a resa dei conti nel Pd è vici-
na. Il risultato che uscirà dal
ballottaggio delle primarie di do-
menica, chiunque sia il vincitore,
non potrà non incidere sui rap-
porti di forza all’interno del Pd e
quindi anche sulla formazione del-
le liste per le elezioni di primavera.
Al di là del coro unanime di
soddisfazione ed entusiasmo per
l’andamento delle primarie, una
grande prova di democrazia” co-
me le hanno definite in maniera
roboante i vari esponenti del Pd,
il risultato di queste consultazioni
potrebbe rivelarsi un vero e pro-
prio boomerang per la dirigenza
democratica.
La nomenclatura del partito
dovrà fare i conti con il 36 per
cento (ad oggi) dei propri elettori
che hanno scelto “il rottamatore”
Renzi e non “l’usato sicuro” Ber-
sani, affrontando una nuova real-
tà presuntuosamente o forse solo
di facciata sottovalutata. E non
solo a livello nazionale. In Sicilia,
sebbene la vittoria del segretario
nazionale fosse abbastanza scon-
tata, Bersani non ha ottenuto quel
consenso plebiscitario che la diri-
genza siciliana del Pd si aspettava,
avendo schierato in campo tutte
le proprie forze.
La mobilitazione quasi totale
del partito e dei sindacati a favore
del segretario nazionale ed anche
del presidente della Regione sici-
liana, Rosario Crocetta, che espli-
citamente si era espresso pro-Ber-
sani, non sono bastate a fermare
l’avanzata del sindaco di Firenze.
Matteo Renzi ha raggiunto un ri-
sultato che, nonostante sia stato
più basso (30 per cento) rispetto
a quello nazionale, è andato oltre
le aspettative.
Un dato, quello del rottamato-
re fiorentino, ancora più sorpren-
dente se si pensa che Renzi non
L
ha nessuna rappresentanza all’As-
semblea regionale siciliana: Davi-
de Faraone, coordinatore dei co-
mitati renziani in Sicilia non è
stato riconfermato alle scorse ele-
zioni regionali di ottobre.
Comunque vada il ballottag-
gio, il Pd siciliano dovrà confron-
tarsi con la forza ormai acclarata
di Matteo Renzi che avanzerà la
pretesa di una buona posizione,
che garantisca l’elezione, per Fa-
raone e per i suoi nella composi-
zione delle liste per le Politiche.
Ma non solo.
Ad incidere, e non poco, sugli
equilibri di potere all’interno del
Pd ci saranno anche quei big, co-
me Vladimiro Crisafulli ad Enna
e Fracantonio Genovese a Messi-
na, che nella propria città e pro-
vincia hanno fatto registrare la
percentuale di voti più alta per
Bersani. Sarà questo l’inizio della
vera battaglia per la selezione del-
la candidature per la Camera e il
Senato?
ROSAMARIA GUNNELLA
di
FEDERICO PUNZI
e stime diffuse dall’Ocse deli-
neano una prospettiva nient’af-
fatto incoraggiante per la nostra
economia. Nel 2012 il calo del Pil
sarà del 2,2%. Tutto sommato un
dato a cui ci eravamo abituati dopo
le stime del governo e di altre au-
torevoli istituzioni, tutte intorno al
-2,4%.
Ciò che preoccupa è che
l’Ocse prevede una cospicua con-
trazione del Pil anche nel 2013 (-
1%),
ancor più grave sia perché tra
il 2008 e il 2012 si è già contratto
molto – alla fine di quest’anno il
nostro Pil tornerà ai livelli del 2001
sia perché a dispetto di una serie
di misure che secondo l’esecutivo
avrebbero dovuto invertire il trend
e rimettere il nostro paese sul sen-
tiero della crescita, seppur flebile.
Oltre all’effetto negativo sulla di-
soccupazione, che nel 2013 salireb-
be all’11,4%, restare in una reces-
sione così marcata avrebbe effetti
disastrosi sul deficit, che l’Ocse pre-
vede al 2,9% nel 2013 e al 3,4%
nel 2014, e che richiederebbe quin-
di un’ulteriore «stretta di bilancio»
nel 2014 per rispettare il previsto
percorso di riduzione del debito.
Insomma, i sacrifici chiesti agli ita-
liani in questo biennio sarebbero
completamente vanificati.
