Un “ponte musicale” tra Usa ed Europa

Abituati come siamo ad analizzare le dinamiche dell’emigrazione italiana negli Usa, e di come i nostri connazionali venivano visti e descritti dagli Americani, abbiamo trovato molto interessante in qualche modo rovesciare la prospettiva, e cercare di comprendere se e come nell’élite del mondo dell’opera italiano del XVIII secolo si facesse cenno alle idee e agli eventi della rivoluzione americana. Lo possiamo fare grazie al prezioso lavoro del professor Pierpaolo Polzonetti, che insegna musica e studi umanistici alla prestigiosa Università di Notre Dame nell’Indiana, e che su questo ha pubblicato un interessantissimo volume.

Professor Polzonetti, lei è l’autore di “Italian Opera in the Age of the American Revolution”, un interessantissimo volume che descrive il modo nel quale le opere italiane ed europee del XVIII secolo descrivevano quanto stava accadendo in quegli anni rivoluzionari in America. Ci racconta qualcosa su questo?

Si tratta di una serie di opere, soprattutto comiche, scritte tra il 1768 e i primi anni 90 del ‘700. In quegli anni, ci fu un’esplosione della tematica americana che coincise con la diffusione delle prime notizie dei moti americani sulle gazzette italiane: anche se in nessuna di queste opere viene fatto un diretto ed esplicito riferimento alla rivoluzione americana, questi drammi per musica si basano su argomenti inusuali e in molti casi rompono con certe convenzioni dell’opera buffa. La prima, I napoletani in America di Niccolò Piccinni, è del 1768 e rappresenta una ragazza napoletana che viene derubata della dote: è sedotta e abbandonata e quindi va in America per disperazione, dove diventa governatrice di una provincia di “selvaggi americani”. In queste opere, per esempio in L’Americana in Olanda, il termine “americano” significava nativo Americano (non si usava il termine errato “indiano”); invece quando si descrivevano gli americani bianchi, li si chiamavano “inglesi”. Ne L’orfanella americana (1787), un libretto di Porta ispirato da La bella selvaggia di Goldoni e messo in musica da Pasquale Anfossi, appare anche il tema della rivoluzione, che comincia ad essere vista non tanto come una guerra contro gli inglesi, ma come una rivoluzione vera e propria all’interno dell’Inghilterra. Qui infatti abbiamo “inglesi” contro “inglesi” che in questo caso sostituiscono i personaggi spagnoli del dramma goldoniano. Per rendere l’idea del grado di modernità, le cito l'opera La quacquera spiritosa, uno strano libretto buffo di Giuseppe Palomba. Presentata a Napoli nel 1783, fu rifatta a Vienna nel 1790 come “Pasticcio”, ossia opera rimaneggiata da Lorenzo Da Ponte con nuove musiche scritte tutti i più grandi compositori come Haydn, Mozart, Cimarosa, Paisiello… ci misero le mani così tanti prestigiosi compositori, forse perché era veramente un tema strepitoso. Quest’opera parla di una giovane americana quacquera che viene destinata dal padre a sposare un vecchio conte in Italia. Quando lei arriva nel nostro paese, però, si innamora del servo. Vertunna - così si chiama - da buona quacquera americana, non bada alle differenze di classe, per lei queste non contano – e già questo è un tema abbastanza rivoluzionario per l’epoca. Ma la particolarità sorprendente è che questo servo di cui lei si innamora, ha preferenze omoerotiche. La quacquera gli punta una pistola in fronte costringendolo così a cantarle un’aria d’amore. Lui lo fa, ma paragonando se stesso a Didone e la donna a Enea, quindi invertendo i ruoli sessuali. Qualcosa di assolutamente inedito e clamorosamente agli antipodi con qualsiasi storia narrata fino ad allora. Alla fine si sposano e decidono di andare in America, dove avranno molti figli quacqueri. Per quanto innovativo, il tema è classico. Il nome stesso – Vertunna – rimanda al mito del dio etrusco-romano Vertumnus dei cambi stagionali, che sedusse una ninfa ritrosa e disgustata dagli uomini, travestendosi da donna. Ce lo racconta Ovidio nelle Metamorfosi. A livello simbolico, rivoluzione, cambio stagionale (rivoluzione astronomica quindi), e sovvertimento dei ruoli sessuali, sono elementi interconnessi. L’opera rimane un’arte simbolica, anche nel caso dell’opera buffa, che è tutto sommato un genere realistico. A parte il contenuto, l’opera è rivoluzionaria anche perché il personaggio della quacquera canta in tutti gli stili possibili, mostrando così attraverso la musica di saper navigare attraverso i vari ruoli sociali, con una libertà di movimento molto rara nell’opera: all’epoca il servo doveva cantare in uno stile basso e il padrone in uno stile alto. Quindi, come dicevo, sebbene non ci sia un diretto riferimento ai moti rivoluzionari americani, già allora l’America è vista come qualcosa di assolutamente diverso e innovativo rispetto alle convenzioni europee.

