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ESTERI
II
«
Cari imprenditori, venite a investire inUganda»
di
LUCA PAUTASSO
internazionalizzazione come
antidoto alla crisi. Conquistare
nuovi orizzonti commerciali non è
più soltanto un’opportunità interes-
sante: è una necessità dalla quale
non si può prescindere. Già, ma da
dove cominciare? Ma dall’Uganda,
ovviamente.
Ne è assolutamente convinto Ste-
fano Antonio Dejak, ambasciatore
italiano a Kampala. Nato a Udine
nel 1959, grande esperto di Corno
d’Africa e area subsahariana, dal 1
novembre dello scorso anno Dejak
è il rappresentante diplomatico ita-
liano in Uganda, Ruanda e Burundi.
Sin dal giorno del suo insediamento,
uno dei principali obiettivi della sua
azione è stato quello di sondare le
opportunità di investimento ed
espansione per le aziende italiane
nei mercati di quella particolare area
africana. Il responso finale? Nel
prossimi cinque anni, l’Uganda at-
traverserà un periodo di crescita
economica senza precedenti, e per
gli imprenditori di casa nostra che
decidessero di ritagliarsi un ruolo
importante all’interno del mercato
locale le prospettive di crescita sono
eccellenti. «Aprirsi a nuovi mercati
è un modo efficace di superare la
crisi: i nostri prodotti e il nostro
know-how
non hanno ragione di
continuare a soffrire» spiega Dejak.
«
L’Uganda - prosegue - sia come
paese che come area economica, ga-
rantisce una precondizione fonda-
mentale per l’espansione: la stabili-
tà».
Ma c’è dell’altro. C’è il petrolio.
Tanto petrolio. Più che sufficiente
per condizionare nei prossimi anni
una vera e propria rivoluzione del-
l’economia locale. Nell’area del lago
Alberto, lungo il confine con la Re-
pubblica Democratica del Congo, è
stata accertata la presenza di qual-
cosa come 3,5 miliardi di barili di
greggio. E, fino ad ora, come spiega
l’ambasciatiore italiano, «è stato
sondato solo il 40% dell’intera area
petrolifera». L’Uganda ha appena
intrapreso il cammino che lo con-
durrà a diventare paese produttore
e a poter commercializzare entro un
quinquennio il suo oro nero. Si sca-
vano pozzi, si costruiscono raffinerie
e oleodotti, si stilano le nuove nor-
mative per l’estrazione e l’assegna-
zione delle licenze: un quadro d’in-
sieme che rappresenta una garanzia
affidabile del fatto che molto presto
il petrolio produrrà benessere eco-
nomico. Ma soprattutto, dice Dejak,
la vera sfida ugandese risiede nel fat-
to che «da qui a quando il petrolio
verrà commercializzato occorrerà
sviluppare velocemente anche altri
settori dell’economia, per evitare che
la dipendenza esclusiva da questa
materia prima produca paradossal-
mente un’involuzione economica e
politica».
Ed è proprio qui che entrano in
gioco le opportunità per le imprese
italiane. L’Uganda conta da solo cir-
ca 34 milioni di abitanti, pronti da
un giorno all’altro a trasformarsi in
altrettanti potenziali consumatori.
Forte del 4° tasso di crescita demo-
grafica al mondo, immette ogni an-
no un milione di giovani sul merca-
to del lavoro. In più, l’Uganda è
parte integrante della East African
Community, che comprende anche
Kenia, Ruanda, Burundi, Tanzania,
con il Sud Sudan autocandidatosi
L’
italiane operanti nel mercato ugan-
dese, dal settore delle costruzioni a
quello turistico, passando per la ri-
storazione, l’alimentare, l’energia e
il ramo manufatturiero. Obiettivo
del Business Club, oltre a quello di
fare sistema tra gli operatori già pre-
senti nel paese, anche quello di fare
informazione tra gli imprenditori
italiani interessati ad aprirsi all’in-
ternazionalizzazione: «Prima di tut-
to, vogliamo dire alle imprese ita-
liane che qui ci sono opportunità
per tutti. In secondo luogo, voglia-
mo sfatare tutte quelle voci, purtrop-
po ancoramolto diffuse tra gli im-
prenditori nostrani, secondo cui in
Uganda sarebbe ancora in corso una
guerra civile. Niente di più falso: la
realtà ugandese è assolutamente sta-
bile e sicura». Anche il famigerato
Lord’s Resistance Army guidato dal
guerrigliero-santone Joseph Kony,
finito sotto i riflettori delle cronache
internazionali per il massiccio sfrut-
tamento di bambini-soldato, e che
fino al 2006 imperversava nel nord
del paese, è stato costretto ad ab-
bandonare il territorio ugandese per
ripiegare verso Congo, Repubblica
Centrafricana e Sud Sudan.
Nell’enorme ventaglio di oppor-
tunità, quali potrebbero essere quelle
più significative nel prossimo futu-
ro? Secondo l’ambasciatore, tra i
settori potenzialmente trainanti fi-
gurano agricoltura ed energia, anche
attingendo a strumenti finanziari
messi a disposizione dall’Ue, come
ad esempio il progetto di sviluppo
denominato
Agenda For Change
.
