Se il sogno è...“doppio”

giovedì 9 aprile 2015


Il “Doppio Sogno” di Arthur Schnitzler. Ne esiste una versione filmica (Eyes Wide Shut del 1999) di Stanley Kubrick e, oggi, una sua versione teatrale, per l'interessante regia/rivisitazione (che conserva il titolo originale) di Giancarlo Marinelli, in scena (fino al 19 aprile) al Teatro Quirino di Roma. Lo spettacolo opera una sorta di merge-sort (che rappresenta, in campo informatico, un algoritmo di ordinamento delle sequenze di dati) tra il racconto originale di Schnitzler e la successiva rappresentazione di Kubrick.

Demoniaco; reale; fantasmagorico e onirico: questi gli ingredienti di uno spettacolo per gusti raffinati che sanno scuotere la polvere dai calzari degli stereotipi freudiani, così tanto abusati, per immergersi, come un cristiano catacombale dei primi esordi della fede, nelle pratiche più sublimi della psicoanalisi e dell’interpretazione dei sogni. Aiutano a costruire il tempo e lo spazio di questa realtà policroma, ambigua e multiforme, le risorse scenografiche, impostate su quattro alti parallelepipedi rotanti e mobili - sorta di colonne doriche di un tempio esoterico-massonico invisibile, infibulato dal triangolo del divino, nel timpano superiore - che fungono da porte, cortina, parete e specchio. La libido - nello spettacolo di Marinelli - procede dal letto confuso e disfatto di una coppia in crisi esistenziale (lui, il medico Fridolin, e lei, sua moglie Albertine), che utilizzano il flashback dei potenziali tradimenti reciproci per rigenerare la linfa del loro desiderio sopito e stanco.

Così sarà il ricordo di un ballo in maschera della sera precedente, che ha visto la coppia mescolarsi ad altri presunti amanti-spasimanti, senza consumare fino il fondo il reciproco tradimento, a generare il principale sogno-incubo di Fridolin. È lui a muoversi mascherato, all’interno di un misterioso palazzo, compresso in uno spazio onirico, confuso e straniante, dove si svolgono strani riti orgiastici, in cui sesso e potere sono i giganteschi tiranti del ponte sospeso sull’oceano delle perversità e dei desideri inconfessabili umani. L’intreccio tra gli eventi apparenti e quelli reali è di difficile risoluzione, creando così l’effetto, a lungo ricercato, di imbriquement (oggetti - mentalmente - diversi, che si compenetrano gli uni negli altri) tra sogno e vissuto, in quanto immagini stroboscopiche di una mente scissa, che si vorrebbe, erroneamente, unitaria. Marinelli, costruisce una sua interessante originalità, sovrapponendo - come smalto colorato e rovente, steso su di un metallo anodino - i sensi di colpa di un medico di fama, colto ad esaminare, in modo ossessivo, con regolari incubi notturni, i propri errori del passato.

Così, la febbre alta di una figlia piccola, che attende il suo ritorno per terminare la fiaba del principe, diviene la co-protagonista invisibile di un dramma, che attraversa, come una lama di coltello, la psiche di Fridolin, quando, lasciata la figlia febbricitante, si precipita a casa di un suo paziente morente - un noto consigliere militare - di cui aveva invano tentato di curare il figlioletto, morto a causa dello stesso grave stato febbrile, che si rivelerà letale, anche per sua figlia.

Sogno e realtà si miscelano in modo inestricabile quando, davanti al feretro del consigliere, la figlia adulta di quest’ultimo gli confesserà il suo amore, malgrado sia promessa sposa a un medico mancato, che fa il pianista di piano bar, per sopravvivere. Quest’ultimo sarà, nella freccia invertita del tempo, ordita da Marinelli, il personaggio-chiave della transizione del protagonista dall’assurdo al reale.

È lui a rivelare a Fridolin il luogo segreto dei riti orgiastici, ai quali il medico arriverà travestito, dopo aver acquistato abiti di scena da uno strano trickster (ingannatore: si tratta di una figura mitologica, un essere spirituale, uomo, donna o animale antropomorfo, vorace, abile nell’imbroglio e caratterizzato da una condotta amorale al di fuori delle regole convenzionali), che lascia prostituire la figlia con strani soggetti, personaggi influenti nel mondo reale, travestiti da pupazzi giganti dei cartoni per bambini. Così mascherato, andando alla ricerca della figlia scomparsa, il protagonista giungerà disperato alle soglie dell’Ade, di cui, per varcarne la porta, conosce soltanto la parola d’ordine (“Danimarca”, Paese del Principe-Fridolin della fiaba non terminata!), ma non quella... interna, per procedere oltre.

Smascherato, Fridolin è condannato a morte, ma una figura femminile lo salva, sacrificandosi al suo posto, in cambio del silenzio, su quanto ha visto. Interessante, in questa versione, il gioco dei poteri secolari (il maestro di cerimonie e i suoi sodali), contro la forza dell’amore, di quella che - per Kubrick - si rivelerà una prostituta tossicodipendente (con la quale Fridolin si era rifiutato di avere rapporti...), ritrovata all’obitorio dal protagonista, una volta risvegliatosi dal suo incubo.

Il rituale orgiastico in realtà ruota sul sacrificio infantile di cinque bambini scomparsi, e che - nel simbolico - rappresentano i sensi di colpa del medico, reo di non essere riuscito a salvarli. Sarà soltanto al termine di un’ipnosi, procuratagli dal suo amico vero - un famoso neuropsichiatra freudiano - che il protagonista riscoprirà, grazie ad Albertine, la forza vitale dell'amore coniugale, permettendo così al suo Eros di sconfiggere (certo, solo temporaneamente, come per tutti noi...) il Thanatos che lo tormenta.

Compagnia eccellente di attori per uno spettacolo raffinato, denso di spunti narrativi assolutamente originali. Da non perdere.


di Maurizio Bonanni