Piccolo mondo antico,  “dalla sceneggiatura allo schermo”

La forma d’espressione più importante del ‘900 è senza dubbio il cinema. Al pari di come la fotografia ha progressivamente sostituito le altre arti grafiche, così i film sono assurti negli ultimi cento anni a vere e proprie opere letterarie, senza per questo far estinguere l’editoria libraria. Anzi hanno completato e perfezionato l’opportunità di narrare. Il libro di Alberto Buscaglia e Tiziana Piras “Piccolo mondo antico, il film di Mario Soldati, dalla sceneggiatura allo schermo”, che verrà nuovamente presentato alla cineteca di Milano l’11 febbraio, ci fa scoprire come Piccolo Mondo Antico di Antonio Fogazzaro abbia, grazie alla trasposizione cinematografica di Mario Soldati, rinnovato e potenziato il proprio vigore.

Soldati offre quest’opportunità a Piccolo Mondo Antico quasi mezzo secolo dopo la pubblicazione del romanzo di Fogazzaro. Il regista è certamente figlio dello stesso sentimento culturale che animava Fogazzaro ed altri autori a cavallo tra fine ‘800 e metà ‘900: tutti, chi più chi meno, ascrivibili al partito dell’identità nazionale e dell’italianità. Possiamo immaginare un Soldati adolescente prima formatosi su Fogazzaro e coevi e poi impegnato a tramandarne ai posteri il messaggio, la letteratura. Oggi Alberto Buscaglia e Tiziana Piras (autori di “Il film di Mario Soldati dalla sceneggiatura allo schermo”) ci svelano, attraverso l’analisi d’una copia della sceneggiatura originale del film, le dinamiche che hanno scandito la trasposizione cinematografica di Piccolo Mondo Antico. Buscaglia e Piras mettono sotto una rinnovata luce quel modo di fare cinema, oggi noto a pochissimi addetti ai lavori (tra l’altro tutti avanti negli anni). Da pochi anni è anche possibile reperire la copia restaurata del film. Pellicola girata nel 1941, premiata a Venezia, e pian pianino (dopo gli anni ’60) scivolata tra “pidocchietti” parrocchiali ed angusti spazi televisivi.

Eppure l’opera cinematografica di Soldati ha rappresentato, per le generazioni tra gli anni ’40 e ’60, un importante momento formativo. Nelle scuole medie d’una volta, quelle lontane dalle tante riforme (dove si studiava il latino per prepararsi al liceo), Piccolo Mondo Antico di Fogazzaro veniva letto in classe insieme a Libro Cuore di De Amicis, servivano per far sentire un’intera generazione italiani fin da ragazzi quando nei pomeriggi di svago fiumane di giovani (i più con meno opportunità economiche) si riversavano nelle sale parrocchiali, lì Piccolo Mondo Antico di Soldati s’avvicendava a “Marcellino Pane e Vino” come a tanti film in costume. E Mario Soldati viveva tranquillo, conscio che il suo Fogazzaro stesse raggiungendo chi ne aveva bisogno, i più giovani.

Per la pellicola il lungo oblio iniziava sul finire degli anni ’70 e si protraeva sino al 2000 (Soldati passava a miglior vita nel 1999): quando con l’home video (restaurato e no) entravano nella case degli italiani prima le videocassette e poi i dvd. Oggi lo studio curato da Buscaglia e Piras permette il salto di qualità, ovvero che la sceneggiatura di Soldati possa formare i nuovi addetti ai lavori, assurgere ad argomento di studio e dibattito. Non meno importante è l’aspetto storico, infatti la sceneggiatura ci permette di comprendere meglio il messaggio di Soldati al suo pubblico ed ai suoi coevi, ovvero a tutti coloro che stavano vivendo la tragedia della Seconda guerra mondiale.

Così Piccolo Mondo Antico di Fogazzaro ha incarnato lo spirito patrio dell’Italia giolittiana, un qualcosa che nasceva prima del Fascismo e che, a causa della guerra, rischiava di morire, d’estinguersi. Soldati avvertiva che la guerra avrebbe cambiato gli italiani, dividendoli, e fatto retrocedere l’idea di patria. Idea che non va né confusa, né sovrapposta, né tantomeno scambiata per un asservimento del Soldati al regime del Ventennio. Infatti l’analisi della sceneggiatura rivela come Soldati fosse uno studioso, assorbito nella complessità espressiva della sua opera, costellata di molteplici riferimenti figurativi e letterari: opera che isola l’autore dal contesto cinematografico dominante negli ultimi anni del Fascismo.

