“Questi siamo noi”,   fotografia del Paese

Non è molto facile oggi imbattersi in una bella lettura, in un periodare sempre essenziale, privo di sbavature e di sciocchi autocompiacimenti. Blasi scrive con uno stile lucido e pulito, più da scrittore che da giornalista, sempre appassionato nel seguire il rigore logico del discorso che non concede spazi ad espressioni ridondanti e inutili. Ciò anche se il libro è una raccolta di articoli, appena rivisti e integrati come dice l’autore, comparsi sul quotidiano “L’Opinione” in un lasso di tempo compreso tra il 2006 ed il 2013.

Quel che maggiormente sorprende è che l’opera (“Questi siamo noi. Progetti e speranze per il Bel Paese”. Introduzione di Arturo Diaconale) dedicata ad una analisi accorta e approfondita della situazione della nostra bella Italia, non sia il solito e lamentoso elenco di tutto ciò che non va e che non funziona con allegato il funereo necrologio delle cifre che dimostrano la negatività dei nostri conti. Al contrario i dati statistici e numerici sono volutamente snobbati. Tutto ciò provoca nel lettore non la sensazione che Blasi vada avanti a braccio o che brancoli nel buio, ma al contrario fa sorgere un sano sospiro di sollievo in quanto ci si trova ad affrontare un autore il quale ha preso consapevolezza come il lettore cominci a essere veramente stufo della sterile esibizione di cifre quando queste, lungi dal rappresentare dati incontrovertibili e obiettivi, si cominciano ad intuire come manipolazioni neppure tanto abili e accorte per coprire scelte che, è oramai una costante pericolosamente ricorrente, evidenziano più malafede che ignoranza.

A questo punto va detto, in buona sostanza, quel che è apparso come il maggior pregio del libro. In questi anni, con la passione e la volontà di costruire che, forse, può esprimere soltanto un “Architetto”, l’autore ha con sempre più forza avvertito la necessità di pubblicare un libro colmo, stracolmo di proposte. Ciò che fa inquietare (saremmo più disposti e invogliati, per dare maggiore incisività al nostro pensiero, ad utilizzare sinonimi più incisivi e coloriti di questo asettico termine lessicale) è che queste proposte, misurate e motivate, ispirate a stringente logica, ampliamente pubblicizzate, perfettamente adatte alla nostra situazione siano state completamente disattese da una classe politica e dirigente che ha preferito (in buonafede o in malafede?) correre dietro alle chimere ora di idee politiche follemente desuete, ora di algidi tecnicismi assolutamente non digeribili dal nostro assetto economico e sociale.

“(…) Il difetto nella guida e nel governo di una Nazione può risiedere in un caso nell’astrazione, laddove l’azione non sia sostenuta e corroborata dalla evidenza delle analisi e delle valutazioni tecniche e, nell’altro caso, dal voler attribuire a queste ultime, alle formule, qualità taumaturgiche al di fuori di una sintesi e da una visione politica che prescinda dalla centralità dell’essere umano (…)”.

In questa frase di Blasi si sintetizza tutto il disagio che gli italiani stanno provando in questo periodo e si ha l’impressione che questa “stagione delle riforme”, appena partita tra i peana e gli osanna dei media, lungi dal sanare la devastante azione di una politica che ha provocato più danni di un terremoto, non sia altro che il classico “pannicello caldo” proposto come toccasana per una malattia grave e seria.

C’è da chiedersi dove riporre le nostre speranze. Nel terremoto del 2009 L’Aquila ha subito danni gravissimi. Si è quasi praticamente dimenticato ciò che è stato fatto per dare una realtà abitativa a chi aveva perso tutto, si è trovato il sistema di punire (a torto o ragione poco interessa) chi aveva dimostrato efficacia ed efficienza, si sta ancora discutendo su una improbabile ricostruzione di un centro storico devastato che, lo suggerisce la preparazione e la serietà di un vero “architetto”, andrebbe trattato esattamente come vanno trattati i siti colpiti da queste o da similari calamità: fissate le volumetrie che si vogliono ottenere, gli edifici distrutti vanno considerati persi e quindi riedificati radicalmente. L’idea di accostare la categoria della ricostruzione dopo un terremoto al restyling istituzionale necessario per riformare nel profondo l’Italia non la propone esplicitamente l’autore, ma è balzata ai nostri occhi con chiarezza dopo avere letto questo libro.

Ma purtroppo, forse, questa razionale soluzione non potrà essere adottata in quanto in questo disgraziato periodo storico “(…) l’azione politica non può che essere ondivaga, caratterizzata da azioni di piccolo cabotaggio, priva di incisività per l’oggi e per il futuro, insoddisfacente i bisogni dei cittadini che, composti di materia ma anche di spirito, hanno bisogno di ben altri autori e di ben altri programmi (…)”.

Verrebbe di chiudere con una riflessione molto amara dell’autore: “La verità è che in Italia la politica non programma, non progetta, non fornisce indicazioni, non provvede ai bisogni dei cittadini se non per il minimo vitale. La verità è che la politica amministra, progetta e provvede unicamente a se stessa (...)”.

La speranza che la parte sana della nostra nazione possa scrollarsi di dosso questa iattura che la perseguita da più decenni non ci deve abbandonare. L’autore dimostra con la sua personalità e preparazione tecnico/professionale che le risorse umane ci sono. È sufficiente farle riesplodere come è già successo negli anni del “miracolo economico”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:31