L’Unità europea,   7 anni fa il presagio

Da giorni è in corso il dramma in diretta del rischio chiusura per “L’Unità”, proprio nel suo novantesimo anno. La testata è sopravvissuta, e di tanto, al partito di cui era l’organo, il Partito comunista italiano (Pci) e anche all’espressione di un vero pensiero anticapitalista e operaista. La fiorentina Fusani (ex Repubblica, meritoria della campagna contro un altro noto fiorentino, Verdini di Forza Italia), il direttore, grafici e tipografi hanno cercato con un video di commuovere l’opinione pubblica, parlando del salvataggio del giornale e di posto di lavoro. Ma gli effetti sono stati contrari.

“L’Unità” è stato il primo dei quotidiani politici finanziati con importi superiori ai 6 milioni, ridotti alla metà nel 2013. Ormai le vendite di quello che fu il giornale da un milione di copie toccano lo stesso numero della distribuzione, ovvero 20mila. Da tempo non è più l’organo degli eredi del Partito comunista: il Partito democratico, silenziosamente, le ha preferito “Europa”, già quotidiano rutelliano, diretto dall’ex portavoce dell’ex piacione sindaco di Roma dei primi anni ’90.

Anche “Europa”, che può contare solo su mezzo milione di finanziamento, con voce più misurata, ha fatto presente il rischio di chiusura. I liquidatori dell’ex finanziamento a La Margherita, made in Lusi, intendono chiudere i sospesi, compreso il giornale. Il Pd di Renzi non fa una piega. Anzi, assiste con un certo compiacimento alla chiusura di una serie di fogli (“Liberazione”, “Terra”, “Paese Sera”) che hanno sovrarappresentato immaginarie terze vie sinistre e sembra attendere l’imminente fine anche de “Il Manifesto”, tenuto in piedi da un piccolo popolo di aficionados, ancora fedeli ad antiche ragioni eretiche, perse nelle sottopieghe della storia.

Meraviglia che a questa morìa editoriale (che include anche le versioni web) corrisponda la piena salute economica degli enti mandatari. Non mancano i quattrini ai partiti di sinistra, alla struttura per il tempo libero (Arci), che ha gemmato il settore ambientale (Legambiente), alle fondazioni, alle cooperative e ai sindacati. Non si vuole però buttarli nei giornali che hanno la brutta abitudine di trasformarsi in piccoli partiti autoreferenziali, come evidenzia il legalista e reazionario “Fatto quotidiano” che ha ormai ereditato tutto lo spazio a sinistra.

Al Pd di Renzi non interessa mantenere nessuno dei due giornali, imitando Forza Italia che non ha mai avuto stampa di partito, lasciandola all’iniziativa minoritaria di alcuni nomi (col)laterali, da “Il Foglio” a “L’Opinione”, a “Liberal”, oggi trasfigurato ne “Il Garantista” fino a “Il Secolo”, ai fantasmi “L’Ircocervo” e “Ideazione”. Il Pd, ovviamente, non può ammettere questo retropensiero, né lo stato confusionale di una Festa democratica renziana che usa ancora il clichè della grande macchina di propaganda che fu la Festa dell’Unità, salvandone solo il logo “U” all’ingresso e distribuendovi “Europa”.

Ormai contano solo gli interventi del leader (e ripetizioni) su Tv e web; contano solo i giornali d’opinione degli imprenditori vicini, collegati in una filiera di editoria, radio e web. “L’Unità”, zombie di sé stessa, si è poco alla volta confusa con il maggioritario ventaglio dei giornali borghesi progressisti, scatenandosi contro un imprenditore, più o meno feudatario moderno, in difesa dei propri imprenditori. La devoluzione è stata facilitata da un’antica storia di bugie, nella quale non venne mai difesa l’unità delle voci delle forze popolari ma al contrario ci fu la loro repressione e assorbimento.

La nobilitazione in sottotestata del nome Gramsci cozzava contro le realtà delle prime direzioni degli sconosciuti Pastore, Ravagnan, Negarvele, Spano, e degli altri fondatori all’epoca molto più importanti del sardo, oggi peraltro spacciato per liberale. Un periodo, questo, cui la vera sottotestata “quotidiano degli operai e dei contadini” ripeteva lo schema del soviet, già nel ‘24 un evidente falso storico. Non ci si ricorda del momento in cui “L’Unità” smise di essere comunista, per essere qualcosa che non fu chiaro cosa fosse allora come non lo è oggi, assomigliando alla continua richiesta di pogrom giustizialisti. Avvenne già ai tempi del Pci, probabilmente tra i D’Alema e i vari Petruccioli, Macaluso, Chiaromonte, Veltroni.

Tutti espressione di partito. La crisi de “L’Unità” non è una novità, né lo è l’interruzione dalle uscite in edicola; dura dalla prima messa in liquidazione di 14 anni fa e fa sempre meno notizia nel ritorno alla direzione di nomi come De Gregorio, Sardo e Landò, sconosciuti come quelli dell’avvio. L’attuale impasse sembra la furbata di un editore che si ritrae per rientrare con più favori e meno costi. Per diluire la finale chiusura delle testate di partito, il Pd parla ora di fusione con “Europa”.

Io scrissi ciò nel 2007, quando prefigurai la nascita de “L’Unità Europea”. Quello che segue è estratto dall’articolo di 7 anni fa.

“Un’idea gagliarda, alla Adinolfi, ha suggerito di cambiare il nome L’Unità, in “L’Unità Europea”. In pochi si ricordano cosa significhi quell’unità, infatti, ed in genere chi la chiede urlando è promotore di sempre nuove cose e strisce rosse, che dividono più che unire. Certo, Unità, può essere unità dei cda dei parchi e delle università, oppure unità delle privatizzate municipalizzate, o anche unità dei sindaci e dei loro apparati fiscalmente irresponsabili. Unità europea però suona in tutto altro modo, ha detto qualcuno sollevando i volto dalla striscia rossa, stile Trevi. È un ideale, peraltro già raggiunto e da altri e quindi senza ricadute litigiose. Garantisce la prospettiva del Pd: rimanere unito all’Europa pur non volendo assomigliarle in nulla.

Rimanere nella serie A della politica, pur non avendo politica da proporre, ma solo sogni e miraggi ad occhi chiusi, oltre s’intende il controllo economico e sociale del territorio. Di domenica, per dare soddisfazione a Franceschini, che da buon emiliano di spalla, sta prendendo ripetizioni da Boselli su come si fa il secondo coi (post)comunisti, “L’Unità Europea”, si chiamerà “Europaunita”, per dare risalto alle radici cristiane, anzi cattoliche, unitarie ed universali, del continente. Di domenica la gente non legge neanche i titoli, e si potrà scrivere il contrario di quanto affermato nei giorni feriali. Pacatamente, serenamente e serialmente.

Così alla fine il finanziamento toccherà quasi 9 milioni. Tra l’altro il logo domenicale potrebbe essere newsletter anche di “ItalianiEuropei”, fregando un’altra volta il baffino antipatico. Tra coop e parrocchie potrà essere distribuito anche solo in abbonamento. Costanzo e Proietti stanno già litigandosi le poltrone feriale e festiva dell’ignaro Padellaro. Ps – Il sognatore, attesa l’alba, sospirando di volere la pelle nera, tormentando lo scuro neo, leader maximo del Pd, col glorioso blasone di numero 2 per eccellenza, ha fatto sapere che comunque il vero giornale di riferimento, resterà “La Repubblica”. Così tutti i pidocchi hanno fatto la ola con un sospiro di sollievo, alzando un’onda sui finti capelli”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:25