Al punto che Soldati assurge a capo indiscusso della corrente cinematografica minoritaria calligrafista, seguito da Luigi Chierini, Renato Castellani, Alberto Lattuada ed altri forse meno noti. Di fatto Soldati (già scrittore affermato) intendeva affermare la volontà del cinema di autonomia espressiva con le altre arti: non dimentichiamo che negli anni ’40 il cinema veniva ancora snobbato da molti intellettuali come surrogato della letteratura, un po’ come doveva poi accadere negli anni ’60 per la televisione reputata impropriamente meno colta della radio. Lo stesso Soldati soleva ricordare che “i cineasti storcevano il naso di fronte al letterato e i letterati disapprovavano l’uomo di spettacolo”. Ecco che i riferimenti letterari di Soldati sono tutti nella narrativa ottocentesca italiana, in quell’Antonio Fogazzaro che ebbe a folgorare il regista fin da bambino.

Di fatto il film di Soldati non ha vocazione realista o di impegno sociale, e questo farà passare Piccolo Mondo Antico tra le pellicole da dimenticare, non solo rispetto al neorealismo italiano ma anche (e soprattutto) rispetto ai suoi coevi francesi, autori del realismo poetico come Jean Renoir e Duvivier. Ecco che negli anni ’60, in forza del cinema italiano d’impegno politico, il “calligrafismo” di Soldati viene bollato dalla critica come superficiale, “incapace di cogliere la rivoluzione politica del neorealismo”… la critica ormai pende tutta dalle labbra di Luchino Visconti. Poco o nulla valse che l’inascoltato Pier Paolo Pasolini asserisse “l'assoluta leggerezza della scrittura di Soldati significa fraternità”. E Carlo Lizzani soltanto nel 2006 ammette che “Soldati ha tracciato l'altra strada del cinema italiano; una strada parallela a quella intrapresa dal cinema neorealista”.

Ecco perché l’opera di Buscaglia e Piras ha oggi grande importanza, il primo regista e la seconda ricercatrice che ben hanno respirato (introiettato) il coté culturale in cui è maturata l’opera di Soldati. Per dirla con l’interrogativo di Soldati usato nel testo da Luciano De Giusti (collega della Piras all’Università di Trieste) “in quegli anni angosciosi, dal ’40 al ’42, gli italiani continuarono a fare del cinema? E di che cinema, in ogni caso, si trattava?”. Interrogativi a cui “dalla sceneggiatura allo schermo” risponde in due modi, spiegandoci inquadrature, dialoghi e dettagli (anche ricchi di disegni), ma anche calando il lavoro di regista e collaboratori nel bel mezzo del conflitto e dei dubbi: come il fatto che il nome della curatrice del montaggio (Gisa Radicchi Levi) potrebbe essere stato escluso dai crediti del film presumendone la sua origine ebraica. Diversamente è ben visibile quello dell’aiuto regista, Alberto Lattuada, vero seguace di Soldati. Il resto è un dato di fatto e, consci di come la pensasse Mario Soldati su critica e recensioni, riportiamone la sua frase gradita agli autori: “Innanzitutto bisogna premettere che quello che i critici, i filologi, gli storici sanno della sceneggiatura, se lo deducono dai soli titoli del film, è sempre sbagliato. Non è vero quello che c’è scritto lì, non è mai vero. C’è scritto: soggetto del tale, sceneggiatura del talaltro; non è vero: è magari di altri che non figurano. Questo innanzitutto”.

Allora di certo c’è solo la pellicola, la sceneggiatura originale nuda e cruda, i ritagli mondani dei quotidiani dell’epoca. Quel giorno del 1941, in una Venezia avvolta dalle stesse tinte fosche, c’è un Soldati lontano dalla mondanità degli alberghi del Lido, ma anche una bellissima Alida Valli e poi la risposta italiana ad Errol Flynn americano, ovvero l’italianissimo Massimo Serato. I giornali, che maligni, raccontano che orchestra e camerieri erano dubbiosi sul fatto che i divi preferissero pezzi di Latilla o Rabagliati… gli ingredienti per immaginare e sognare ci sono tutti, a Soldati sarà l’ultimo a smentirci.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:34