Ma com’è possibile che a fronte
dei dati impietosi della nostra eco-
nomia e di prospettive ancora fo-
sche, i rendimenti sui nostri titoli
di stato siano ai minimi? All’asta
di ieri il Tesoro ha collocato 7,5 mi-
liardi di Bot a sei mesi con tassi sot-
to la soglia dell’1%, che non si ve-
devano dall’aprile 2010, mentre i
decennali sul mercato secondario
sono tornati ai livelli di giugno
2011.
Più che ai risultati concreti
e agli effetti di medio termine delle
riforme avviate, l’apertura di cre-
dito dei mercati nei nostri confronti
L
sembra legata alla credibilità per-
sonale del presidente del Consiglio
e al miglioramento del “mood” ge-
nerale dopo le azioni intraprese dal-
la Bce e le decisioni prese su Grecia
e Spagna.
Si può sempre sperare che i
mercati tornino più o meno “irra-
zionalmente” – cioè senza cambia-
menti strutturali nei nostri fonda-
mentali economici – ad applicarci
tassi di interesse pre-crisi. Ma ciò
che emerge da queste stime sul-
l’economia reale è che il governo
Monti ci ha fatto solo guadagnare
tempo. Forse nell’emergenza, con
una coalizione eterogenea e i partiti
in crisi, non avrebbe potuto fare di
meglio, ma certo non ha alcun sen-
so auspicare “continuità”, come
fanno gli “scudieri” centristi del
Monti-bis. Per uscire davvero dalla
crisi, non restare in balìa dell’umore
dei mercati, serve altro: un risana-
mento virtuoso, cioè meno recessi-
vo, sulla linea indicata da Draghi
tagli alla spesa e non aumenti di
tasse – che è opposta a quella per-
seguita da Monti quest’anno.
Se il professore ha un’agenda
per i prossimi anni, è il momento
di esporla. Per ora, invece, si è li-
mitato ad affacciarsi nell’agone po-
litico con uscite sibilline, cerchio-
bottiste, da vecchio democristiano.
L’ultima, sulla sanità pubblica, ha
scatenato i riflessi pavloviani della
sinistra. «La sostenibilità futura dei
nostri sistemi sanitari, incluso il no-
stro servizio sanitario nazionale, di
cui andiamo fieri, potrebbe non es-
sere garantito se non si individuano
nuove modalità di finanziamento
e di organizzazione dei servizi e del-
le prestazioni». Un’affermazione
meramente descrittiva di una realtà
incontestabile, persino banale. Il
premier non ha accennato a “pri-
vatizzare” alcunché, probabilmente
si riferiva a fondi integrativi, ticket
per fasce di reddito e spending re-
view. E anzi, ha detto che c’è mo-
tivo di andare «fieri» dell’attuale
sistema, quindi anche della sua na-
tura pubblica ed universalistica.
Ma tanto è bastato a suscitare
la levata di scudi, all’unisono, del
segretario del Pd Bersani e della se-
gretaria della Cgil Camusso. Allar-
mante è la negazione, da parte di
chi si candida a governare il paese,
anche della più elementare e con-
clamata realtà: la difficoltà finan-
ziaria in cui si troverà, in un futuro
non lontano, il sistema sanitario,
per l’invecchiamento della popola-
zione e, quindi, l’allungamento delle
cure. Bersani non chiede agli italiani
di piacergli, ma di essere creduto
perché dirà loro soltanto la verità.
Eppure, di fronte alla verità rac-
contata da Monti preferisce chiu-
dere gli occhi. Sulla sanità pubblica
c’è bisogno, invece, di un discorso
di verità. Se l’obiettivo era di ga-
rantire a tutti gli italiani standard
dignitosi di assistenza sanitaria, al-
lora bisogna riconoscere che siamo
di fronte a un fallimento. Già oggi
la sanità pubblica non è universale,
è spaccata in due sia per territorio
a livelli europei in alcune regioni,
da nordafrica in altre – che per
classi sociali: i ricchi possono per-
mettersi di evitare inefficienze e
lungaggini del pubblico. E già oggi,
anziani a parte, la gratuità del ser-
vizio è merce rara. Anche i ceti me-
di pagano doppio le prestazioni
più comuni: ticket spesso vicini ai
costi dei soggetti privati, più le tas-
se versate allo Stato. Facile ponti-
ficare di “principio sacro” per chi
può permetterselo, per chi è già
iscritto a fondi negoziali, casse e
mutue (solo 6,4 milioni di italiani,
per un totale di 10 milioni di assi-
stiti), e quindi non vive sulla pro-
pria pelle inefficienze e costi diretti
della sanità pubblica.
