I perché del no al matrimonio gay

sabato 21 luglio 2012


All’Assemblea del Pd, svoltasi il 14 luglio scorso a Roma, è stata presentato un documento dal Comitato per i diritti, che affrontava la tematica delle coppie omosessuali. È stato approvato, con 38 no. Subito dopo è stato anche presentato un ordine del giorno che prevedeva l’equiparazione del matrimonio omosessuale al matrimonio civile. La questione ha suscitato parecchie polemiche. Vi sono state proteste e contestazioni. L’ordine del giorno non è stato neanche ammesso ai voti. Rosy Bindi ha commentato questi fatti dicendo che in tutte le assemblee vi sono procedure che vanno rispettate: non si poteva votare l’ordine del giorno, dato che, con il primo documento, già votato, si erano esclusi i matrimoni omosessuali perché la Costituzione non li prevede.

Qualche riflessione. Perché chiamare “matrimonio” il rapporto fra due omosessuali? Perché le persone omosessuali tengono che il loro rapporto sia chiamato matrimonio? Se stiamo all’etimologia della parola “matrimonio” (cioè matris munio, rendere madre), il matrimonio è quello stato di vita in cui una donna diventa madre. E il rapporto affettivo tra due dello stesso sesso (per esempio, tra due uomini) non può realizzare mai questo fatto di rendere madre. Se poi passiamo al significato che viene dato dall’uso comune alla parola matrimonio, constatiamo che per matrimonio s’intende il rapporto affettivo tra un uomo e una donna, che si prendono cura l’uno dell’altro e che tendono a procreare. E tra due uomini, certo, ci può essere rapporto affettivo e cura reciproca, però non si può mai realizzare la procreazione. E allora, perché denominare con un unico termine “matrimonio”, due realtà così diverse? Da alcuni è stato apportato questo esempio: si può pretendere di chiamare con il nome di “Barolo”, un’altra spremuta qualsiasi di uva, dicendo che entrambi sono vini e che non bisogna discriminare i vini fra di loro? Si creerebbe soltanto confusione. Lo stesso avverrebbe se il rapporto affettivo fra due dello stesso sesso e in cui l’uno si prende cura dell’altro, verrebbe chiamato matrimonio.

Per conseguenza, le persone omosessuali devono usare un’altra termine per indicare il loro rapporto, e non il termine “matrimonio”, che ha un’etimologia ben diversa e un contenuto, un significato, non applicabile a loro. È necessario, quindi, che le persone omosessuali facciano lo sforzo di trovare un altro termine per indicare il loro stato di vita. Non si hanno gli stessi doveri e quindi neanche gli stessi diritti. Premettiamo che i cittadini hanno il diritto di creare i rapporti che ritengono opportuni per la loro vita e la loro crescita. Gli omosessuali, però, non possono pretendere di avere lo stesso tipo di riconoscimento giuridico e gli stessi diritti, di un’altra realtà, cioè il matrimonio, che è diversa dalla loro. Si può, certo, pensare che l’affetto reciproco e il prendersi cura l’uno dell’altro, di una coppia omosessuale, abbiano un riconoscimento e conferiscano alcuni diritti. Ma il riconoscimento giuridico e i diritti che ne discendono, non possono essere identici a quelli che hanno coloro che dovranno anche occuparsi della prole nascitura. I coniugi hanno, a motivo della prole, maggiori oneri, da cui la società trarrà un beneficio futuro. Gli omosessuali, per definizione, invece, non hanno prole. Quindi hanno meno doveri e, per conseguenza, meno diritti. Nel matrimonio, evidentemente, c’è dell’altro. Oltre ai problemi della “giustizia commutativa”, che si esauriscono nel benessere e nella gratificazione di due persone, cioè nel loro rapporto interno, senza benefici per il bene comune e senza che si contribuisca al perpetuarsi della società, i diritti che vengono conferiti con il matrimonio, sono anche in relazione alla “giustizia distributiva”, cioè in base all’apporto che ciascuno dà al bene comune e allo sviluppo della società. La procreazione-educazione dei figli, infatti, è sorgente di vita e di benessere per la società, e è da ciò promanano gli ulteriori diritti. Quindi, sì al riconoscimento di alcuni diritti per le coppie omosessuali; ma non potranno mai essere diritti uguali a quelli che derivano dal matrimonio. Ma una coppia omosessuale costituisce una famiglia ?