Una specie di “American dream” ante litteram. C’è un aneddoto, un personaggio, una storia che colpì particolarmente gli italiani che descrivevano l’America di allora?

Ne cito un altro rispetto a quello appena descritto, che comunque già risponde a questa domanda: l’attore Francesco Benucci, il quale incarnò un ruolo più o meno abbastanza costante, recitando nel ruolo del quacquero Naimur in L’americana in Olanda, nel ruolo di Leporello nel Don Giovanni di Mozart e in quello di Figaro ne Le nozze di Figaro. Diventò chiaro che questo attore comico era una specie di figura chiave nella diffusione di idee se non rivoluzionarie comunque abbastanza sovversive. Ciò che sostengo, sempre a proposito di come l’America venisse studiata e poi descritta (direttamente o indirettamente), è che la concezione de Le nozze di Figaro di Mozart si basa sulla rivoluzione americana. Essa venne scritta tre anni prima della rivoluzione francese, ed è stata letta da tutti come una profezia della rivoluzione francese, ma è cosa assurda. La fonte letteraria è Le Mariage de Figaro di Beaumarchais, scritta nel 1778 in Francia: ebbene, in quel tempo Beaumarchais stesso agiva come agente segreto per la rivoluzione americana, facendo passare non solo armi di contrabbando ma scrivendo anche un pamphlet incendiario (Observations sur le mémoire justificatif de la Cour de Londres del 1779) in cui si parlava appunto delle idee della rivoluzione americana, nel quale addirittura traduceva parti della dichiarazione di indipendenza. Quindi nell’opera c’è la rappresentazione dell’America come fonte di novità rivoluzionaria, ma naturalmente, come in tutte le altre opere, in maniera simbolica. Tutta l’opera è basata sullo ius primae noctis, il diritto che il Signore aveva di deflorare la sposa la prima notte di matrimonio. C’è una coppia di servi che decide di sposarsi, Figaro e Susanna, e poi c’è un Conte che si innamora di Susanna e desidera andare a letto con lei in base a questo presunto diritto. Figaro – interpretato come dicevo da Benucci, che aveva già in interpretato un quacquero americano che con una pistola minacciava un Conte – in questo caso appare sulla scena e fa andare a monte tutto il piano dell’ingiusto Signore. La legge dello ius primae noctis in realtà non è mai esistita. Si tratta di un falso storico dell’era dell’illuminismo, e veniva in questo caso usata come una metafora della tassazione ingiusta, su cui Beaumarchais insisteva come prima causa della rivoluzione Americana. Esiste dunque una lettura simbolica: questa della tassazione ingiusta - no taxation without representation - del Signore che ambisce alla gestione dei diritti e della libertà degli altri. Per anni io ho immaginato che fosse possibile riscoprire questo repertorio di opere per riproporlo al pubblico moderno: ma benché esse ebbero un grande successo all’epoca, poi purtroppo sono state irrimediabilmente dimenticate, a mio parere per una carenza di qualità dal punto di vista musicale. Niccolò Piccinni, l’autore de I napoletani in America era un grandissimo compositore, tanto è vero che il suo cavallo di battaglia, La Cecchina ossia La buona figliuola fu una delle prime opere rappresentate anche in Cina. Eppure oggi Piccinni non ha presa sul grande pubblico dell’opera, non come Mozart, né come il suo rivale Gluck. Altri autori e compositori si conoscono a malapena e diventa così difficile riproporre questo tipo di repertorio. Spero perlomeno che oggi si riesca a concepire Mozart come un illuminista che odiava gli ideali della rivoluzione francese, sposando invece quelli della rivoluzione americana.

