“Il fasciita” Buttafuoco

Una volta scoperto il fuoco, l’umanità si divise tra fautori della flora e della fauna. Tra chi andava per sementi ed chi per animali. I secondi a dorso dei cavalli razziavano i facili bersagli dei campi coltivati. E a cavallo di canoe e barche, lungo le acque di fiumi, laghi e mari calavano sui borghi stanziali delle coste. Uno spettacolo continuo in un verso e nell’altro, dalla Grecia alla Turchia persiana, dalla Tunisia cartaginese alla Sicilia greca, da questa alla Campania sannita, dall’Etruria a Roma, dalla Francia ai Luoghi Santi che era ora pirateria ora commercio, ora rapina ora guerra santa, e viceversa.

Ancora prima dell’invasione araba dell’Africa, le coste italiane attendevano, come evento di natura, l’arrivo dell’oscuro mistero dell’altra sponda. Mille volte schiacciata tra Pompeo e l’occupazione americana di Algeri del primo Ottocento, l’oscura minaccia si ripresentava sempre, immortale nemesi di un altro mondo, tanto vicino tanto lontano fino a consolidarsi nel mito dell’orda del feroce saracino. Oggi di nuovo i saracini compiono lo stesso viaggio di sempre, stavolta per essere razziati, a rebours, in salvo. Non per rapina ma per carità, l’occupazione continua come un tempo, e come allora è destinata ad eclissarsi rapidamente in un oscuro anonimato. Stampati sugli occhi e serrati fra le labbra, i saracini portano con sé notizie strazianti delle stragi compiute dai loro fratelli sui cristiani lapidati e bruciati; e racconti ancora più tremendi di altri saracini impegnati in una lotta mortale contro i loro correligionari decapitati, crocifissi e messi al rogo con tanto di trasmissione tivù.

In questo contesto di paure e minacce, ci vuole un bel coraggio, stando da questa parte della sponda, a dirsi saracino. Anzi a rivendicare di avere “(Io) di mio (ho) un nome saraceno”. Nel bel mezzo dell’odissea marina dei barconi di emigranti, delle vittorie sunnite dell’Isis e del Califfato, del terrorismo islamico, delle stragi di cristiani dall’Africa all’India passando per la Siria, Pietrangelo Buttafuoco si rivela come Giafar al-Siqilli e ne “Il feroce saracino” (Bompiani) cerca di sfatare le paure de “... il califfo alle porte di Roma”. Sembra di sentire il suo conterraneo siciliano Franco Battiato: “Nel parlare di arabi non posso, né voglio essere obiettivo. Ho simpatia fisica per questa gente, che rappresenta il ricordo di periodi folgoranti delle antiche civiltà tradizionali”.

Come riconoscere il nuovo Buttafuoco nel nipote del parlamentare missino Antonino, giornalista e politico missino egli stesso, cresciuto da giovane intelligent-destro tra quotidiani, riviste e tivù, quale incrocio di Veneziani e Ferrara, in quella palestra quotidiana dello scontro di civiltà che è stato “Il Foglio”? Il percorso dello scrittore siciliano sembra partecipare dello sfarinamento della cultura politica di destra, seguita alla diaspora politica. Un sottile filo rosso c’è ma ricorda l’ortodosso ebreo, poi musulmano, l’azero ucraino, filocaliffo e filofascista in fuga dai nazisti, Lev Nussimbaum, noto anche come Essad Bey e Kurban Said. L’antiamericanismo repubblichino originario non è che confermato. Anzi raddoppiato, dato che per Buttafuoco Isis e jihad non sono altro che prodotti occidentali, Coca cola insabbiata. Il dolore della perenne faida mafiosa si ripropone ai suoi occhi nella guerra civile tra sunniti e sciiti. Poi si impone, per l’esegeta orfano della mistica fascista, l’esigenza di una fede, che la politica non può dare più, tramontata la deificazione di “Dio e popolo” nella Nazione. Ora che le pulsioni di governo sono tornate miraggio, si può dare voce alle antiche sirene. Del paganesimo evoliano, del sufismo yoga del russo-turco Gurdjieff, della restaurazione massonica del musulmano convertito René Guénon e del suo viaggio all’interno del regno sotterraneo della Tradizione primordiale, retta da “Il re del mondo” (titolo citato da Battiato).

Altra faccia della luna rispetto alla destra laica, Buttafuoco cerca l’alleanza degli uomini di fede contro il vuoto spirituale dei miscredenti (i comunisti di un tempo). Non è un Magdi Allam alla rovescia, perché non ha nulla contro i cristiani. L’associazione sciita “Imam Mahdi” di via Gualdo Tadino che incornicia i suoi interventi e scritti non a caso è intitolata alla figura dell’Imam della futura resurrezione nel giorno del giudizio accanto al profeta Cristo. Musulmano e gentiluomo, “il fasciita” Buttafuoco si vendica anche di Dante, reo di poca cura per Maometto, rivelando che tutta la Commedia non è altro che la scopiazzatura de “Le Rivelazioni della Mecca” del maestro sufi Ibn al-Arabi, che “narra il viaggio di due maestri sufi nell’aldilà, sotto la guida dell’arcangelo Gabriele, dei 7 ripiani circolari dell’Inferno, dei 7 simmetrici ripiani del Purgatorio con altri e dei 7 cieli del Paradiso”.

In mezzo alle due sponde, Buttafuoco trova (o introduce) Nietzsche e Cagliostro, politeismo e rosacroce, Zarathustra e Tolkien, nell’islamismo sufista. Fosse un convertito vorrebbe menare le mani; invece invoca l’incontro di civiltà degli scomunicati Federico e Saladino. Tra le due sponde di europei senza fede e musulmani vogliosi di perderla, ad un siciliano conservatore, estraneo ad entrambi, non resta che sentirsi l’unico e autentico saracino. Purché non ne sia il pupo di metallo.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:34