Italia-Bronx, una storia   di cultura e d’amore

Il Bronx ha accolto moltissimi italiani nel corso del XX secolo. E’ impossibile, per coloro che sono interessati a conoscere la storia dell’esperienza italoamericana, ignorare questo distretto di New York; come pure è impossibile non percepire l'italianità di Arthur Avenue, che infatti qualcuno chiama la vera Little Italy. E’ qui che abbiamo incontrato John Calvelli, ora vicepresidente esecutivo per la divisione Affari pubblici della Wildlife Conservation Society, e di sicuro la persona migliore per parlare del rapporto tra l’Italia e il Bronx. Lo ringraziamo per il suo tempo, e per l'eccellente pranzo insieme in uno dei migliori ristorante di Arthur Avenue!

John, abbiamo avuto la fortuna di intervistare molti italoamericani, ma tu sei il primo tra i nostri ospiti che nella sua vita ha vissuto l’esperienza di andare a vivere in Italia, per poi tornare negli Stati Uniti. Questo rende la tua storia abbastanza unica. Ci dici qualcosa su di te?

I miei genitori erano entrambi immigrati calabresi, da una piccola città chiamata Vico Aprigliano, in provincia di Cosenza. Durante la seconda guerra mondiale mio padre era qui negli Stati Uniti, mentre mia madre era in Italia: lei venne in America solo nel 1947. Mia madre conobbe mio padre qui, poi tornarono in Italia nel 1955 e poi di nuovo negli Stati Uniti nel 1958. Mio fratello maggiore è nato in Italia, mentre io sono nato negli Stati Uniti nel 1963: e ricordo che mio padre aveva sempre l'idea di tornare in Italia. Lo facemmo nel 1967, perché gli era stato promesso un posto di lavoro in Calabria, una promessa che però poi non fu mantenuta: e quando gli fu offerto un lavoro a Milano, lui ci pensò e poi disse: "Sai una cosa? Se devo passare dalla Calabria a Milano, allora preferisco tornare a New York". Così nel 1969 siamo tornati qui in modo permanente, in nave, sulla Michelangelo. Fu un’esperienza incredibile per me: avevo 6 anni e mi ricordo chiaramente il momento in cui passammo la Statua della Libertà. Io sono andato a una scuola qui negli Stati Uniti, prima ad una scuola cattolica e poi alla Fordham University: ma anche io volevo tornare in Italia. Così andai a studiare a Firenze con un programma di scambio, e dopo qualche mese mi ero così tanto innamorato e integrato con la città e la sua storia che inizia a fare da guida per gruppi di turisti di lingua inglese! Tornai da questa esperienza con la voglia di fare di più, e così aiutai la creazione del gruppo chiamato Fieri, un'organizzazione per giovani professionisti italoamericani. Quando lasciai avevamo circa 15 diverse filiali in tutto il Paese: e questo accadeva prima di internet, nei vecchi tempi quando invece delle email si usavano i fax e si facevano molte telefonate dirette.: davvero contribuito a creare una nuova generazione di leader all'interno della nostra comunità. E questo è solo l'inizio della mia vita come un americano italiano!

Parliamo del Bronx, e non possiamo che iniziare da Arthur Avenue, un luogo magico. Ti chiediamo di raccontare ai nostri lettori perché è così importante nella storia degli italoamericani del Bronx.

