“Der Park” in scena al Teatro Argentina

sabato 9 maggio 2015


Credete nelle fate? L’autore di “Der Park”, Botho Strauss, e il regista Peter Stein sembra proprio di sì, stando alla messa in scena dello spettacolo omonimo in cartellone al Teatro Argentina di Roma per tutto il corrente mese di maggio, e che trae spunto dal “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare. Innanzitutto, i miei più vivi complimenti alle maestranze che hanno movimentato le macchine di scena per la costruzione/sostituzione di decine di quadri e di scenari, dando vita a uno spettacolo della durata extra large di oltre quattro ore. Circostanza quest’ultima che - a mio avviso - sovraccarica il racconto di un eccesso di rappresentazione e di passaggi privi di un forte nesso simbolico, percepiti dall’osservatore come eventi ridondanti all’interno di una grandiosa costruzione policroma che dà vita allo spettacolo circense di “Der Park”, declinato da personaggi ibridati tra fiaba e realtà in quanto privi di uno scudo interiore.

Regia e autore partono dalla trama originale di Shakespeare che narra del re Teseo e di Ippolita regina delle amazzoni, al quale sovrano chiede giustizia Egeo, il padre di Ermia, che si rifiuta di sposare Demetrio perché ama Lisandro. Teseo dà ragione a Egeo costringendo Lisandro ed Ermia alla fuga per coronare il loro sogno d’amore. Ermia confida i suoi propositi all’amica del cuore, Elena, a sua volta innamorata non corrisposta di Demetrio che, nel corso dell’ennesima lite con Elena, viene messo involontariamente al corrente da quest’ultima del progetto di fuga della sua promessa sposa. Gli innamorati fuggono inseguiti da Demetrio e si rifugiano in un bosco incantato del regno delle fate dove, tra non pochi colpi di scena, il re Oberon e la regina Titania risolveranno le loro questioni matrimoniali e i tormenti amorosi tra le due coppie di umani, grazie ai servigi di un folletto pasticcione.

Nella versione moderna di Stein-Strauss il bosco diviene un cespuglio e la missione terrena di Oberon e Titania è intesa a svolgere una funzione “alta”, nel senso che re e regina si prefiggono di mescolarsi agli umani per risvegliare in loro il vero, profondo e intenso piacere di amare. E falliranno, inevitabilmente. Perché, in fondo, quella attuale è una società de-sacralizzata in cui le passioni si confondono con i malumori esistenziali e vale lo schema dei triangoli (due uomini per una donna e viceversa), di cui un vertice ad un certo punto sarà occupato - inevitabilmente? - dall’istinto di morte. L’amuleto (che sostituisce il “succo viola del pensiero”, nella versione shakespeariana) forgiato dal mago Cyprian - sostituto gay dell’originale folletto Puck - offre l’illusione di onnipotenza, come quella di piegare le anime e i sentimenti al volere di chi lo possiede e lo indossa.

La magia deforma illusoriamente il mondo sgradevole del vissuto rendendo possibile ciò che in pratica non lo è, inoculando nelle sue vittime visioni fantasmatiche per mettere a tacere l’istinto confuso, meticciato agli interessi terreni che tutti i protagonisti dispongono in bella vista nei loro labirinti dei passi perduti, perimetrati da siepi sempreverdi che fanno da barriera impenetrabile al mondo dell’Altro da sé. Perché la vita terrena senza quell’effetto magico è tutta un rincorrersi di ombre, all’inseguimento di ciò che si sarebbe voluti essere e che non è stato per la nostra incompletezza, confusione sessuale ed evirazione dei miti, ridotti a vuoti discorsi pseudopolitici. Ma, l’errore di magia - dicono Stein-Strauss - partorisce mostri mitologici e può rendere realtà i nostri peggiori incubi. Così, svanito l’effetto, ci si può masturbare nascondendo il proprio ventre all’interno di un abito lasciato vuoto dall’apparizione svanita. Come pure si può odiare la donna amata, e viceversa. E, poi, la magia sbagliata acceca e rende automi gli oggetti del desiderio e persino le persone fiabesche, degradando finanche il re Oberon a reietto senza più poteri per l’espiazione della sua colpa avendo lui stesso, il “supremo”, ceduto alla cupidigia di volere la cosa di altri: ovvero, di avere desiderato per sé il servitore prediletto di Titania di cui la stessa regina era follemente innamorata.

Torniamo umani, insomma, facendo ricorso alle sole nostre forze, perché nella nostra vera natura è contenuto tutto il soprannaturale che ci occorre! Lezione quest’ultima da non dimenticare mai!

 


di Maurizio Bonanni