Il suo libro è tradotto in italiano?

No, non è stato tradotto.

C’erano già allora, in America, italiani finiti lì per qualche motivo? Chi erano, e cosa facevano?

Gli italiani in America erano pochi all’epoca, pochissimi avventurieri: ma non erano affatto disperati. Erano un’avanguardia intellettuale, ma anche gente ricca. Le cito l’esempio di Filippo Mazzei, un medico toscano che tradusse la dichiarazione d’indipendenza per Leopoldo d’Asburgo, Duca di Toscana, che usò tale traduzione per fare delle riforme di grande impatto e innovazione nella stessa Toscana e poi nell’impero asburgico. La povera gente dell’epoca non ci pensava nemmeno ad espatriare in America. C’è una commedia che si chiama Pulcinella da quacquero, scritta per una scuola vicino Napoli, in cui Pulcinella decide di farsi quacquero e andare a vivere a Philadelfia, perché li avrebbe trovato più possibilità. Una delle sue ultime battute è “La Pensilvania vale per mille Italie: Filadelfia è più ricca di Napoli”. Da questa commedia sembrerebbe che l’idea dell’espatrio in America c’era già, eppure un fenomeno di immigrazione ancora non si verificava tra le classi meno abbienti. Per le classi abbienti o medio alte si dovrebbe invece parlare di tendenze cosmopolite anche se non prive di motivazioni finanziarie.

Si può fare un parallelo tra la percezione che dall’Italia d’élite del mondo dell’opera si ha degli americani in queste rappresentazioni e, a parti invertite, la percezione che gli americani hanno avuto degli immigrati italiani negli anni Venti del secolo scorso?

La domanda è interessante. È molto difficile fare un paragone, Tutte queste opere sono incentrate su un incontro transatlantico tra l’Italia e l’America, per cui ci sono sempre personaggi italiani che si incontrano con personaggi americani, che siano di origine inglese o nativi americani: quest’incontro è molto diverso da quello che si verifica poi nel momento delle grandi migrazioni di massa, qui siamo più ad un livello in cui c’è molta curiosità verso il diverso, il misterioso, verso l’altro. In queste opere l’americano rappresenta una sorta di utopia, l’idea che l’America porti un vento nuovo di possibilità, di opportunità a chi non le ha in Italia; ma non è visto come povero. Al contrario, l’americano a volte è ricchissimo. In un’altra opera di Giovanni Paisiello del 1786, Le gare generose (the contexts in generosity) scritta a Napoli e subito riprodotta a Vienna, una coppia di italiani perdono tutti i loro averi e vengono fatti schiavi a Boston, perché i pirati li catturano: ma un quacquero ricchissimo li compra. Loro fingono inizialmente di essere fratello e sorella, e quando scopre la verità il quacquero si arrabbia moltissimo: ma poi non solo li perdona, ma offre loro sostegno finanziario. Il denaro, in questi drammi che si ispirano a temi americani, non è visto come una cosa sporca, ma anzi nobilissima; il commercio nobilita l’uomo e affiora l’idea che la libertà dipenda dall’indipendenza economica, dalla ricchezza. È anche il tema de Le nozze di Figaro: alla fine lui riesce a liberarsi da un debito che l’avrebbe reso schiavo grazie ad una grossa somma di denaro. L’americano sa che il denaro è utile e che senza quello non c’è libertà.

Perché l’opera rappresenta un così grande strumento di promozione culturale per l’Italia? E come veniva percepita questa proposta culturale, all’estero, prima che l’Italia si desse un assetto istituzionale?