II
POLITICA
II
segue dalla prima
Media e primarie
(...)
sul mondo informativo italiano, si è ma-
nifestato per dimostrare che in Italia le pri-
marie non sono una condizione di democra-
zia ma un segnale inquietante di deriva
plebiscitaria e totalitaria. I candidati alle pri-
marie del Pdl sanno benissimo che non po-
trebbero mai avere la stessa attenzione, lo
stesso rispetto, gli stessi spazi avuti da Bersani
e Vendola da un lato e da Renzi dall’altro.
Per loro ci sarebbe solo disattenzione, critica,
sberleffo. Il tutto in spazi ridotti e sempre
dominati dal confronto negativo con il ple-
biscito totalitario assicurato al Pd. Verdini,
dunque, ha ragione. Non serve a nulla avere
dopo il danno anche la beffa. Ma servirebbe
anche incominciare a riflettere sugli errori
commessi in passato dai dirigenti Pdl sul ter-
reno della comunicazione. Chi ha seminato
lottizzati, amanti e zoccole non può che rac-
cogliere tempesta!
ARTURO DIACONALE
Un passo avanti
(...)
trasformandoli in afasici zombies capaci,
al massimo, di invocare primarie fuori tempo
massimo e, nel contempo, rivelare che il Pdl
sarà spacchettato in tre o quattro tronconi
non appena il Cav scenderà a Roma. Ma gli
elettori che ne pensano? Chi li ha sentiti? Mi
chiedo: dove sono finiti i liberali del Pdl, dove
i socialisti, dove i laici, dove i cattolici liberali.
E che ne è delle loro idee, dei loro propositi,
delle loro promesse agli elettori, sì agli elettori
come noi. Intanto il segretario voluto, quasi
imposto dal Cav non si rassegna, eroicamen-
te, alle cupe previsioni di cui sopra, mentre
molti altri, ovvero il gruppo dirigente, non
sanno cosa fare e cosa dire dopo che per anni
e anni facevano i duri, facevano di tutto.
Fuorché la politica. Spiccando, specialmente,
nel ruolo di “yes men” che li ha pluriconfer-
mati nelle liste parlamentari dei nominati
(
che li ha distaccati fatalmente dai loro elet-
tori) trascurando colpevolmente la necessità,
l’obbligo di fare di un Pdl - che ha ormai
smarrito la sua genuina matrice liberale di
massa - un partito vero, con organismi veri,
con ruoli e livelli diversificati legittimi e le-
gittimati, con sedi di dibattiti e di verifiche e
di aperture e di incontri collettivi, che non
fossero le solite kermesse. Di anno in anno
sempre più stanche e ripetitive. Adesso, che
il gioco si è fatto duro, i duri sono scomparsi,
si sono fatti silenti, arroccati, spaventati dallo
sbriciolamento in atto cui non riescono nep-
pure a porre un argine di parole. Come pa-
ralizzati assistono allo sfarimamento di un
Pdl che aveva, solo due anni fa, il 35%, ed
oggi viaggia sul 15%, forse. E così, per qual-
cuno, è facile lasciare la nave che affonda e
per altri diventa comodo dare la colpa alla
stanchezza del nocchiero e alle sue manie so-
lipsistiche e ai suoi concetti padronali. Come
se loro non c’entrassero con quel sistema
del “padrone sono me” che hanno accettato
entusiasticamente e che, peraltro, li gratificati
a centinaia, a volte senza alcun merito. E
adesso? Pdl, se ci sei, batti un colpo!
PAOLO PILLITTERI
Palestina all’Onu?
(...)
con un riconoscimento dello Stato pale-
stinese l’Anp possa “tenere a bada”Hamas.
Chi ci crede? La maggioranza dei Paesi al-
l’Onu: almeno 150 su 193 sono pronti a vo-
tare per la promozione dell’Anp. Fra cui la
Francia, che lo ha già anticipato, seguita dalla
Svizzera e dalla Danimarca. La Gran Breta-
gna ha preannunciato l’astensione, la Ger-
mania un voto contrario. Mentre gli Usa mi-
nacciano la sospensione degli aiuti all’Anp
nel caso avvenga il riconoscimento. Oggi sarà
il momento della verità.
STEFANO MAGNI
Sanità pubblica, i riflessi
pavloviani della sinistra
Pd siciliano verso
la resa dei conti?
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L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 29 NOVEMBRE 2012
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