Italiani in America, i dati di “Migrantes”

venerdì 17 luglio 2015


La Fondazione Migrantes pubblica dal 2006 il rapporto annuale sugli Italiani nel mondo, insostituibile punto di riferimento per chi si occupa di emigrazione. Chiediamo alla redattrice capo del progetto, Delfina Licata, di parlarcene.

Delfina, come nasce l’idea del rapporto?

L’idea è nata nel 2006: da 15 anni insieme alla Caritas realizzavamo un volume sulla presenza degli immigrati in Italia, e si decise di ricordare il nostro passato emigratorio. Gli italiani continuano a lasciare l’Italia oggi con motivazioni e numeri diversi: il volume parte dal passato ma attualizza gli argomenti e arriva all’oggi, grazie a redattori dalle diverse professionalità – storici, sociologi, economisti, architetti, artisti – che scrivono dall’Italia e dall’estero.

Quali sono i numeri dell’emigrazione e della presenza italiana negli USA?

Dei quasi 26 milioni di connazionali che dal 1876 al 1976 hanno lasciato l’Italia in cerca di fortuna all’estero, il 22% ha raggiunto gli USA. Dal 1892 al 1924 per Ellis Island passarono più di 20 milioni di persone: dal 1896 al 1917 e poi nel 1920-21 gli italiani furono i più numerosi. Nel 1910 New York, prima città negli Stati Uniti per numero di abitanti, ospitava 4.766.883 residenti, di cui il 40% composto da stranieri tra i quali 340.795 italiani. Dei 5 milioni e 300 mila connazionali che tra il 1820 e il 1978 emigrano negli USA, più di 2 milioni lo fanno tra il 1900 e 1910, quasi 4 milioni tra il 1880 e il 1915 (il 50/60% dei quali poi rientrò in Italia nei primi 15 anni del secolo).

Chi erano questi italiani che emigravano in America?

Fino al 1900 la maggior parte di essi proveniva dal Nord Italia (soprattutto Veneto, Friuli Venezia Giulia e Piemonte) ma il grosso è stato poi costituito da meridionali, soprattutto campani, siciliani e calabresi.

Diversi erano contadini destinati a lavorare nelle miniere: la legge americana consentiva loro di portarsi aiutanti con cui dividere il salario e molti minatori chiamarono a lavorare i loro figli di 8-12 anni, spesso clandestini. I lombardi venivano soprattutto per lavorare come minatori e manovali nel Missouri, nell’Illinois, nel Vermont, nel Michigan, nello Stato di Washington e poi in Iowa, Texas, New Mexico, Arizona e a San Francisco. Numerosi furono gli esuli politici piemontesi, lombardi e toscani che parteciparono alla corsa all’oro lungo la Sierra Nevada, fondando diverse delle attuali ghost town intitolate a eroi del Risorgimento italiano.

Dalla Calabria, tra il 1901 e il 1913 emigrarono più di 500.000 persone: tra di essi anche quadri politici e sindacali, che nelle grandi città diventarono protagonisti del movimento operaio statunitense e per questo schedati come ‘pericolosi sovversivi’.

A parte i minatori, all’inizio gli italiani erano soprattutto agricoltori e artigiani, molti analfabeti e ambulanti, che si trovarono a svolgere le professioni più diverse e a “costruire” l’America edificando strade e grattacieli e finendo spesso nelle maglie della malavita. Numerosi furono i ricongiungimenti familiari e i nuclei che si costituirono o ampliarono in terra americana dando vita alla seconda generazione. Quest’ultima e poi quelle successive videro una più accentuata acculturazione; crebbero personalità di spicco a livello sociale, politico, imprenditoriale.

Le migrazioni più recenti hanno tra i loro protagonisti sia studenti universitari e post-universitari che giovani professionisti operanti per conto di filiali americane di aziende italiane.

La Chiesa ha avuto un ruolo fondamentale nell'aiutare i nostri connazionali ...

Fin dall’inizio, sacerdoti e religiosi (scalabriniani, francescani, salesiani, gesuiti ed altri) seguirono ed assistettero i migranti italiani. Mons. Scalabrini, in particolare, si attivò concretamente in favore degli emigranti transoceanici per difenderli dagli sfruttamenti degli agenti d’emigrazione e di altri intermediari e per offrire loro il conforto della chiesa.

La testimonianza della fede cattolica negli USA fu difficile perché avversata non solo dai protestanti ma anche dai cattolici del posto, impazienti nei confronti della religiosità popolare mediterranea e propensi a considerare pagane o superficiali le feste patronali. A New York nel XIX secolo gli italiani, non considerati adeguati a frequentare le chiese locali, furono autorizzati a riunirsi negli scantinati. Molti di loro, non accettando questa collocazione, scelsero la confessione protestante: nel 1918 nella sola New York furono 25.000.

Quale fu la risposta americana all'arrivo di questo grande numero di italiani?

Ben di rado i nostri connazionali videro realizzato l’american dream: finirono con lo svolgere i lavori più umili. A cavallo tra i due secoli, gli emigranti italiani furono oggetto di campagne diffamatorie venendo rappresentati come antropologicamente portati a delinquere. Il pregiudizio era rivolto principalmente ai meridionali chiamati con i dispregiativi “dago” e “wop”.

Questo razzismo montante sfociò in violenza. A New Orleans molti emigranti italiani avevano sostituito gli schiavi neri nella raccolta del cotone: a fine ‘800 a New Orleans ce n’erano circa 30.000, siciliani per il 90%. Alcuni di essi vennero accusati dell’omicidio del capo della polizia della città, ed il sindaco ordinò un rastrellamento presso la comunità italiana. Vennero arrestate 250 persone, di queste 11 vennero processate per un delitto che non avevano commesso e, poiché innocenti, furono assolti: ciò provocò la collera degli autoctoni, in cerca di un pretesto per colpire gli italiani. Il giorno successivo, il 14 marzo 1891, una folla inferocita di 20.000 persone prese d’assalto la prigione, prelevò gli 11 italiani e li trucidò selvaggiamente. Seguì un momento di tensione tra i due governi, che terminò con la deplorazione ufficiale dell’accaduto da parte del Presidente Harrison ed un risarcimento ai familiari delle vittime.

Nel 1913, a Calumet in Michigan, gli emigranti italiani nelle miniere di rame scioperarono perché da mesi non percepivano la paga. Nella notte di Natale la comunità italiana si riunì presso la sede della Società Mutua Beneficenza Italiana, detta Italian Hall. I sicari dell’industriale del rame Charles Moyer sprangarono le porte urlando “Al fuoco!”. Nel parapiglia che si scatenò morirono in 73, in gran parte bambini.


di Umberto Mucci