Penso che questa sia probabilmente una delle ultime Little Italy rimaste attive negli Stati Uniti. Perché? Perché ci siamo spostati come comunità, come è accaduto con le altre Little Italy quando gli italiani iniziarono ad avere successo e ad essere in grado di acquistare nuove case più grandi: ma da qui noi ci siamo spostati relativamente vicino, in modo quindi di potere ritornare qui spesso. Io vivo a 6 miglia da qui, e ci vengo regolarmente per fare acquisti. La Little Italy di Arthur Avenue ha mantenuto l'essenza di autenticità dei suoi contenuti. Quindi, la gente viene qui perché sa che ci troverà veri valori e prodotti italiani ad un prezzo giusto: e senza avere i problemi di grande traffico o parcheggio che troverebbe ovunque altrove. Parlo di prodotti che si trovano in negozi storici come Borgatti, Madonia, o Teitel Bros... nei prossimi cinque anni qui ad Arthur Avenue ci saranno probabilmente dai 3 ai 5 negozi che celebreranno i 100 anni di attività. Cento anni è un tempo incredibilmente lungo per un Paese giovane come il nostro: sono posti tradizionali che da 100 anni danno un servizio di qualità. Per la mia famiglia questo è ad esempio rappresentato da Vincent’s Meat Market. Mio nonno mi portava da Vincent: suo figlio ora è la persona dalla quale compro la carne, per tutti è “Pete the Meat”. Quindi, per me Vincent è “di famiglia”, ci hanno servito per quattro generazioni: mio nonno, mio padre, me e ora io ci porto mio figlio. Quattro generazioni che vanno nello stesso posto per comprare la carne: è la tradizione che vince per merito della qualità e della genuinità. Un altro fattore importante è che tutto il quartiere, che coinvolge la Fordham University, il Giardino Botanico e lo zoo del Bronx, è stato costruito grazie al duro lavoro di immigrati italiani che si stabilirono qui. Quindi, qui si ha un microcosmo che spiega come anche le altre Little Italy potrebbero sopravvivere: una grande attrazione culturale, una importante università, una popolazione relativamente benestante a breve distanza, e ristoranti e negozi che offrono prodotti di alta qualità. A questo si aggiunge il "saper Fare" italiano: siamo geni del marketing, sotto certi aspetti, probabilmente lo abbiamo inventato senza nemmeno saperlo, e ad Arthur Avenue c’è qualche esempio di tutto ciò. Ci sono solo 2 o 3 altri mercati di questo livello a New York City: ma il mercato Arthur Avenue fu un progetto di Fiorello La Guardia per togliere i carretti di frutta e verdura dalle strade. Per fare questo creò una cooperativa di vari piccoli negozi che ormai esiste ed è in affari da 74 anni, e aggiunge certamente una grande vitalità a questa comunità. Abbiamo fatto uno studio qui, tre anni fa: l'attività economica di Arthur Avenue è di 250 milioni di dollari all'anno, con 1400 dipendenti. Ci sono clienti provenienti da tutto lo Stato di New York ma anche da New Jersey, Connecticut e Pennsylvania: così frequentemente quello che fanno è che vengono allo zoo per mezza giornata, e poi vengono qui per la cena.

Solitamente nelle Little Italy ci sono luoghi particolarmente significativi per gli italiani che si ritrovarono insieme: una chiesa, un parco, un monumento. Ci sono luoghi simbolici come questi nel Bronx?

Come ho detto prima, tutto questo quartiere è stato importante per gli italiani. Allo zoo abbiamo tanti ricordi di ciò: la più grande collezione di edifici Beaux-Arts a New York è allo zoo del Bronx; e nel nostro campus in realtà abbiamo anche l'unica fontana italiana esposta al pubblico newyorchese, che viene da Como. La più importante chiesa italiana qui nel Bronx, quella dove io sono stato battezzato, è Our Lady of Mount Carmel. Prima del 1946 la Chiesa cattolica di New York ebbe fondamentalmente una politica di segregazione verso gli italiani. Noi portammo nel mondo cattolico di New York un diverso tipo di approccio alla religione, e per questo furono create tante parrocchie italiane. Così le chiese, e nel Bronx particolarmente Mount Carmel, ebbero un ruolo chiave nel mantenere l'essenza dell'identità per la comunità italiana. Un altro luogo importante per la comunità italoamericana nel Bronx è la statua di Cristoforo Colombo creata dai Piccirilli Brothers; e a proposito di questi grandi artisti italiani, è importante anche il luogo dove essi avevano il loro studio, nel South Bronx, anche se lì oggi non c'è più una comunità italiana.

