Protezione “per legge”
della lingua russa

martedì 1 luglio 2014


Se ci si trova di fronte ad un’invenzione o ad un nuovo oggetto estraneo alla nostra cultura, tanto da non avere una parola adatta nella nostra lingua, la cosa più naturale è ovviamente quella di prendere in prestito il neologismo dalla lingua del Paese dove la nuova invenzione è nata. Dal 2000 ad oggi, per esempio, solo l’uso di termini inglesi nella lingua italiana scritta è aumentato del 773 per cento. Nella classifica delle parole inglesi trapiantate nell’uso comune, i primi tre posti per frequenza sono occupati dai termini look, business e fashion. Le parole smartphone o touchscreen sono diventate termini familiari in italiano anche per i bambini che imparano la lingua di Dante.

E ciò avviene in tutti i Paesi del mondo, dove i termini stranieri hanno invaso pacificamente le lingue locali; ma così non sembra voler essere in Russia. Da quanto si apprende da una proposta di legge di quel Parlamento, la Duma: i deputati russi vorrebbero vietare l’“inutile uso” di parole straniere, nei casi in cui vi sia già una parola nella loro lingua con un significato simile. Il disegno di legge propone per i trasgressori linguistici multe salatissime. Quella russa, naturalmente, non è l’unica lingua che lotta per preservare la sua purezza lessicale. Nel passato i regimi autoritari facevano della “difesa dell’idioma patriottico” un punto d’onore.

Il regime fantoccio filo-nazista della Croazia di Ante Pavelić arrivò addirittura a sostituire parole della vicina lingua tedesca con termini inventati da radici croate: “Fuhrer” diventò “poglavnik” (derivato da “glava”, testa in lingua croata). Anche nell’Italia mussoliniana, il regime fascista pose particolare attenzione al contrasto dei “forestierismi”. L’Accademia d’Italia, massima istituzione culturale del regime, ricevette direttamente dal duce nel 1934 l’incarico di redigere un “completo e aggiornato” vocabolario della lingua italiana, nel quale un punto di riferimento fu “la purezza dell’idioma patrio”. Vennero decretate traduzioni forzose dei termini stranieri, che lungo tutto il ventennio furono ritenuti lesivi dell’identità e del prestigio nazionali.

Vennero banditi concorsi a premi per sostituire parole straniere. Furono emanate leggi severe per scoraggiare o proibire l’uso di termini non italiani, imponendo imposte onerose sull’esibizione pubblica di forestierismi nelle insegne commerciali. L’atteggiamento si inasprì dopo il 1936, sulla spinta del crescente clima xenofobo. Persino enti prestigiosi furono indotti a cambiare nome: da Touring club italiano a Consociazione turistica italiana, da Club alpino italiano a Centro alpinistico italiano, da Reale automobile club d’Italia a Reale automobile circolo d’Italia.

I nomi stranieri furono vietati ai locali pubblici ed ai neonati di nazionalità italiana; venne creata una Commissione per l’italianità della lingua, che formulò nel biennio 1941-43 circa 1500 proposte sostitutive. Ma si parlava di regimi autoritari, in un tempo storico che sembra lontano anni luce dalla realtà di oggi. Invece il Parlamento di Mosca intende seguire lo stesso percorso. Sono entrate a pieno titolo nel vocabolario russo, nel corso della storia e dei rapporti centenari con i Paesi vicini, parole prese dall’antico norvegese, dall’olandese, dal francese e dal turco, fino al moderno inglese.

E la lingua di Puskin e di Cechov si è evoluta con i tempi. D’altronde, anche parole russe sono entrate nell’uso di altre lingue straniere; termini come “troika” o “zar” sono presenti in tutte le lingue europee. Il leader del Partito democratico russo, l’ultranazionalista ed estremista Vladimir Zhirinovsky, noto alle cronache per i suoi atteggiamenti spesso esagerati, aveva già presentato lo scorso anno alla Duma un progetto di legge per eliminare le parole straniere dalla lingua russa. Nella sua proposta di legge, Zhirinovsky aveva menzionato parole “incriminate” come “singl” (dall’inglese single), “butik” (boutique dalla lingua francese) e “performans” (performance dalla lingua inglese). La proposta di Zhirinovsky non aveva però ottenuto i voti necessari in Commissione. Questa volta, tuttavia, sembra si voglia fare sul serio. La Commissione affari culturali del Parlamento russo, presieduta dal deputato del Partito Comunista e regista di fama, Vladimir Bortko, ha approvato a larga maggioranza una proposta di legge fotocopia di quella Zhirinovsky.

Ora la proposta passerà alla discussione dell’aula, ma si prevedono comunque tempi lunghi. Molti in Russia cominciano comunque a dubitare sulla reale applicabilità della legge, una volta approvata, in particolare del regime sanzionatorio. L’agenzia di stampa russa Interfax, che ha riferito in termini molto critici sulla proposta all’esame dei parlamentari a Mosca, ha riportato una lista di decine di termini stranieri ormai nell’uso corrente di tutti i russi che dovrebbero trovare corrispondenti parole nella lingua locale. Se la legge entrasse in vigore con il testo passato in Commissione affari culturali, Interfax calcola di dover pagare una multa di almeno 1.240.000 rubli (circa 27mila euro) al giorno per l’uso di parole straniere nei propri articoli. Il testo licenziato dalla Commissione prevede la pubblicazione di un nuovo dizionario della lingua russa, che dovrà sancire le parole straniere ammissibili da quelle invece vietate e che dovrà servire da testo di riferimento.

Tale progetto potrebbe però richiedere anni di lavoro e costare miliardi di rubli di fondi pubblici. Nelle ultime settimane, i social network e i media russi sono stati presi d’assalto da utenti che chiedevano ironicamente la traduzione russa di parole straniere in voga. Il termine inglese “marketing”, ad esempio, troverebbe l’equivalente russo in una parola antica che in linguaggio moderno significherebbe “truffare”. Il sito economico on-line “Slon.ru” ha iniziato a pubblicare le proprie notizie utilizzando espressioni dal russo arcaico, evitando le parole “incriminate”. Gli utenti però non sembrano aver apprezzato, perché molti non hanno compreso il significato delle notizie pubblicate.

Secondo alcuni analisti russi, critici verso Putin, questo attivismo parlamentare di iniziative legislative strane, intensificatosi nelle settimane scorse (un deputato ha perfino presentato una proposta di legge per vietare alle impiegate statali l’uso di tacchi alti all’interno dei luoghi di lavoro, per evitare il rischio di cadute e le conseguenti cause di servizio) e il clamore che esse generano nella stampa, sarebbe indotto dal regime per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai veri problemi del Paese - come il coinvolgimento della Russia nella crisi Ucraina.


di Paolo Dionisi