Un “ponte” di libri tra Italia e Usa

Nel nostro viaggio alla scoperta dei mille angoli in base ai quali analizzare il rapporto tra Italia e Stati Uniti, il mondo dei libri è senza dubbio fondamentale. Oggi incontriamo Maria Gliozzi, fondatrice dell’American Initiative For Italian Culture (AIFIC) e organizzatrice del Premio letterario “Book Award The Bridge”. La ringraziamo perché riteniamo molto significativo operare come fa lei per diffondere ancora di più la cultura italiana in America e quella americana in Italia.

Maria, sei una delle fondatrici e una delle quattro direttrici (tutte donne) dell’AIFIC. Come nasce e qual è la vostra “mission”?

La nostra è una giovane fondazione non-profit nata circa tre anni fa a Washington D.C. che sta operando con un obiettivo ben preciso: promuovere gli scambi culturali tra l’Italia e gli Usa. Come immagino saprete, esistono già molte fondazioni ed organizzazioni che legano i due Paesi a sottolineare i consolidatissimi rapporti bilaterali anche nel campo culturale. E gli americani, sappiamo, amano moltissimo l’Italia, il suo patrimonio artistico, culturale, culinario e storico. In questo scenario, ci siamo chiesti in che modo distinguerci e differenziarci, come apportare qualcosa di nuovo e diverso, visto che negli Stati Uniti c’è grande interesse per capire come si forma, come cresce, come cambia il tessuto culturale italiano. La principale diversità è nel cercare di rilanciare realtà culturali che sono certamente prestigiose, uniche, dinamiche, ma che molto spesso sono poco conosciute, persino in Italia. E questo accade anche viceversa: anche negli Stati Uniti, infatti, esistono realtà culturali varie, diversificate, giovanili, lontane dai soliti e più comuni mainstream, di cui si ha meno consapevolezza. L’importante è farle emergere, farle diventare elemento di scambio culturale e di conoscenza reciproca. Per rinforzare questo cultural exchange sosteniamo perciò iniziative legate all’education, attività che possano spiegare meglio e in modo più approfondito cosa accade nel mondo culturale e artistico dei due Paesi e scoprirne le connessioni o le diversità. L’incoraggiamento ai giovani talenti sia americani che italiani è fondamentale. Il nostro lavoro è quello di scoprirli, dare loro visibilità, facendoli viaggiare tra i due Paesi, mettendoli in condizione di partecipare in contesti culturali stimolanti e per loro nuovi. Solo così, crediamo, si radica un rapporto reciproco di long-term.

Come riuscite a farlo?

Svolgiamo questa missione grazie al supporto e alla partnership di differenti e autorevoli istituzioni sia italiane sia americane, tra cui appunto in primis l’Ambasciata Americana a Roma, quella Italiana a Washington insieme all’Istituto di Cultura, alcune università americane, tra cui la George Washington University, la New York University a D.C., con la Tisch School of the Arts che da circa tre anni ha una sede nella capitale. Collaboriamo con altre organizzazioni importanti come la Niaf, cerchiamo di stringere rapporti con la National Gallery e l’American Film Insitute. Tra le organizzazioni italiane abbiamo collaborato con la World Youth Orchestra Foundation di Roma e l’Ensemble Nuove Musiche di Savona, la Casa delle Letterature di Roma; seguiamo un progetto, ancora in fase di brain-storming, con l’Opera Morlacchi del Teatro di Perugia, e per il cinema collaboriamo con l’organizzazione pugliese Sudestival, che cura da 15 anni un fantastico festival del cinema, un’altra realtà locale di rilievo e poco conosciuta su scala nazionale. Per darvi un esempio dei progetti culturali su cui stiamo lavorando attivamente nel corso di questo anno, stiamo sostenendo lo scambio culturale con il Conservatorio Statale Cesare Pollini di Padova - una delle eccellenze italiane che non ha forse la visibilità che meriterebbe - e l’American Youth Philharmonic Orchestras, una delle scuole di musica più prestigiose dell’area metropolitana di Washington D.C. Il progetto prevede uno scambio tra i giovani musicisti americani ospitati a suonare in un grande concerto il prossimo 17 ottobre, sostenuto dal Conservatorio di Padova, e i musicisti italiani che invece si esibiranno nell’orchestra sinfonica americana all’Ambasciata italiana di Washington il prossimo 5 aprile 2016. Si tratta di musica celeberrima, interpretata dalle due orchestre sinfoniche che accompagneranno due grandi cantanti soliste, una americana ed una italiana, Cheryl Porter e Rossella Caporale. Nel campo del vinema, AIFIC sta lavorando alla prima edizione dell’Italian Film Festival in D.C. (IFFinDC) nell’autunno del 2016. L’Italia gode di una tradizione cinematografica amatissima negli Stati Uniti legata ai maestri classici che tutti conosciamo. E, come sapete, già in molte città americane il cinema italiano viene rappresentato e apprezzato, ma la nostra ambizione è anche di promuovere i giovani registi ed emergenti proprio a Washington, città che non gode, come altre negli Stati Uniti, di una kermesse dedicata interamente al nuovo cinema italiano. È per noi una sfida in una città che ha un tessuto culturale molto più tradizionale e conservativo. Ma per emergere come progetto culturale puntiamo ancora una volta al coinvolgimento delle università con seminari, lectures, tavole rotonde, occasioni di scambio e dialogo con il pubblico americano, perché aggiungono un elemento di studio e approfondimento alla pura rassegna.

