Tutti quanti voglion fare il jazz...

«Tutti quanti, tutti quanti, tutti quanti voglion fare il jazz, perché resister non si può al ritmo del jazz...» cantava Scat Cat, il favoloso gattone grigio degli Aristogatti. In Italia, invece, di resistenze il jazz ne incontra parecchie. Al crescente consenso ed alla diffusione di questo genere musicale che ha contrassegnato tutto il ventesimo secolo e che ha acquisito un ampissimo bacino di pubblico oltre che una notevole considerazione sul piano internazionale, non corrisponde infatti sul piano istituzionale un’adeguata attenzione e conformi stanziamenti economici. Quello del jazz è un settore che potrebbe diventare economicamente strategico per il Paese, un capitale culturale dalle enormi potenzialità visto che  in questi anni ha acquisito un ampio bacino di pubblico e una ragguardevole reputazione internazionale. Eppure un misto di obiettiva cecità istituzionale e politica e di snobismo prevalgono nei confronti di una cultura musicale che, sebbene sia ormai entrata di diritto tra le discipline insegnate in conservatori ed accademie e abbia contaminato l’intero ventaglio delle forme artistiche del secolo scorso e di quello corrente, seguita a risentire di un vecchio ma consolidato pregiudizio che ne fa un figlio di un dio minore nel prestigioso pantheon della musica classica. E che di fatto ne misconosce il carattere universale, cosmopolita, multiraziale e la incredibile vocazione a fondere in un linguaggio comune la varietà degli influssi di provenienza. 

Un trend questo che potrebbe essere invertito stando alle dichiarazioni fatte da molte forze politiche di voler includere lo sviluppo del settore cultura come settore strategico tra i punti programmatici di governo. Ma che un nutrito gruppo di esperti del settore musicale jazzistico ha inteso puntellare con la petizione “Per il Jazz” che si trova sul sito www.xiliajazz.it ed ha già raccolto 200 firmatari tra cui figurano i migliori musicisti  italiani. Gli aderenti  richiedono che vengano adottati alcuni provvedimenti in grado di favorire una migliore conoscenza di questa musica sia in Italia sia all’estero e migliori condizioni per i musicisti e gli organizzatori e le altre figure professionali del settore. Da un diverso sistema di finanziamento che superi i limiti del Fus, con una maggiore attenzione per le strutture specializzate nel jazz e nelle musiche d’oggi; che i finanziamenti premino l’attività dei musicisti giovani e  impegnati nella sperimentazione di nuove forme e nuovi linguaggi; l’adozione di parametri di valutazione che favoriscano il lavoro dei musicisti libero-professionisti; l’istituzione di una orchestra nazionale del jazz anche giovanile e di un fondo, che per la musica classica esiste, per il sostegno dell’attività all’estero, così come accade per l’attività dei musicisti jazz di altri paesi europei, da decenni sostenuta dai rispettivi istituti di cultura; un fondo per favorire le strutture di musicisti associati e le co-produzioni fra strutture organizzative e che punti sulla formazione a partire dalle  scuole di musica fino ai centri di alta specializzazione. In fine una più ampia presenza nelle commissioni di valutazione di esperti di musica jazz ed attuale. 

Non si tratta di rispondere ad un cahiers de doleance che riguarda  il mondo del  jazz e la sua gestione nel nostro paese ma di una presa d’atto obiettiva delle occasioni di crescita perse anche a causa di un approccio che finora è stat incapace di fare della cultura l’ effettivo volano di sviluppo economico che sarebbe ed in particolare all’incremento delle potenzialità di questo universo musicale. E che nell’ambito del jazz mostra le sue più evidenti lacune. Anche alla luce di come questo settore viene, al contrario, trattato nel resto d’Europa: Il Norsk Jazzforum viene finanziato con 1.475.965 di euro l’anno, mentre i 3 centri jazz regionali percepiscono un totale di 1.103.349 euro. Altri centri nazionali, la maggior parte dei quali non hanno l’onere di organizzare concerti ma solo fini promozionali, conoscitivi e di sostegno all’attività internazionale: Jazz Danmark, 976.740 euro; Jazz Services Ltd. (il suo ambito è limitato all’Inghilterra e non comprende il resto del Regno Unito), 547.055 euro; Finnish Jazz Federation, 434.658 euro; Swedish Jazz Federation, 790.000 euro; Afijma, 364.783 euro. L’unica struttura federativa paragonabile in Italia è l’associazione I-Jazz, che percepisce dal Ministero 12.000 euro l’anno. Sono dati significativi che non debbono servire da grimaldello ad un approccio interamente statalista: l’eccesso  di intervento statale, lungi dal rappresentare l’unico tonico per la cultura, spesso ne è la flebo se non affiancato dagli investimenti privati e dalla capacità dei singoli di imporsi sul mercato. Ma l’elevato potenziale di moltiplicazione di ricchezza e di lavoro del genere jazz non è più dato trascurabile dalle istituzioni che dovrebbero occuparsi di  creare le condizioni perché questo mercato si affermi e sviluppi.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:14