Partiamo, anche in questo caso, dal significato della parola “famiglia”. Anche se la concezione della famiglia muta con il tempo e con lo spazio, c’è, sempre ed ovunque, un elemento costante nella definizione di famiglia: è la coppia uomo-donna con figli (i latini vi comprendevano anche la servitù). Per conseguenza, una coppia omosessuale non può chiamarsi una famiglia, perché non ha una prole propria. O ci si dovrebbe limitare a dire “coppia” oppure (come è stato detto per il termine “matrimonio”), bisogna adoperare un termine diverso. Vediamo anche il punto di vista socio-culturale. L’arrivo di un figlio non crea soltanto una situazione nuova nell’uomo e nella donna che, da sposi, diventano genitori. Ma dà origine anche ad una rete estesa e profonda di relazioni parentali. I genitori degli sposi, diventano nonni; i fratelli e le sorelle dei genitori del nuovo nato, zii; i figli di questi fratelli e sorelle, cugini. Tutte queste persone sono legate da un nuovo rapporto di parentela che, molto spesso, soprattutto con gli anni, è fondamento di attenzione e di cura reciproca.

Nella società familiare nascono, così, naturali gruppi di mutuo aiuto, che educano all’attenzione e al rispetto verso l’altro e che talvolta, come accade attualmente in questo periodo di crisi economica, possono dare anche supporto nelle difficoltà finanziarie. Perché non in Chiesa ? Alcuni omosessuali vorrebbero che la loro unione potesse essere celebrata e benedetta in Chiesa. Se il loro rapporto fosse solamente affettivo e di cura reciproca, in teoria, potrebbe essere anche benedetto in Chiesa. Ma siccome si suppone pure un rapporto more uxorio, è impossibile. Il rapporto more uxorio, infatti, per i cristiani è un sacramento ed è solo fra un uomo e una donna. Se non si crede al significato dei sacramenti e non si aderisce alla fede della Chiesa, che senso avrebbe benedire questa unione nella Chiesa-edificio di pietra ? Per quale motivo si vorrebbe che questa unione fosse benedetta in Chiesa, se non si crede alla Chiesa e non si accetta ciò che essa insegna? È pur vero che il Sinodo delle Chiese Valdesi e Metodiste (20 agosto 2010), ha demandato questa decisione di ammettere alla benedizione delle coppie omosessuali, alle singole chiese locali. Ed, infatti, nella Chiesa Valdese di Milano, la domenica 26 giugno 2011, è stata benedetta una coppia omosessuale, durante il culto domenicale. Per i Valdesi, però, il matrimonio non è un sacramento, ma consiste in una semplice benedizione impartita a una coppia sposata civilmente. Essi, inoltre, rappresentano l’unica eccezione tra tutte le Chiese Riformate. Alcuni Paesi hanno già affrontato il problema delle unioni fra omosessuali. Qualcuno ha creato un nuovo istituto e gli ha dato anche un nome nuovo, come la Francia (Patto civile di solidarietà), la Svizzera (Unione domestica registrata), la Germania (Contratto di vita comune), la Danimarca (Partenariato registrato), il Sud Africa (Unione Civile).

Altri, invece, hanno permesso che la parola matrimonio definisse anche unioni fra coppie dello stesso sesso. L’Italia ha cercato di percorrere la strada francese, ma il tentativo effettuato dal governo Prodi non è andato in porto. Anche la Gran Bretagna di David Cameron si è posto il problema; pur se l’arcivescovo di York gli si è schierato contro, ha ugualmente deciso di promuovere, anzitutto, una grande riflessione a livello nazionale, sul tema. Nel continente africano abbiamo una situazione tutta particolare: in 38 stati su 53, l’omosessualità è addirittura punita dalla legge. Dal punto di vista religioso si rileva che, come si è detto sopra, per la quasi totalità delle Chiese cristiane, il termine “matrimonio”, essendo finalizzato ad assicurare anche il perpetuarsi della specie, è riservato solo ad unioni fra persone di sesso diverso. Per gli ebrei di Israele, dato che il matrimonio è sottoposto alle autorità religiose e manca l’istituto del matrimonio civile, non è possibile il matrimonio omosessuale. Una decisione della Corte Suprema (21-11-2006) riconosce, però, quelli contratti all’estero. Per i musulmani, poiché l’Islam è nettamente contrario all’omosessualità, il matrimonio fra persone delle stesso sesso è impossibile. Ciò non impedisce che esistano degli omosessuali fra i musulmani. In Italia vi è anche un’associazione che li raggruppa, il Moi (Musulmani omosessuali in Italia), che fa parte della Conferenza delle Associazioni Musulmane in Europa. Concludiamo auspicando che in Italia possa venire ripreso il percorso interrotto con la proposta avanzata dal governo Prodi (i “Dico”, diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi) che, pur escludendo l’uso del termine “matrimonio”, prevedeva tuttavia il riconoscimento legale dei diritti delle persone appartenenti a coppie omosessuali.


di Elena Vitanca