L'Opinione intervista  Tony Lo Bianco

Nelle nostre interviste spesso celebriamo un personaggio italoamericano che ha avuto successo in una parte degli Stati Uniti, ha raggiunto la fama per i suoi successi, rappresenta con orgoglio la comunità italoamericana. Beh, questa volta ne abbiamo due, in una sola persona. Tony Lo Bianco ha avuto una lunga carriera di successo. Ha vinto premi, è stato una star nel cinema e nel teatro: è davvero un'eccellenza italiana che ha dato orgoglio e ammirazione in tutti i nostri connazionali negli Stati Uniti, di qualsiasi generazione, in ogni parte del Paese.

Finalmente, nel prossimo maggio Tony porterà in Italia il suo capolavoro, "The Little Flower": un educativo, stimolante e comico one-man show, ambientato nel 1945 dell'ufficio di Fiorello La Guardia, durante il suo ultimo giorno del suo periodo di tre mandati come Sindaco di New York City. Tony letteralmente “diventa” Fiorello: e quindi abbiamo due diversi meravigliosi italoamericani in una sola persona. Sosteniamo sempre che l’Italia ha bisogno di più America: sicuramente, oggi avrebbe disperatamente bisogno di un Fiorella La Guardia, e in qualche modo, a maggio lo avrà. Signore e Signori, Tony Lo Bianco!

Tony, la tua carriera è una meravigliosa storia di talento e di successo. Per favore, dicci qualcosa su di essa

Al liceo, due studenti stavano recitando una scena del Giulio Cesare di Shakespeare, tra Bruto e Cassio. Non avevo idea di quello che dicessero, non riuscivo a capire una parola. Ma ero affascinato dal suono, dal ritmo del discorso. Mi si può chiedere perché mi affascinasse, ma chi lo sa: non ho idea. Ma volevo ascoltare, per me era molto interessante. Gli studenti in sala erano rumorosi e indisciplinati, e io li feci tacere così da permettermi di sentire gli attori recitare. Successivamente l'insegnante e i due attori mi ringraziarono e mi invitarono a unirsi a loro, e così andai con loro ad assistere alla loro performance in un programma radiofonico a Brooklyn. Non avevo un interesse specifico, ma alla fine imparai entrambe le parti di Bruto e Cassio, ancora non sapendo la maggior parte di ciò che significassero le parole del testo.

Poi avvenne un altro miracolo. Fu organizzato un concorso durante il mio ultimo anno e io fui coinvolto, perché ero il presidente della classe e correvo per diventare presidente della scuola. Misi da parte il mio guantone da Baseball: ero un buon giocatore e avevo fatto un anche provino con i giovani dei Brooklyn Dodger. Ma avevo una forte capacità di leadership: così, quando fu organizzato il concorso , e ha prosperato la responsabilità di essere un leader. Così, quando un concorso di recitazione, vi partecipai.

E qui, quando si trattò di scegliere quale pezzo avrei portato per il concorso, accadde un nuovo miracolo. Mia zia, che viveva al piano sotto del nostro a Brooklyn, in quel momento ospitava sua sorella, che aveva una poesia con lei e mi propose di portare quella: si trattava di un soldato che stava morendo in una trincea, e per la prima volta gli capitava di vedere Dio. Portai la poesia e vinsi per la mia classe, e poi per la mia scuola con la mia insegnante, la signora Patricia Jacobson, che mi aiutò a ripetere la parte. In breve, mi ritrovai a rappresentare Brooklyn nella finale con gli altri distretti di New York: arrivai secondo. Poi, laureai, ma non avevo interesse negli sbocchi professionali che mi si prospettavano, per cui mi dissi: bè, vediamo di provare con la carriera di attore. Così frequentai una scuola di recitazione, The Dramatic Workshop a New York.

Io e i miei fratelli John e Joseph siamo leali e dedicati con caparbietà a quello che ci siamo proposti di fare. Se dobbiamo sfondare un muro gli corriamo attraverso, se dobbiamo scalare una montagna arriviamo fino in cima. Questo è il modo in cui abbiamo vissuto. Non abbiamo mai rifuggito le difficoltà, anzi le abbiamo accettate come sfide. Tutto ciò che era difficile, lo abbiamo voluto fare.

Così, quando andai a scuola di recitazione, mi misi in testa di imparare tutto: da spazzare il palcoscenico a mettere a punto l'illuminazione, dalla regia ai costumi, dalle scenografie alla gestione del palco: tutto. Quella determinazione mi ha aiutato per tutta la mia vita: ormai ero un attore. Oggi, naturalmente, sono un attore ma anche un regista, uno scrittore e un produttore. Anche oggi: tutto.

