“Così fan tutte”, Lavia al Quirinetta

Amate l’ibrido di genere? Ebbene, allora potete ricrearvi con il felice esperimento di Gabriele Lavia, che porta in scena, al Quirinetta di Roma (repliche fino al 21 giugno), l’operetta buffa di Mozart “Così fan tutte”. Con grande talento e infinita pazienza, Lavia dirige - per il saggio di fine corso - un folto gruppo di allievi (III e II anno) della Nuova Accademia di Arte Drammatica (diretta da Alvaro Piccardi), dando così forma compiuta alla collaborazione tra la Q-Academy e la Fondazione del Teatro della Pergola di Firenze. L’impianto scenico, essenziale come un cubo aperto e vuoto all’interno, si avvale di piccoli moduli scatolari, composti dinamicamente dagli attori stessi, per ricreare idee di spazi compositi interni, mentre l’intera scena è letteralmente saturata da folate di giovani figure, sempre in movimento. L’onda bianca, che scuote come una corrente australe platea e palcoscenico, con la sua spuma candida, è composta da ben trenta tra Pulcinella e Pulcinelle, in moto perenne e cori prolungati.

Non era facile, infatti, ricreare le atmosfere mozartiane, così raffinate nell’abbinamento binomiale delle voci, nella vestizione dei personaggi e nel lussureggiante arredo delle scene, come accade nella versione originale cantata. La scommessa riuscita di Lavia, infatti, è quella di “sublimare”, in un certo senso, le vocalità e gli strumenti musicali di uno spartito mozartiano ricco e complesso, semplicemente avvolgendoli in una nube corale, dove le maschere napoletane disegnano righe curvilinee sovrapposte di visi mascherati, che evocano con le loro smorfie caratteristiche, il teatro dialettale napoletano. Le voci corali si sovrappongono (e talvolta la isolano) alla recitazione sul piano più avanzato della rappresentazione, giocando a fare eco alle parole dei protagonisti, o agendo come spalla coreografica agli attori sempre in movimento. L’effetto disorientamento nello spettatore opera attraverso la composizione dinamica di figure maschili e femminili, lanciate come dardi umani dal palcoscenico al piano di platea (attori protagonisti e figuranti escono e rientrano, senza sosta, scorrendo tra le fila libere delle poltrone, con effetti fulminei a sorpresa, emergendo dagli accessi del pubblico alla sala), grazie a una preparazione atletica davvero invidiabile.

Sono proprio quei continui, incessanti slanci, delle due coppie maschili e femminili a supplire gli acuti baritonali o soprani, per il loro modo di vibrare, di disegnare curve colorate nello spazio, come accade nei quadri futuristi di Balla e Boccioni. Il resto, lo fanno le loro voci recitanti, le cui vocalità sono sempre al di sopra dell’ottava giusta, dove l’urlo rende inconoscibili le parole pronunciate, così come accade, del resto, a chi ascolta un’opera musicale per la prima volta, senza avere un udito fino e particolarmente educato. La trama dell’operetta è nota: due giovani ufficiali borbonici, Ferrando e Guglielmo, fidanzati di due sorelle (Fiordiligi e Dorabella), che credono incorruttibili e fedelissime, si vedono sfidati in queste loro false sicurezze da un amico maturo e scettico (Don Alfonso), che scommette una cifra ingente sulla debolezza della natura femminile, in generale, sintetizzabile nel “Così fan tutte”. Il patto stretto tra i tre uomini prevede che, per un giorno, Ferrando e Guglielmo obbediranno agli ordini di Don Alfonso, che impone loro di travestirsi da nobiluomini albanesi e di introdursi, grazie alla complicità della serva Despina, nella casa delle due sorelle, dichiarandosi perdutamente innamorati delle due giovani donne.

Con alcuni stratagemmi, favoriti dalle doti eclettiche di Despina, che si traveste prima da medico e poi da notaio, i due impostori riescono perfino a convincere le ragazze a sottoscrivere un falso atto di matrimonio. Ma, malgrado tutto, una volta svelato l’inganno, le due coppie non si separeranno, perché, in fondo, come sostiene Don Alfonso, inutile dividersi da chi ti vuole bene, se la natura del “Così fan tutte” è più forte e prorompente dei giuramenti e delle volontà razionali. Una particolare menzione va alla giovane attrice (una vera promessa, non c’è che dire…) che recita nel ruolo di Despina, con una forza, una vitalità e un’energia davvero elettrizzanti. Tuttavia, i toni concitati, la velocità con cui scorrono e si sovrappongono le singole scene contraggono le capacità percettive e assottigliano l’approfondimento analitico, da parte dello spettatore, costretto a rimandare ad altra sede il giudizio morale, per un godimento pieno e immediato del movimento e delle coreografie dinamiche, espresse senza tregua dal folto gruppo di maschere, con le loro tonalità candide e i grossi nasi neri a becco.

Del resto, la legge degli innamorati è ben nota, qualunque sia il loro sesso: le distanze e le assenze prolungate aumentano notevolmente la probabilità d’incontri e di “incroci”, con persone sconosciute dell’altro sesso, fino farle diventare sempre più intime e sostitutive di un rapporto iniziale, ormai lontano e che si riteneva in buona fede incorruttibile. Perché, i nostri limiti oggettivi sono amplificati dall’agitarsi intorno a noi di una gamma illimitata di mediatori e mediatrici, che sovrappongono i loro interessi policromi e poliformi alle debolezze congenite, caratteriali e naturali, di ciascuno di noi, esondando regolarmente, con la loro forza intrigante, gli inutili baluardi di perbenismo e di conformismo, che ci fanno da corredo sociale, fin dall’età infantile.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:31