Un personaggio chiave da questo punto di vista fu Lorenzo Da Ponte. Dopo la dichiarazione d’indipendenza del 1776 scrisse una serie di componimenti in latino e in italiano su temi “americani”, quali ad esempio la legge, per i quali venne licenziato. Da Ponte era quindi indubbiamente attratto dal messaggio illuminista americano: grazie a ciò poté lasciare la carriera di insegnante e diventare librettista, e lavorò alla completa rivisitazione de La quacquera spiritosa, che fu portata a Vienna proprio grazie a lui. Quando fu costretto a fuggire in America, rincorso dai creditori, dovette ricominciare da capo - antesignano dei suoi connazionali che più tardi avrebbero fatto lo stesso viaggio - e divenne il primo professore d’italiano alla Columbia University. Lì insegnava Dante, perché per lui la bellezza dell’italiano era nella poesia, e sosteneva che bisognasse innamorarsi della musicalità della lingua italiana prima di studiarne la grammatica. L’italiano non divenne mai una lingua franca internazionale, ma grazie al suo lavoro ci si è quantomeno avvicinati. Grazie all’italiano dell’opera - genere internazionale - moltissimi si avvicinarono all’italiano in tutti i centri culturalmente avanzati dell’Occidente, inclusa, per la prima volta, New York. Le opere di cui parliamo nascevano comunque come produzioni locali, dialettali: però venivano esportate all’estero e lì viaggiavano molto. Alcune venivano un po’ modificate, ad esempio i ruoli in napoletano erano poi tradotti in toscano: ma a lungo andare è in parte anche così che nacque una lingua italiana, proprio nel momento in cui l’opera italiana diventa l’unico genere internazionale di opera. Questo vuol dire che l’italiano si semplifica, è molto funzionale, legato ad una grande mimica, e con una grande capacità di trasmettere le idee con musica e azione: per cui anche chi non conosce l’italiano riesce comunque a cogliere il significato e il messaggio. Questo spiega anche perché non si parlava direttamente di ideali rivoluzionari: era tutto molto simbolico e metaforico, scene drammatiche molto facili da capire, quasi da commedia dell’arte.

Quindi questa famosa presa in giro che esiste in America nei confronti degli italiani che gesticolerebbero sempre, in qualche modo ha origini nobili: l’arte della mimica permetteva, attraverso un contorno musicale, di comunicare a gente che non conosceva la lingua...

Interessante. Non ci avevo pensato, ma è probabile. L’esportazione del teatro italiano inizia prima dell’opera; già nel ‘500 con la commedia dell’arte. Com’era possibile che le compagnie italiane avessero un successo strepitoso all’estero, recitando in italiano o in dialetto? Grazie al linguaggio dei gesti. Sicuramente era una gestualità molto diversa da quella attuale, però il gesticolare era e rimane un fondamentale strumento italiano di comunicazione, specialmente all’estero.

La sua ricerca non si è limitata all’opera del 1700: lei ha scritto anche su come in seguito, nel corso della storia, gli italiani hanno percepito e poi descritto l’America e gli americani, ad esempio attraverso i film western di Sergio Leone. Cosa ci può dire di questo?

L’idea nasce dal modo costante in cui l’America viene rappresentata nella cultura italiana: le origini sono in queste opere del ‘700, però nei film di Sergio Leone si ritrova l’utopia di una terra incognita dove tutto è possibile, dove ci si muove al di là e contro la legge: ieri con una spada, oggi con una pistola. Sergio Leone è affascinato dall’America perché cresce durante il fascismo, un’epoca in cui la libertà era compromessa: e quindi l’America appare come una ventata fresca di libertà. Ma la libertà è a volte anche pericolosa, perché poi ogni abuso può fare danni: ad esempio, la corsa all’oro nel west era reale, ma era anche molto idealizzata e ha portato poi alla miseria tanti fra quelli che vi hanno partecipato. C’è l’utopia ma c’è anche la distopia, sia nei personaggi ribelli e fuorilegge di Sergio Leone come pure ad esempio nel personaggio di Pinkerton nella Madama Butterfly di Giacomo Puccini, che è un avventuriero irresponsabile, o nella disperazione dei cercatori d’oro della California ne La fanciulla del West, sempre di Puccini. Fondamentalmente c’è un tema costante, nella rappresentazione dell’America nella cultura italiana nel corso del tempo: ha giocato molto l’illusione di questa terra nuova, che poi coerentemente viene esplicitata nell’immaginario del far west. Un italiano che va in America difficilmente ha un’idea in testa vicina a quella che è poi la realtà americana, ma piuttosto ha un’idea proveniente dalla cultura italiana che per molti decenni ha creato diversi miti dell’America.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:29