Mi ricordo la prima scena che feci nella classe di recitazione. Il ruolo era perfetto perme, "Golden Boy" di Clifford Odette. Avevo l'età giusta, e il personaggio di Joe Bonaparte era un pugile. Ricordo di aver passato tre mesi a provare una scena di cinque minuti, con una donna che era molto più grande di me, un’attrice affermata. La feci impazzire dicendo riproviamo, proviamo ancora, possiamo fare meglio, fino a quando finalmente andammo in scena, e piacque molto al direttore della scuola. Tutto quel lavoro aveva pagato. È così che si costruisce una reputazione, è così che le persone ammirano le tue capacità. Sono sempre stato orgoglioso del fatto che è il mio lavoro che la gente apprezza: l'impegno non solo per la mia performance, ma per tutto ciò in cui io credo. Come ad esempio sostenere i nostri veterani di guerra, le nostre forze dell’ordine, i nostri vigili del fuoco. Chiunque sia a difesa del nostro Paese, ha il mio sostegno. Penso che la gente capisca anche questo di me, e sappia che sono molto orgoglioso del mio supporto per chi difende gli altri e difende il mio Paese.

C'è un aneddoto che ha un significato simbolico per te? Magari qualcosa di divertente che ti è capitata in questi anni?

Tutto ciò che mi è capitato nella mia vita ha un significato simbolico: la mia crescita, la mia formazione, la mia educazione. Ho imparato poco dall’istruzione ufficiale, la mia più grande formazione viene dalla mia capacità di osservazione che mi insegna ancora oggi a capire la gente, come è fatta e cosa vuole. Da attore, io sono solo uno strumento, solo un pezzo di argilla, da plasmare in qualunque personaggio io interpreti. Il mio look tipicamente italiano rende più difficile per me trasformarmi in un altro uomo di un altro tipo, e questo mi piace … mi piacciono le sfide, ti fanno crescere. Il conflitto ti aiuta a crescere. Le difficoltà sono una benedizione, permettono di imparare, di superare i propri limiti e di migliorarsi, sia nell’arte che nella vita.

Il rapporto tra il cinema americano e gli italoamericani ha attraversato diverse fasi. Quando gli italiani erano pesantemente discriminati, gli attori italiani erano eroi per la comunità italoamericana. Dopo la guerra un vero capolavoro come "Il Padrino" parlava di una famiglia italoamericana che divenne facilmente il motivo (sbagliato) per etichettare ogni italoamericano come un criminale. Solo ora, forse per la prima volta Hollywood ha deciso di fare un film per celebrare un eroe italoamericano, Louis Zamperini: comunque, un film in cui nessuno tra produttori, regista e i principali attori sono italoamericani. Cosa ne pensa di questo un grande attore come te?

Sono più interessato all’autenticità del ritratto del personaggio, non mi importa di che nazionalità sia. Se l'attore può essere convincente nell’interpretare una parte, qualsiasi essa sia, anche se non è italoamericano ma il personaggio che interpreta invece lo è … Bravo! Questo è quello che tutti noi attori cerchiamo di fare. Se un uomo bianco può interpretare con convinzione un personaggio di colore, come Lawrence Olivier in Otello: fantastico. Se accade il contrario, molto bene. Sono molto interessato agli attori che sono veri artisti.

Vorrei che gli italoamericani fossero più utilizzati nei casting. Mi piacerebbe vedere più attori italoamericani in ruoli come avvocati, giudici, medici e presidenti di grandi aziende. Dobbiamo ricordare i grandi magnifici geni che cito nel mio show. Michelangelo, Marconi, Galileo, Leonardo da Vinci, Puccini, Verdi, Dante, Machiavelli, Caravaggio, Cristoforo Colombo, Marco Polo, Caruso, Garibaldi, Donatello, Eleonora Duse, Enrico Fermi, i Medici, Meucci, Raffaello, Botticelli, Bellini, Bernini, Toscanini e l'uomo che ha dato il nome a questo Paese: Amerigo Vespucci. Questi sono solo alcuni dei tanti meravigliosi italiani. Questi geni sono il fondamento sul quale dovrebbe essere costruita la nostra reputazione.

Parliamo di “The Little Flower”, il tuo fantastico one-man show sul grande Fiorello La Guardia. Quando ho visto lo show a New York ho capito perché la gente continuava a dirmi "Tony E’ Fiorello": sono d'accordo con loro. Come e quando è nato lo spettacolo?

