Un insolito naufrago   nel mare d’Oriente

“Regalatemi un sorriso e risolleverò il mondo!”. Oggi, sulla terra martoriata di Palestina e d’Israele piovono bombe e si contano le vittime. Nessuno sa, attualmente, se sia possibile tornare indietro o, quantomeno, arrestare le contabilità di questa nuova tragedia, al punto in cui siamo. Sylvain Estibal, il regista uruguayano del film “Un insolito naufrago nell’inquieto mare d’Oriente”, offre una visione upside-down (sottosopra) del conflitto israelo-palestinese, allineando l’aspirazione alla pacifica convivenza dei più umili tra i due popoli, in modo da assicurare ancora più intensità figurativa a quel famoso verso, in cui si dice che “dal letame nascono i fiori”.

La trama è insolita, vagamente inquietante e di sicuro effetto esilarante. Il racconto inizia descrivendo la vita grama di un povero pescatore palestinese (Jafaar, impersonato dall’attore Sasson Gabay, di origini irachene), che vive nella Striscia di Gaza (l’ambientazione presumibile è collocata a ridosso del ritiro israeliano da Gaza, nel 2005), che si ritrova –anche a causa del divieto dell’occupante di spingere il suo barchino oltre le due miglia marine – le reti piene di spazzatura, tra cui molte scarpe sfondate e spaiate, di varia misura.

La prima scena di satira socio-politica, vede Jafaar esporre il suo misero pescato (pochi pesci piccoli, di scarso valore commerciale) in un mercatino volante, all’aperto, mentre osserva – con invidia rassegnata e mite – il bottino ben più sostanzioso, messo in bella mostra dai suoi diretti concorrenti. Nel frattempo, un boss locale, con tanto di Rolex d’oro, passa con le sue guardie del corpo a fare spesa, prenotando con un gesto autoritario i pezzi più pregiati. Nella casa poverissima di Jafaar, lo attende una moglie rassegnata, Fatima (la bravissima italo-marocchina Baya Belal), che prepara il solito piatto di olive condite, colte dai rami di un generoso albero secolare (unico bene residuo della sua proprietà, finita sotto occupazione israeliana), collocato nel giardino, accanto a un muro difensivo, di tipo militare. La loro povera casa, infatti, serve come presidio di osservazione, ospitando nel terrazzo due sentinelle israeliane. Sarà questa strana convivenza il primo elemento portante del discorso di pacificazione, tentato da Estibal, con i due ragazzi in divisa costretti a chiedere di usare il bagno privato di Jafaar, mentre uno di loro riesce persino a fraternizzare con Fatima, grazie alla comune passione per le telenovelas sudamericane, di cui il soldato conosce a menadito trama e personaggi. Un modo di dire che non proprio tutto ci divide, anche se siamo nemici.

Oberato dai debiti e minacciato di arresto per insolvenza, dopo una notte di tempesta, Jafaar riceve in dono un maialino cinese di mezzo quintale, piovuto dal cielo e rimasto intrappolato nella sua sfortunata rete di pescatore fallito. E qui iniziano i guai per il povero palestinese (il maiale è impuro, sia per i musulmani, che per gli ebrei) che, dapprima, tenta un’improbabile vendita dello sgradito ospite al responsabile locale delle Nazioni Unite, che si fa cogliere da un’ira furibonda e devastatrice, a seguito della inusuale richiesta di Jafaar, che si allontana perplesso e sconfortato, ma pur sempre molto tranquillo, rassicurato dal suo ripetersi: “Sia fatta la volontà di Allah”. Anche qui, il regista utilizza un’iperbole dialettica per sottolineare (quantomeno) l’inefficacia e l’irrilevanza della presenza di quell’organismo internazionale di tutela, pago del proprio status e indifferente al deteriorarsi della situazione socio-economica della popolazione assistita. Sarà l’amico barbiere e il suo incontro fortuito con Yelena, un’ebrea russa immigrata (la coinvolgente e simpatica Myriam Tekaia), che alleva segretamente una piccola colonia di maiali nel vicino kibbutz, a offrire a Jafaar una momentanea via d’uscita dalla miseria e dal rischio d’incarcerazione.

Tra Yelena e il palestinese l’accordo è chiaro: Jafaar dovrà assicurarle una dose sufficiente di sperma del maiale da lui custodito, per avere in cambio un po’ di denaro. Tra diverse gag e situazioni esilaranti, lo scambio va avanti, finché Yelena, falliti i tentativi di inseminazione artificiale, si vede costretta a chiedere a Jafaar di farle avere l’originale. Al termine di rocambolesche scene di trasporto, compiuta con successo la prima missione riproduttiva, Jafaar viene scoperto dai suoi e condannato al martirio, assieme al povero maialino: ambedue vengono imbottiti con cinture esplosive, per introdursi nel kibbutz di Yelena. E qui, va detto, con notevole coraggio, Estibal ironizza sulla pratica dei martiri suicidi, imposta a Jafaar, per l’occasione, da un altro boss benvestito, con il Rolex d’oro. Il pescatore riesce a fuggire, diventando persino martire da vivo. L’attentato, però, ha parzialmente successo, a causa della perdita di esplosivo da parte del maialino, penetrato in un kibbutz ormai praticamente deserto (era giunto l’ordine di evacuazione, da parte di Sharon). Rimangono tutti illesi, ma le conseguenze sono pesanti, in quanto l’esercito demolisce, per ritorsione, la casa di Jafaar e sega lo splendido olivo di Fatima.

Come in tutte le favole, il finale vedrà Jafaar e Fatima fuggitivi via mare, con due figli adottivi a carico: Yelena e un altro piccolo ebreo orfano, protetto dall’amica più grandicella. Ma i percorsi del mondo si cortocircuitano forzatamente, a causa della rotondità della terra e il sogno di pace, che pareva oramai lontanissimo, si rivela vicinissimo. Se non ci fossero le immagini di morte e distruzione che stiamo vedendo in questi giorni, si tratterebbe di un film-speranza da non perdere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:37