Un drink all’amore   al teatro La Cometa

Ricordate il film “Indovina chi viene a cena”? Bene, al Teatro La Cometa di Roma, fino al 30 novembre, l’autore-regista Luca De Bei ne ripropone una sua versione, dal titolo “Al nostro amore”, modello “Happy Hour”, con due personaggi, “Lui” e “Lei”, apparentemente coetanei di mezza età, seduti davanti un bancone imbandito con un sfilata di drink a varia gradazione alcoolica.

Sembrerebbe un incontro romantico “al buio”, ma qualcosa, fin dalle prime battute, rimanda alla percezione di un contatto atipico, quasi contro natura. Nella versione del femminile, non c’è “Eva”, alla ricerca del suo Adamo perduto, ma una sorta di aspide, di boa costrictor: la sua voce si lascia declinare, con elegante scioltezza, avvolgendosi silenziosa e infida nel tronco dell’animo umano, perduto nella sua storia d’amore. E la costrizione insopportabile provoca in Lui una perdita di midollo, aspirata da una colonna vertebrale già indebolita, che ha costantemente bisogno di una tranquillizzante “chaise longue”, per riflettere sull’Io nascosto. Così, con l’intensificarsi del dialogo, emergono, come un vulcano in eruzione, le debolezze reciproche, gli inganni dell’infanzia, e quelli degli adulti, che negano ciò che gli occhi ci rimandano, oltre ogni ragionevole dubbio, perché la mente vuole rendere deforme lo specchio che ci imbarazza.

Così, mentre da parte di “Lei”, Francesca (Pia Lanciotti, elegante e smaliziata) emerge una natura di ricca dandy in gonnella, lucida nella sua solitudine di single divorziata, “Lui”, Leonardo (nell’interpretazione di Fabrizio Apolloni, perfetto nel ruolo), “Leo”, per gli amici, sciorina le sue frustrazioni di professore universitario, sempre in cerca di gloria e di un buono stipendio, dopo aver servito per decenni il suo bravo barone-padrone, che ne oscura il valore, firmando e pubblicando, su riviste famose, i contributi scientifici scritti e ideati dal suo assistente. E, in ambedue, si avverte l’acre odore del tempo che passa, invano rallentato da creme, prodotti di bellezza e pratiche di “fitness” che, forse, ingannano i disattenti, ma non lo specchio che guarda alla propria anima consunta. Così, tra un complimento reciproco per la scelta dei profumi, assaporati e indovinati con consumata perizia (la pièce, a tratti, è una sorta di fiction di “complessità due”, in cui i protagonisti recitano la parte di attori), il veleno dell’aspide fa breccia nella resistenza dello stagionato amante-compagno del figlio di Lei.

Allora, lo scopo di quell’incontro contro natura diventa chiaro: Lei, la madre, vuole, a tutti i costi, mettere termine alla relazione tra il figlio e l’uomo maturo, che le sta di fronte, anche offrendo platealmente il suo denaro. E non importa, poi, se per raggiungere lo scopo occorre picchiare duro, sotto la cintura, attivando i sensori della gelosia omosessuale, diabolicamente filata attraverso l’Arcolaio del Tempo, che tesse a ritroso la trama del passato. Così, veniamo a sapere i tradimenti omosessuali, maturati in età giovane, dal figlio Andrea, specialista nel produrre cuori infranti in campo maschile; o il racconto allusivo di un suo amore “etero”, consumato quasi a forza con una donna matura, amica della madre. Perché, il “cuore di mamma” si deforma ma non si schianta: sicché, alla fine, con il figlio ormai studente universitario, non c’è che la resa all’evidenza, all’ineluttabile. E, allora, omofilia sia, purché tra coetanei!

Poi, in scena si ascoltano il suono distante di un pianoforte dalle note scostumate, indiscrete, che frammenta la concentrazione dei discorsi, inframmezzandosi fra i toni allusivi, le piccole cattiverie borghesi, che Francesca riversa, come tante lame affilate, nel petto orgoglioso e innamorato di Leo. Proprio Lei, che riesce ad avere una comunicazione “normale” soltanto con i suoi domestici extracomunitari, dai quali si sente cordialmente odiata, per le estenuanti fatiche domestiche cui li sottopone quotidianamente (manutenzione e pulizia, ossessiva e maniacale, della piscina; sostituzione delle piante da giardino, che danno colore a una villa troppo grande per la sua vacuità esistenziale, etc.). E Leo reagisce come una donna un po’ isterica e sicuramente brilla. Finché, alla fine sarà un cellulare a mettere termine all’incontro, squarciando le nebbie dell’ebbrezza comune e mettendo davanti ai due protagonisti altrettante, ustionanti verità simmetriche.

Ma, poiché la “vita è farsa”, e viceversa, vi lascerò scoprire, se lo vorrete, come andrà veramente a finire questa faccenda amorosa, e così tanto “diversa”!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:30