Il pensiero politico di Carlo Cattaneo /2

giovedì 6 giugno 2013


Pubblichiamo la seconda puntata della nostra "breve storia" del pensiero federalista italiano.

Il pensiero federalista di Cattaneo era impostato su un forte pensiero liberale e laico. All'alba dell'Unificazione italiana, Cattaneo era fautore di un sistema politico basato su una confederazione di stati italiani sullo stile della Svizzera, il Sunderbund. Egli, infatti, avendo stretto amicizia di vecchia data con intellettuali e politici ticinesi, aveva ammirato nei suoi viaggi l'organizzazione e lo sviluppo economico della Svizzera, conseguenti a tale forma di governo dell’aggregazione. Per Cattaneo scienza e giustizia devono guidare il progresso della società, tramite esse l'uomo comprende l'assoluto valore della libertà di pensiero; il progresso umano non può essere solo individuale ma collettivo, attraverso il continuo confronto con gli altri, pertanto attraverso la partecipazione alla vita della società. Uno dei suoi più noti aforismi recita: sono gli uomini che scandiscono le tappe del progresso. Gli uomini primitivi si sono associati per istinto, "la società è un fatto antropologico necessario, permanente e universale..."; in estrema sintesi le menti individuali si sono associate per necessità dando origine ad un effettivo "federalismo delle intelligenze umane".

Riflettiamo su un concetto attualissimo: più scambio e confronto ci sono, più la singola intelligenza diventa rispettosa delle altre, permettendo la formazione (o la conferma) della società del rispetto: i sistemi cognitivi dell'individuo devono essere sempre aperti, bisogna essere sempre pronti ad analizzare nuove verità. Cattaneo è un convinto relativista. Così come le intelligenze si sono federate, lo stesso devono fare gli Stati Europei che hanno interessi di fondo comuni; attraverso il federalismo i popoli possono gestire correttamente la partecipazione alla cosa pubblica, alla società: "il popolo deve tenere le mani sulla propria libertà", il popolo non deve delegare la propria libertà ad un altro popolo lontano dalle proprie esigenze, pertanto il federalismo è il netto rifiuto del colonialismo. La libertà economica è fondamentale per Cattaneo, è la prosecuzione della libertà di fare: "la libertà è una pianta dalle molte radici" e le radici non vanno tagliate, altrimenti la pianta muore.

La libertà economica necessita di uguaglianza di condizioni, le disparità ci saranno ma solo dopo che tutti avranno avuto la possibilità di confrontarsi e competere. Il concetto della “parità di condizioni di partenza” favorisce il processo di unione tra diversi Stati (i soggetti federali) facendo loro mantenere in determinati settori le proprie leggi particolari, nella condivisione di una Costituzione e di leggi promulgate dal Governo comune. L'unicum che si viene a generare è la federazione, e presenta due livelli di divisione costituzionale del potere distinti tra loro, pertanto sia il governo centrale sia i singoli Stati federati hanno sovranità nelle rispettive competenze. Caratteristica peculiare del federalismo economico è il decentramento della gestione pubblica, in cui si dovrebbe attribuire ai singoli enti locali una maggiore autonomia nella raccolta delle imposte e nell'amministrazione delle proprie entrate e delle spese. Il controllo deve essere esercitato da un potere giudiziario indipendente, necessario per evitare o correggere ogni atto legislativo incongruente con la costituzione.

Perciò, il federalismo sia politico che economico, pur nel rigoroso rispetto della divisione dei poteri, ha i precisi limiti della legalità. Su questo tema è interessante il pensiero di uno dei più autorevoli Consulenti Costituzionali del Commonwealth, il professore australiano Kenneth Clinton Wheare che alla Convenzione Nazionale di Terranova del 1946 così definì il Governo Federale: "Un sistema di governo che incorpora prevalentemente una divisione dei poteri tra autorità generale (federale) e regionali (o statali), ognuna delle quali, nella sua propria sfera, è coordinata con le altre e indipendente da esse. Il risultato della distribuzione dei poteri è che nessun'autorità può esercitare lo stesso livello di potere che avrebbe in uno Stato unitario”.

(2/ continua)


di Flavio Mais