Chi erano gli emigrati italiani che arrivarono nel Bronx? Da dove venivano, e come arrivarono qui?

Qui nel Bronx la nostra comunità aveva rappresentanze da tutta Italia, anche se chiaramente la maggioranza veniva dal sud: Calabria, Napoli e la Sicilia. Questo vero e proprio orgoglio di essere italiani, di qualsiasi regione si fosse, creò il forte sentimento di comunità che è stato ed è una delle nostre caratteristiche. I primi immigrati furono quelli che costruirono il quartiere, e poi continuarono ad arrivare a ondate, in seguito alla costruzione della metropolitana: uscivano dalla città in cerca di spazio, un nuovo inizio e aria pulita. Nel 1880 il Bronx aveva una popolazione di circa 200.000 persone; nel 1920 qui vivevano 1,2 milioni di persone. Il Bronx è fatto per il 20% da parchi: Pelham Bay è il più grande parco di New York City. Quando ero bambino, io e i miei amici andavamo in spiaggia a Orchard Beach, che si trova all'interno del parco; o assistevamo ai concerti di opera presso il Giardino Botanico; o andavamo allo zoo, che era come il nostro cortile. Lo zoo del Bronx è il più grande zoo urbano nel mondo, più di 265 ettari. Così gli italiani venuti qui per tutte queste cose.

E invece, quando iniziò il business della ristorazione?

I primi ad arrivare, come detto, furono muratori. C'era una forte comunità di Bari, e loro erano molto attivi in particolare nella vendita di carbone, e ghiaccio, e poi di olio. Poi iniziarono ad arrivare altri emigrati, con diverse specializzazioni e competenze: e Arthur Avenue era di solito solo una prima tappa. Qui si potevano trovare nuovi emigrati dall’Italia anche negli anni ’60 e ’70. Così, una volta divenuta importante l'attività di ristorazione e in generale l'industria alimentare, divenne famosa ovunque. Il cibo è sempre stato molto popolare qui anche perché qui vicino abbiamo Hunts Point, che è il luogo dove arriva via treno tutto il cibo che arriva a New York City da fuori, ed è anche il luogo dove oggi si trova il nuovo mercato del pesce di New Fulton. Lì si trovano molte aziende italiane di grande successo nel settore della distribuzione alimentare.

Quanti italiani vivono qui?

Non ho un numero esatto, la mia sensazione è che siano intorno ai 150mila, perché ci sono ancora importanti comunità di italoamericani a Morris Park, Pelham Parkway, Bedford Park, Throggs Neck, l’East Bronx, City Island. Quindi c’è ancora una comunità relativamente robusta, anche se è anche una comunità che invecchia: tuttavia stiamo iniziando a vedere "un ritorno", il fenomeno per cui ci sono italiani che tornano a vivere qui. Il Bronx è molte cose: ci sono i parchi ma è anche il distretto delle Università, perché qui abbiamo Fordham University, Manhattan College, Monroe College, Bronx Community College, Lehman College, Hostos Community College, Boricua College. E poi è un importante polo medicale: l'Ospedale Montefiore, fondato da un ebreo italiano, è una delle più grandi istituzioni americane che si occupano di sanità.

New York attira anche una nuova, recente immigrazione italiana. Alcuni di questi nuovi italiani sono arrivati anche nel Bronx?

A causa della sua storia il Bronx è stato trascurato dai nuovi italiani di oggi, che probabilmente preferiscono andare a Brooklyn. Ma penso anche che questo sia il momento in cui le cose stanno per cambiare, semplicemente perché è diventato troppo costoso vivere altrove a New York, mentre qui abbiamo ancora spazio, e in 20/30 minuti si può essere a Manhattan. Quindi immagino che nei prossimi 10 anni saranno molti i nuovi italiani che verranno a vivere nel Bronx.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:30