Page 5 - Opinione del 29-9-2012

II
ESTERI
II
Romney ormai è spacciato?
È solo un sondaggio, bellezza
di
JAY COST
n Virginia Obama è in vantaggio
di 8 punti o di 1? Mitt Romney
è in vantaggio di 6 punti in North
Carolina o lo è Obama di 4? E a
livello nazionale? Gallup e Ra-
smussen registrano un pareggio,
ma Pew vede Obama in vantaggio
di 8 punti. Che succede? I sondaggi
sono un’istantanea del momento,
non sono buoni misuratori delle
scelte degli elettori. Sono molti gli
elettori indecisi, e cambieranno
idea tante volte prima dell’Election
Day. Sono passate solo due setti-
mana dalla fine della convention
democratica, e Obama gode anco-
ra del “rimbalzo”. E quel rimbalzo
può essere più alto o più basso a
seconda di quanto il sondaggista
interroga gli elettori probabili (o
sondaggi su un campione di adulti
che il sondaggista prevede vadano
a votare). Provate a vederla così.
Vi considerate democratici, ma
normalmente non votate. La con-
vention vi ha entusiasmato per la
prima volta dopo tanto tempo. Ri-
cevete una telefonata da un son-
daggista la cui unica domanda per
i probabili elettori e “Sei certo di
votare?”. La vostra risposta è, “As-
solutamente!”. E quindi siete in-
clusi nel sondaggio. Ma il sondag-
gista facesse altre domande come
Quanto spesso hai votato in pas-
sato?” rispondereste, “Raramente”
I
il che significa che probabilmente
non rientrereste nel sondaggio.
Cose pratiche di questo genere so-
litamente perdono importanza
man mano che ci si avvicina al-
l’Election Day, quando i sondaggi
iniziano a convergere. In questo
momento, assistiamo a un’ondata
di entusiasmo tra i democratici.
Ma bisogna tenere a mente che è
solo settembre.
I drogati di politica sono mesi
ormai che seguono la campagna e
l’idea che l’Election Day si avvicina
velocemente li eccita da morire.
Ma i drogati di politica non fanno
la differenza nelle elezioni. In ef-
fetti, qualcosa come il 25% degli
elettori decide dopo settembre, e
un numero di elettori stimato tra
il 10% e il 20% deciderà l’ultima
settimana. Ecco perché i sondaggi
oscillano selvaggiamente nelle ul-
time settimane della campagna. È
così che la gara tutta in bilico tra
Jimmy Carter e Ronald Reagan fi-
nì con un’esplosione del GOP nel
1980.
È così che nel 1992 Bill
Clinton contro George H.W. Bush
passò dai 9 punti di vantaggio di
metà settembre ad un pareggio alla
fine ottobre. È così che George W.
Bush passò da uno svantaggio di
10
punti a settembre del 2000 ad
essere il 43° presidente nel gennaio
2001.
Ed è così che lo stesso Bush
lasciò sfumare quel vantaggio di
11
punti del quale godeva nel set-
tembre 2004, superando John Ker-
ry di solo 2 punti.
In altre parole, i sondaggi di
settembre sono estremamente in-
stabili. E l’instabilità di quest’anno
è contaminata dai giorni successivi
alla Democratic National Conven-
tion. È stata infatti la più recente
convention di partito nella storia
degli Stati Uniti. E quando i son-
daggi oscillano molto, le probabi-
lità che saranno discordanti sono
molto più elevate – il che è esatta-
mente ciò che stiamo vedendo in
questo momento. Il modo migliore
per guardare a questa campagna
presidenziale è prenderla come un
grudge match nella Lega Naziona-
le di Footbal, Steelers contro Ra-
vens o Giants contro Cowboys.
