-
ta. Infatti è presumibile che una
parte degli elettori di Fava, certa-
mente quella più ideologizzata, po-
trebbe convergere sull’ex sindaco
di Gela.
Una situazione che non può
non destare preoccupazione tra i
sostenitori di Musumeci. Marano
riuscirà in poco più di un mese a
colmare il gap della notorietà di Fa-
va e soprattutto a conquistare il so-
stegno dell’elettorato Idv? Già, per-
ché in questo nuovo quadro gli
elettori del partito di Orlando, di-
sponibili a convergere sull’esponen-
te di Sel, potrebbero non esserlo per
l’ex segretario regionale della Fiom
Cgil. Ma il lavoro forse più arduo
spetterà agli addetti alla affissione,
che dovranno in tutta fretta rimuo-
vere e sostituire i manifesti di Fava
presenti in tutta la Sicilia.
ROSAMARIA GUNNELLA
accio più io con un’ora di
televisione che voi in un an-
no coi vostri libri». Se è vera questa
frase attribuita a Silvio Berlusconi,
intento nel 2001 a liquidare un
gruppo di intellettuali liberali ve-
nuti a chiedere spazio nel catalogo
Mondadori, non è difficile com-
prendere quanta distanza ci fosse
oggi tra il centrodestra e un acca-
demico come Piero Melograni. La
sua scomparsa, a 81 anni, proprio
nei giorni in cui si fatica a trovare
un’identità in quel che resta del
Pdl, è un cattivo augurio.
Sono passati più di quindici an-
ni dalla legislatura che vide Melo-
grani rinverdire l’anima liberale e
anticomunista di Forza Italia. Era
il 1996 e Berlusconi aveva deciso
di candidare alcuni studiosi a cui
affidare il progetto della “Riforma
liberale”: Lucio Colletti, Vittorio
Mathieu, Giorgio Rebuffa, Mar-
cello Pera e, appunto, Piero Melo-
grani. Non un mantello nobile del
berlusconismo ma una sorta di col-
legio di saggi. Ad ognuno venne
promesso un collegio senatoriale,
in cambio dell’impegno a dare alla
neonata Forza Italia una cultura
politica degna di questo nome.
Curiosa fu la comune militanza
giovanile di molti di loro nel Pci,
a cui Melograni si iscrisse nel 1946.
Per lui non si riassorbì la ferita del-
le violenze d’Ungheria e della de-
nuncia dello stalinismo. Melograni
«
F
si dedicò allora all’insegnamento
per ben trent’anni. Dal 1971 diede
sfogo ai suoi molteplici interessi di
intellettuale vivace e curioso: sue
furono opere su Machiavelli, la
Grande Guerra, ma anche su To-
scanini e Mozart. Di questi perso-
naggi era solito raccontare vita e
opere in modo semplice e divulga-
tivo. Esattamente come rispondeva
a qualunque cronista lo volesse di-
sturbare a casa per un commento:
con il consueto garbo e l’immensa
cultura.
Per capire quanto fosse aperta
e critica la sua mente, basta forse
questa riflessione rilasciata durante
la campagna elettorale del ‘96:
«
Girando per la provincia torinese
scopro tante di quelle cose che non
conoscevo(...). La politica non si
capisce sulla base della sola lettu-
ra». L’esito dell’operazione ’96 si
può cogliere in modo implicito
proprio nelle parole di cordoglio
di Berlusconi: «Piero Melograni ha
contribuito con il suo ingresso in
Parlamento nelle liste di Forza Ita-
lia al tentativo di modernizzare il
nostro Paese secondo una limpida
e vitale cultura liberale». Un ten-
tativo fallito. «Non funziona», dis-
se sconsolato Melograni sul finire
di quella legislatura. «Il lavoro si
riduce solo a estenuanti votazioni
e quasi sempre noi deputati votia-
mo senza sapere su cosa».
Tanti giovani studenti con en-
tusiasmo e speranza hanno “divo-
rato” gli scritti di Melograni, ma-
gari sulle pagine di questo
quotidiano o su quelle di periodici
come Liberal, oltre che sui testi di
storia contemporanea.
È davvero lontano il ’96. Quan-
to, se si pensa alle macerie attuali,
con il centrodestra perso tra le ru-
berie dei vari Batman e le sfilate di-
sinvolte di Nicole Minetti. Era un
progetto, quello della prima Forza
Italia, che piaceva ai giovani e agli
italiani emergenti lontani dalle
ideologie del Novecento che Me-
lograni aveva conosciuto in gio-
ventù e poi divulgato nell’ultimo
quarto di secolo. La sua scompar-
sa, oggi, autorizza forse a guardare
a quegli anni con un certo rimpian-
to e un velo di malinconia.
BENIAMINO COSTANTE
ConPietroMelograni sparisce
unpadre delle riforme liberali
A oltre quindici anni
dalla legislatura
che lo vide rinverdire
l’anima liberale di Forza
Italia, la sua scomparsa
.
è un cattivo augurio
per un Pdl che fatica
a ritrovare un’identità
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 29 SETTEMBRE 2012
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