L’Otello di Lo Cascio

Noi siamo tutti metà Otello, e metà Iago. E, nella mente di ognuno, uno dei due è il... Doppio! Colui cioè che non appare. Ma istiga, suggerisce, insinua, stressa fino alla follia.

Davvero molto particolare questo Otello del Lo Cascio regista-attore, in scena al Teatro Quirino di Roma. Aperto il sipario, ci accoglie un lungo filmato, in cui il fazzoletto, galeotto come il libro di Paolo e Francesca, veleggia tra mille animazioni, posandosi, infine, sul palmo della mano di lei, come farebbe un anello di fidanzamento, tempestato di brillanti, pari al numero di fragole rosse ricamate su quel lembo di lino, donato da Otello a Desdemona. Solo a quest'ultima sarà concessa, da Iago-Lo Cascio, la patente linguistica della purezza della lingua italiana. Tutti gli altri, da un imponente Otello, a Iago, al soldato narrante, alto come un dolmen, sarà cucito sulla lingua un linguaggio arcaico, siculo-vernacolare, a volte intellegibile, molte altre volte no, immerso com'è nel suo lato oscuro, livido e minaccioso. Intraducibile. Insomma, la prima, netta impressione è quella di stare assistendo a un Teatro dei Pupi, sicilianissimo come il dialetto sfoderato dai tre protagonisti maschili. Perché, forse, la Sicilia è il più classico dei loci, in cui l'onore tradito e offeso (soprattutto nel caso di... corna?) si è lavato per molti secoli, con il... sangue? O, forse, soltanto perché a portarlo in scena è, per l’appunto, il Teatro di Catania? Non chiaritemelo, vi prego. Tanto, io continuerò a pensare che non sia un caso.

Terminata la proiezione animata, ecco apparire un monumentale Otello (bianco) post-uxoricidio, seduto su di un trono minuto, che accusa il suo consigliere carnefice di empietà: quella che lui non aveva saputo vedere, prima di uccidere la sua meravigliosa creatura innocente. Ed è Iago ad apparire, subito dopo, emergendo da uno degli accessi in platea, ancorato a una lunga corda, agganciata a un corsetto del tutto simile a quello che, ancora oggi, si usa per portare i bambini a spasso, malfermi su gambe ancora incerte, che muovo appena i primi passi. Molto interessante, direi, il discorso che Iago, condannato al supplizio e alla decapitazione, fa sulla corruzione del corpo, sul cancro materiale e morale di cui ciascuno di noi sembra essere preda quando ancora dura il soffio della vita. Ancora più interessante, però, è la figura imponente, alta, robusta e atletica (opposta a quella del generale nero, altrettanto alto, pesante e corpulento, perché la spada ha bisogno di una grande forza per sbaragliare i nemici) del soldato-narratore, che svolge un ruolo davvero singolare: quello di psicanalizzare, in diretta, i vari personaggi del dramma.

La prima di queste (vivi)sezioni la fa allontanando qualunque, ipotetico spettro di razzismo, a causa del colore e della provenienza geografica del Generale. Il Narratore, infatti, inviterà tutti a lasciare da parte la pelle, l'etnia e la cultura del protagonista, per entrare nel corpo vivo di due essere distinti, ma uguali a tutti gli altri, che abbiano lo stesso sesso. Quello che conta, infatti, è solo il racconto, e il rapporto assoluto, in cui conta solo ciò che prova un uomo, e che cosa prova una donna. Questa, del resto, è la chiave di lettura indispensabile e necessaria, per arrivare - con l'interpretazione giusta - ad aprire lo scrigno del dramma. Perché, Iago, in fondo, potrebbe non essere il riflesso umanoide del Maligno, ma soltanto un uomo infarcito di pregiudizi. Il primo, il più importante di questi ultimi, è il vedere, l'immaginare il rapporto, per lui fuori-natura, della bianchissima e pura Desdemona, con il nerissimo, feroce e sanguinario Generale.

Perché una femmina che si adatta ad amare e innamorarsi di un simile uomo non può non essere una.. Puttana! E, questo, sarà detto e ripetuto decine volte, da Iago e da Otello, in tutta la rappresentazione, puntando con tutta la forza possibile la lingua siculiana su questa parola! L'altro affondo psicanalitico, lo svolgerà Iago stesso, raffigurato vestito di tutto punto, perfino elegante, con indosso una cravatta, prima della sua esecuzione. E sarà sempre lui, a svelare all'uditorio la sua misoginia procurata, quando lui, adolescente, tornato prima da scuola per fare una sorpresa ai genitori, vedrà la madre nella braccia di un altro uomo, che ha preso il posto di suo padre nello stesso letto matrimoniale. Da qui, pur avendo preso moglie in età adulta, il suo rifiuto patologico di dormire con una donna a fianco.

Sicché, l'epilogo è chiaro: fare in modo, attraverso il veleno del sospetto, che Otello impazzisca di gelosia, fino a commettere proprio quell'uxoricidio, che avrebbe mondato il suo letto dalla presenza impura di Desdemona. Ma, come suggerisce il Narratore, vittima e carnefice sono sempre una cosa sola: l'amore totale che si tramuta in odio totale, separa dalla vita l'uno e l'altra, ma li ricongiunge, necessariamente, nella morte.

Il post-epilogo, a tragedia avvenuta, che narra del sogno del narratore, in cui lui stesso, il sognatore, porta il suo generale sulla Luna (la Femmina), a cavallo di un Ippogrifo alato, perché Otello, orami vestito con panni civili, vada a recuperare l'anfora lacrimatoria e il famoso fazzoletto, senza però, poter riportare sulla Terra, né l'una, né l'altro, è solo una licenza poetica di Lo Cascio, o sotto c'è molto di più? Al pubblico, l'ardua sentenza!

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:20