Entrambe le squadre conoscono i
reciproci punti di forza o di debo-
lezza sin troppo bene, perciò sai
che la partita sarà sofferta. Certo,
una squadra ha appena fatto pun-
to, ma siamo solo a metà del terzo
quarto, e l’altra squadra potrebbe
rispondere da un momento all’al-
tro. Come sempre, la partita arri-
verà ad un eccezionale intercetta-
zione di Troy Polamalu o un
passaggio completo di Eli Man-
ning a Victor Cruz. Perciò restate
seduti, voi appassionati di politica:
c’è ancora molto da vedere.
(
Tratto dal “New York Post”.
Traduzione a cura
di Irene Selbmann)
Minneapolis (Usa), spara in ufficio: cinque morti
K
Quattro morti e tre feriti gravi. Un uomo ha aperto il fuoco
in un ufficio a Minneapolis (Minnesota), poi si è tolto la vita. Ignote,
al momento in cui andiamo in stampa, le ragioni del gesto.
Le contraddizioni
di Obama all’Onu
Il Barca invitaShalit allo stadio
ArrivanominaccedaHamas
ono passati quasi quattro anni
dall’insediamento di Barack
Obama alla Casa Bianca. Più di
uno dalla morte di Osama Bin La-
den e ben dodici anni dall’attacco
alle Torri Gemelle di New York. Il
presidente americano parla all’As-
semblea Generale delle Nazioni
Unite da premio Nobel, ma il suo
discorso è quello di un paese in
guerra. Il 9 ottobre 2009 il comi-
tato di Oslo gli conferisce il Nobel
per la Pace con questa motivazione:
«
per il suo straordinario impegno
per rafforzare la diplomazia inter-
nazionale e la collaborazione tra i
popoli». Un riconoscimento dato
sulla fiducia. La dottrina che questa
amministrazione segue in politica
estera confida nelle organizzazioni
internazionali. Sono celebri ormai
i suoi discorsi di apertura, il lottare
insieme all’islam moderato per
sconfiggere il cancro fondamenta-
lista. Quanto affermato pochi gior-
ni fa all’Onu si iscrive in questo fi-
lone e non ci sarebbe nulla da
recriminare se i fatti non gli dessero
torto: la condizione americana nel
mondo resta difficile. Bastone e ca-
rota sono ormai i termini più co-
muni per descrivere gli strumenti
di scuola democratica e Obama le
ripropone ancora una volta ma-
scherate da frasi intrise di ideali-
smo. Parla dell’importanza della li-
bertà di parola, di tirannia e di un
approccio più deciso in Libia. «Gli
S
Stati Uniti si uniranno con la libertà
dei musulmani in un fronte comune
contro i terroristi». Inveisce contro
Assad. Poi si rivolge al regime ira-
niano: «Gli Stati Uniti sono pronti
a intervenire militarmente, qualora
si riveli impossibile una soluzione
diplomatica». L’America è ancora
in guerra e quanto accaduto lo
scorso 12 settembre a Bengasi ce lo
ha ricordato. Il grave errore com-
messo da Obama in questi anni è
di averci fatto credere che tutto, do-
po la morte di Bin Laden, fosse or-
mai finito. Cercando di discostarsi
dalla politica neocon ha sottovalu-
tato le condizioni esistenti, trasci-
nando con se buona parte dell’opi-
nione pubblica occidentale. Mentre
il fondamentalismo islamico dila-
gava in Medio Oriente e in Africa.
Sperava di combattere il terrorismo
in modo più efficace del suo prede-
cessore semplicmente negando la
sua esistenza. Sperava che un ap-
proccio scientifico avrebbe favorito
la pace e la totale affermazione di
una cultura moderata nel mondo
islamico. Anche se al presidente
americano non piace parlarne e,
stando a un primo bilancio del suo
discorso, possiamo affermare che
la Guerra al Terrore dichiarata da
Bush purtroppo non è mai finita.
L’uomo più potente del mondo
odia la guerra, ma la pace si fa in
due. E la fiducia non basta.