Proprio in campo energetico, la
compagnia italiana Salini ha recen-
temente completato la realizzazione
della grande diga di Bujagali, desti-
nata alla produzione di energia
idroelettrica. E nel settore agricolo
le potenzialità sono pressoché scon-
finate: «L’Uganda vanta alcune tra
le terre più fertili di tutto il conti-
nente africano, in grado di garantire
2-3
raccolti ogni anno» spiega il no-
stro ambasciatore. «Ma, soprattutto,
in tutta l’Africa non si trovano con-
dizioni naturali così favorevoli in
zone che possano vantare una simile
stabilità politca. Opportunamente
sfruttate, queste potenzialità potreb-
bero facilmente trasformare il paese
in un enorme esportatore agricolo».
L’occasione, a Kampala, è dav-
vero a portata di mano. Chi fosse
disposto a guardare al di là del pro-
prio naso potrebbe fare suo un mer-
cato ghiotto e potenzialmente scon-
finato. Con in più l’opportunità di
poter contare sul ruolo giocato pro-
prio dalla presenza del Business
Club Italia: «un vettore di informa-
zioni e di contatti per le imprese in-
teressate ad internazionalizzare
guardando all’Uganda, e un veicolo
di informazioni sul fatto che vale
davvero la pena interessarsi al-
l’Uganda».
per un prossimo ingresso: sbarcare
a Kampala, dunque, significa met-
tere piede in un bacino di mercato
che conta complessivamente 140
milioni di consumatori potenziali, a
sua volta connesso a doppio filo con
i mercati arabi al di là del Mar Ros-
so e del Golfo di Aden, grazie alla
rete infrastrutturale dei porti affac-
ciati sull’oceano indiano. A sostegno
della sua tesi, Dejak porta un esem-
pio concreto: «In Italia si stima che
ci siano in media cinque sedie per
ogni abitante. Da queste parti, le sti-
me sono all’esatto opposto: una se-
dia ogni cinque abitanti. Basterebbe
già questo dato oggettivo a palesare
come i produttori di un distretto
produttivo importante nel nostro
paese com’è per l’appunto quello
friulano della sedia possano fonda-
tamente auspicare di accedere ai
mercati di questi paesi nel prossimo
decennio. Ad un periodo di forte
crescita corrispondono sbocchi in-
teressanti».
Il mercato offre opportunità per
tutti. Basta saper rispondere effica-
cemente con una logica di filiera: se
c’è domanda di nuove case, ad
esempio, ci sono opportunità per chi
opera nell’edilizia, ma anche per chi
lavora nel settore degli infissi, del-
l’arredamento, e così via. Senza con-
tare che il benessere economico apre
praterie sconfinate anche nella do-
manda di infrastrutture ed energia,
altro settore in cui le aziende italiane
hanno molto da dire.
Sia da solo che nel complesso
della comunità economica in cui si
inserisce, quello ugandese è dunque
un mercato in crescita, stabile, po-
tenzialmente molto forte e tutto da
conquistare, su cui proprio l’Italia
può giocarsi rispetto ai concorrenti
una carta fondamentale: l’incredibile
appeal di cui gode il Made in Italy
da queste parti. «L’Italia gode di una
fama eccezionalmente positiva, in
Uganda», dice l’ambasciatore a
Kampala. «Un elemento fondamen-
tale del processo di internazionaliz-
zazione - prosegue Stefano Dejak -
è dato proprio dalla percezione che
un determinato mercato ha dei pro-
dotti che vi si vogliono commercia-
lizzare, e di chi li commercializza:
qui l’Italia è molto conosiciuta, così
come è conosciuta e apprezzata la
comunità italiana che vive in Ugan-
da. Rispetto ad aree economiche in
cui il nostro paese è conosciuto mol-
to meno, o diversamente apprezzato,
qui le opportunità sono nettamente
superiori».
Un enorme mercato tutto da
conquistare, per l’appunto, ma an-
cora poco conosciuto dalle nostre
parti. Quasi un paradosso, se si con-
sidera che qui, come nel resto del-
l’Africa subsahariana, la presenza
italiana è stata importantissima fino
agli anni ‘80: «Marchi come Fiat,
Agip e Pirelli erano conosciuti da
tutti» dice il nostro rappresentante
diplomatico. Poi, il crollo della Cor-
tina di Ferro e l’apertura dei mercati
orientali ha portato molte imprese
a dirottare i propri interessi verso
l’Europa dell’est e l’estremo oriente.
Adesso, dice Dejak, il momento è
propizio per tornare ad investire da
queste parti. E chi già lo sta facendo
ne vede i risultati positivi.
L’8 ottobre scorso, proprio su
iniziativa del nostro ambasciatore a
Kampala, è nato in Uganda il Busi-
ness Club Italia, l’associazione che
raccoglie una cinquantina di imprese
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 31 OTTOBRE 2012
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