Pagina 1 - Opinione del 31-8-2012

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Venerdì 31 Agosto 2012
delle Libertà
Napolitano, Ingroia e la campagna elettorale
esplosione definitiva del caso
Napolitano fa definitivamente
piazza pulita della truffaldina distin-
zione tra intercettazioni penalmente
rilevanti ed intercettazioni penal-
mente irrilevanti. Le parole che il
presidente della Repubblica avrebbe
pronunciato nelle conversazioni te-
lefoniche con Nicola Mancino, in-
tercettate dalla procura di Palermo,
sono sicuramente “penalmente irri-
levanti” e, come tali, non hanno al-
cuna utilità per l’inchiesta sulla pre-
sunta “trattativa” tra stato e mafia
della prima metà degli anni ‘90. Ma,
prima ancora di essere politicamente
esplosive, colpiscono non solo e non
tanto il diritto alla riservatezza (o
L’
alla privacy, termine che sembra fat-
to apposta per ridurre e subordinare
questo diritto al cosidetto diritto al-
l’informazione della collettività) del
Capo dello stato. Ma feriscono in
maniera pesante ed inguaribile la di-
gnità stessa di Giorgio Napolitano
in quanto presidente della Repub-
blica ed in quanto cittadino della
Repubblica italiana. Avere intercet-
tato e tranquillamente conservato
le registrazioni in attesa che per
qualche accidentale fuga di notizie
o per semplice applicazione delle
norme di procedura venissero rese
note, quindi, significa aver delibera-
tamente colpito e calpestato il diritto
alla conservazione della propria di-
gnità personale del Capo dello stato
e dell’individuo Giorgio Napolitano.
Secondo la cultura di stampo auto-
ritario che caratterizza i giustizialisti
italiani non solo è normale ma è ad-
dirittura auspicabile che il diritto
collettivo all’informazione prenda
regolarmente a calci il diritto indi-
viduale alla intoccabilità della pro-
pria dignità personale. Ma secondo
i valori della nostra democrazia li-
berale, però, non ci può essere al-
cuna supremazia del diritto collet-
tivo su quello individuale. Al
massimo ci può essere equilibrio.
Per cui la conclusione dell’esplosione
del caso Napolitano non può non
provocare l’immediata accelerazione
della nuova normativa sulle inter-
cettazioni telefoniche (comprese
quelle che toccano ogni comune cit-
tadino). L’alternativa è la resa alla
cultura autoritaria di un giustiziali-
smo che ormai non nasconde più la
sua volontà di potere sull’intera so-
cietà italiana. L’ultima fiammata
scandalistica sul caso Napolitano lo
conferma fin troppo chiaramente.
Nessuno s’illude che le indiscrezioni
sulle conversazioni telefoniche del
Quirinale siano uscite per caso. Non
esiste un solo caso di pubblicazione
di registrazioni riservate che non sia-
no il frutto di una precisa strategia.
Processuale o politica che sia.
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Paul Ryan e lo spirito liberista degli anni Ottanta
a serata di mercoledì della
Convention nazionale dei Re-
pubblicani è stata caratterizzata
dalla “consacrazione” di Mitt
Romney quale candidato presiden-
te. La nomina, sinora esistente solo
di fatto, ora è anche formale. Ma
è stata caratterizzata soprattutto
da un’altra consacrazione: quella
del programma liberista. E la sua
mente è Paul Ryan, aspirante vice-
presidente.
Il Gop non è sempre stato così.
Non lo era ai tempi di George W.
Bush, tanto per ricordare tempi re-
centissimi: il suo “conservatorismo
compassionevole” era infatti una
proposta di welfare. Più leggero e
L
decentrato rispetto a quello dei De-
mocratici, era pur sempre uno sta-
to sociale. Nella storia recente vi
furono solo due grandi svolte libe-
riste nel programma del Gop: una
fallita, nel 1964, con la candidatu-
ra di Barry Goldwater («L’estremi-
smo in difesa della libertà non è
un vizio») e l’altra, riuscita, con
Ronald Reagan, nel 1980 («Lo
Stato non è la soluzione ai proble-
mi. Lo Stato è il problema»). Il
Partito Repubblicano di questo
2012 tenta la sua terza grande
svolta liberista. Una scommessa
forte, in tempi di crisi economica
galoppante e disoccupazione re-
cord, incoraggiata dalla nascita e
crescita del movimento anti-tasse
Tea Party e dalla vittoria dei suoi
candidati alle elezioni di Medio
Termine del 2010.
Paul Ryan, che ha entusiasmato
la Convention con il suo discorso,
è la miglior incarnazione di questa
svolta. Il suo argomento è chiaris-
simo: «Con una chiara rottura da-
gli anni di Obama, e, francamente,
dagli anni precedenti a questo pre-
sidente (quelli di George W. Bush
e Bill Clinton, ndr), noi manterre-
mo il livello di spesa pubblica fe-
derale al di sotto del 20% del Pil.
È già abbastanza. La scelta è dra-
stica: porre limiti alla crescita eco-
nomica, o al peso dello Stato. Noi
scegliamo di limitare il peso dello
Stato». L’attacco si riassume in uno
slogan molto forte: «Basta spen-
dere soldi che non abbiamo!». Ed
è motivato da un forte senso di ur-
genza: un debito pubblico di 16mi-
la miliardi di dollari, cresciuto di
5mila miliardi in 4 anni: «Il presi-
dente Obama ha aggiunto più de-
biti di qualsiasi altro presidente
prima di lui, molti più di tutti i go-
verni europei messi assieme».
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2
di
STEFANO MAGNI
Il discorso del candidato
vicepresidente del Gop
è un attacco a testa
bassa al “socialismo
obamiano”.Ma anche
una proposta di cura
dimagrante dello stato,
con una spesa pubblica
limitata al 20%del Pil.
Un Reagan redivivo?
di
ARTURO DIACONALE
Qualcuno potrebbe
avere in mente
di “costringere” il pm
palermitano a diventare
il testimonial
dei giustizialisti
alle prossime elezioni,
nella speranza
di conquistare
l’egemonia nella sinistra
Assedio giustizialista al Quirinale
K
È tutta campagna elettorale.
Becera, inquisitoria e senza esclusione
di colpi, come del resto ci ha abituato la
politica nazionale di questi tempi, ma
comunque campagna elettorale. Dietro i
reiterati attacchi mossi al Quirinale da
parte della frangia più forcaiola della
stampa nazionale, il desiderio di verità
circa la presunta trattativa tra stato e
mafia si rivela uno specchietto per le al-
lodole: si intravede anzi, sempre più
chiaramente, il disegno politico di fo-
mentare l’elettorato giustizialista della
sinistra italiana con il preciso scopo di
arrivare all’immimente appuntamento
elettorale con un vero e proprio partito
delle toghe. Magari (chissà?) capita-
nato proprio dal pm palermitano Anto-
nio Ingroia, il vate-Godot di tutti i fogli
delle procure e dei loro accaniti lettori,
che certo non disdegnerebbero di cro-
cettare il suo nome nell’urna. Una
grossa grana per il Pd, che questo en-
nesimo nemico a sinistra se l’è cre-
sciuto, coltivato, vezzeggiato e
coccolato a lungo, in funzione antiber-
lusconiana, e dal quale ora rischia di
vedersi portar via una valanga di voti.