MICHELE DI LOLLO
e proteste tenute in occa-
sione della partita di basket
tra Barcellona e Maccabi Tel Aviv
nel 2011, sono nulla in confronto
a quello che abbiamo in program-
ma al Camp Nou».
Questa è la pacifica e simpatica
promessa, contenuta in una lettera
mandata da capi degli ultras del
Barca al presidente della società e
per conoscenza governo catalano
qualora confermasse la propria vo-
lontà di invitare Gilad Shalit il
prossimo 7 ottobre a vedere la par-
tita derby contro il Real Madrid.
L’ha spedita e scritta l’attivista Jor-
ge Sanchez, che è a capo di un’or-
ganizzazione che chiede il boicot-
taggio di Israele. E chiede anche al
presidente del Barcellona Sandro
Rosell di ritirare l’invito. La cosa
più grave è che gli ultras bleu gra-
nada sembrano marciare divisi e
colpire uniti con i supporters di ha-
mas a Gaza. Che a loro volta mi-
nacciano sfracelli, come quello di
non far più vedere le partite alla
gente della Striscia, oscurando le
parabole. A Gaza i tifosi locali in
realtà portanp Messi e la sua squa-
dra nel cuore. Per prima cosa Ha-
mas ha lanciato quindi una sorta
di boicottaggio del club catalano.
Con questo slogan: “Come può un
club sportivo dignitoso onorare un
assassino”. L’assassino sarebbe lui,
Shalit, non più giovane caporale di
diciannove anni sequestrato in ter-
«
L
ritorio israeliano e tenuto segregato
per oltre cinque anni, ma «prigio-
niero di guerra» per «avere sparato
da un carro armato a Gaza. E le
perdite inflitte, la maggior parte dei
quali civili», sarebbero la causa del
suo rapimento. Bugie e mistifica-
zioni già note agli esperti della pro-
paganda di hamas, ma che adesso
mettono in crisi il club catalano,
combattuto tra
islamically correct-
ness
e non fare una figura di guano
dopo avere invitato il povero sol-
dato, ancora traumatizzato dopo
la sua liberazione, a vedere una
partita di calcio e a ritirare un pre-
mio simbolico. Una fonte del club
catalano ha detto alla Afp: «Ab-
biamo ricevuto una richiesta da un
ministro israeliano per invitare
Shalit, e abbiamo accettato. Occor-
re chiarire che il Barcellona non
prende posizione attraverso questo
invito nel conflitto israelo-palesti-
nese. Ricordiamo che in 2011 vice
presidente del club, Carles Villaru-
bi, ha ricevuto il leader palestinese
Mahmoud Abbas e gli mostrò le
strutture del club». Insomma la
classica
excusatio non petita
.
Per ora quindi se la cavano così,
una sorta di par condicio dichia-
rata tra uno stato democratico e
un’organizzazione terrorista che
semina terrore tra i suoi dissidenti
a Gaza. Un amico di Shalit ha det-
to che ufficialmente, dopo l‘invito,
a lui non sarebbe stato comunicato
nulla. Neppure un’eventuale ripen-
samento dei vertici del Barca. La
medesima fonte si dichiara certa
che alla fine Shalit potrà assistere
alla partita con il contributo di si-
curezza che potrà essere garantito
dalla polizia catalana. Certo però
che ritrovarsi contro tutti gli ultras
filo palestinesi del Barca e rischiare
per paradosso un incidente diplo-
matico con Israele dovuto ad even-
tuali striscioni anti semiti o quanto
meno anti israeliani è per la stessa
cittadinanza un rischio troppo
grosso. E si vedrà se avrà lo stesso
coraggio avuto dal sindaco Ale-
manno a Roma nel dichiarare Sha-
lit cittadino onorario. Cosa che ri-
mane fino ad adesso l’unica
notevole compiuta dalla giunta in
questione.
DIMITRI BUFFA
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 29 SETTEMBRE 2012
5