Ho fatto il personaggio di Fiorello La Guardia per la prima volta nel 1984. A quel tempo lo spettacolo si chiamava "Hizzoner" (ndr un modo un po’ sarcastico di storpiare le parole “His Honor”, ovvero “Vostro Onore”). Fu messo in scena per la televisione pubblica WNET qui a New York, sul palco dell’Egg (l’Empire Estate for the Performing Arts ad Albany). Era più di un omaggio al Sindaco La Guardia, senza un vero approfondimento sull’intensità del suo valore e dei suoi meriti.

Fiorello La Guardia è stato il Sindaco più popolare nella storia di New York, secondo un sondaggio fatto tra i newyorkesi stessi; e anche il più importante italoamericano in assoluto, secondo Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio Italiano dopo la seconda guerra mondiale. Perché è stato così popolare ed amato, e qual è la lezione che ancora oggi viene da questo grande Italiano?

La gente ha sempre pensato a lui come a un personaggio dei cartoni animati, per la sua voce divertente, il suo aspetto fisico bassino e pienotto, tutta la sua energia e il grande cappello a sombrero che indossava. Quella era solo una immagine, solo il suo aspetto esterno, non quello che fece come Sindaco. Fu per sette diverse legislature un membro del Congresso, e Sindaco di New York per tre mandati. Si offrì volontario e partì per la prima guerra mondiale: imparò in tre mesi a pilotare gli aerei grazie al suo buon amico Giuseppe Bellanca e poi si arruolò nell'esercito come pilota e in un anno divenne maggiore. Era un notevole personaggio.

Fu fantastico in tutte le cose che fece. Era ovunque. Era veramente “del popolo” e “per il popolo”. Era un uomo che si preoccupava disperatamente delle persone più deboli e dei bambini. Nel terribile periodo della depressione, spesso i ragazzini trovavano la sua auto fuori dalle loro case: per parlare con le loro madri, che non avevano il latte da dare ai figli; per aiutarle ad ottenere quello di cui avevano bisogno. Capì che vigili del fuoco e poliziotti rischiavano ogni giorno la vita in servizio, e pensò che fosse con loro che il Sindaco avrebbe dovuto essere, per condividere il rischio a fianco di uomini coraggiosi e di onore. Era quel tipo di rappresentante delle istituzioni, e fece tantissimo per le leggi di questo Paese.

La quantità di cose che ha costruito nella città di New York è notevole … 14 insediamenti residenziali pubblici, 15 piscine all'aperto, 25 nuovi ospedali, 95 nuove scuole, 340 parchi giochi, 60 campi da tennis. Fece completamente restaurare Central Park, aggiungendo lo zoo che ancora oggi ne è parte fondamentale. Quanto a infrastrutture per la mobilità nei 5 distretti di New York, costruì il Belt Parkway, la Parkway Marina a Brooklyn, il Bronx Whitestone Bridge, il ponte Tri-Borough, il Ponte Reese Park nel Queens, il tunnel Queens Mid-Town, il Lincoln Tunnel, l'Holland Tunnel, e non dimentichiamo la Brooklyn Battery Tunnel, l'East River Drive, il Westside Highway, The Henry Hudson Parkway e la Grand Central Parkway, solo per citare alcune delle cose che fece.

Il 18 maggio ti esibirai in Italia, portando per la prima volta "The Little Flower" a Roma, al Teatro Sala Umberto. Che cosa significa per te questa tua prima volta?

Significa tutto, per me. Sono un italoamericano molto orgoglioso delle mie radici. I miei genitori nacquero qui in America, ma sia i miei nonni materni che quelli paterni vennero in America dall’Italia. Devo tutto al fatto di essere italiano, perché mi ha dato questa libertà di godermi la vita e di sperimentare. Sono una persona curiosa, non sono timido, non mi inibiscono cose che normalmente inibiscono altri. Non ho paura del palcoscenico: ho qualcosa da dire e un luogo per dirlo. Io sono un attore sincero e la vitalità di essere italiano, di essere in grado di esprimermi come facciamo noi Italiani, è un dono.

Ho avuto la fortuna di crescere con otto zii. Mia madre aveva otto fratelli e le storie della loro vita mi hanno aiutato molto a conoscere e capire la mia. Erano storie della loro lotta quotidiana, di cercare di mettere insieme due centesimi per tirare avanti. Così, per me questo è ciò che è così eccitante nella vita: superare una sfida, possibilmente difficile. Sia mia madre che mio padre dovettero abbandonare la scuola da ragazzi, per andare a lavorare in fabbrica. Mia madre cuciva cappotti, non aveva tempo per lei: doveva prendersi cura dei suoi fratelli, e così era già quasi una madre anche quando era ancora bambina. Questo tipo di esperienza di vita le insegnò tanto.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:37