Una delle vostre più importanti attività è il Book Award The Bridge. Di cosa si tratta?

Premetto subito che questo ambizioso progetto è stato ideato e curato dalla Casa delle Letterature di Roma e dalla sua direttrice Maria Ida Gaeta, che ha già lavorato per lunghi anni alla promozione della letteratura italiana negli Stati Uniti con il Premio Letterario Zerilli-Marimo di New York fin dal 1998 e conclusosi nel 2012. The Bridge prende un po’ le redini di quella grandissima esperienza, introducendo nuovi elementi, tra cui un premio alla saggistica, generalmente poco considerata nei premi letterari, e la partecipazione anche di scrittori americani accanto agli scrittori italiani, con la creazione di due giurie, una italiana ed una americana, pronte a valutare i libri appartenenti al Paese opposto. AIFIC ha abbracciato in pieno questa iniziativa. La letteratura è, come il cinema, la musica e l’arte contemporanea, una delle attività culturali a cui dedichiamo le maggiori energie. Il nostro grande interesse è di raccontare, attraverso uno scambio culturale di scrittori italiani ed americani, le più recenti tendenze letterarie mettendo i lettori a conoscenza dei migliori libri di narrativa e saggistica presenti nei due Paesi. Questo è un Premio Letterario che, come un “ponte” - The Bridge, appunto - unisce le due culture. The Bridge si articola pertanto in due sezioni e ha una struttura speculare. Negli Usa, 10 novità letterarie di scrittori italiani, 5 di narrativa e 5 di saggistica vengono giudicate da una giuria americana composta da accademici, critici, Premi Pulitzer (come Jhumpa Lahiri) ed altre personalità della cultura. In Italia, con una simile struttura, i 10 libri di scrittori americani vengono giudicati da una giuria italiana composta da professori di letteratura anglo-americana, esperti, giornalisti, letterati e traduttori. I libri in concorso sono pubblicati nei rispettivi Paesi nel corso dell’anno che precede il Premio. Il Premio consiste in un riconoscimento monetario ai vincitori e, cosa ancora più interessante, copre i costi della traduzione del libro nella lingua opposta. Ecco, la traduzione appunto, dei libri vincitori potrà facilitare la diffusione dei libri italiani all’estero e, a nostro avviso, stimolarne l’immissione nel mercato editoriale del Paese opposto. La nostra ambizione è di suscitare l’interesse degli editori che, trovandosi realizzata almeno la traduzione del libro - una delle spese maggiori a gravare per le case editrici - ambiscono alla pubblicazione in un mercato straniero.

Quali sono gli scrittori italiani che nel corso degli ultimi decenni sono stati maggiormente apprezzati negli Stati Uniti?

Volendo fare alcuni esempi di autori italiani del secondo Novecento ben conosciuti in America potremmo citare Italo Calvino, Primo Levi e anche Oriana Fallaci. Tra i viventi, penso sicuramente ad Umberto Eco. Ve ne sono altri che negli ultimi anni sono stati molto apprezzati in America, come Melania Mazzucco, Roberto Saviano, Beppe Severgnini o la misteriosa Elena Ferrante. Quest’ultima in particolare è riuscita anche a raggiungere considerevoli quantità di copie vendute sul suolo americano. Un vero caso letterario, specialmente dopo le recensione del New York Times e di The Republic, dopo la traduzione di Ann Goldstein della Europa Editions.

Spesso noi di We the Italians riceviamo richieste di aiuto da parte di autori italiani che vorrebbero pubblicare negli Stati Uniti. Che consiglio daresti loro?

Non è facile consigliare a degli scrittori italiani come approdare negli Stati Uniti e farsi pubblicare, e quindi conoscere ed apprezzare. I numeri non giocano a nostro favore. Se si pensa che anche i bestseller italiani hanno poco spazio negli States (secondo la società di analisi dati e di ricerca Nielsen BookScan che misura le vendite di libri ed il comportamento dei lettori nel mercato editoriale mondiale, dal 2001 ad oggi “Sostiene Pereira” di Tabucchi, per esempio, ha venduto solo mille copie in America), la sfida si fa dura. Figuriamoci per la saggistica, quasi mai contemplata dagli editori stranieri, e che invece rappresenta forse meglio l’immagine culturale, storica ed economica di un Paese. Per ciò che riguarda la fiction, a me sembra che il successo di alcuni libri italiani sembra essere legato più alla universalità del libro stesso che alla capacità dell’editore italiano di promuovere o alla potenza della distruzione. Basta pensare al caso sopracitato di Elena Ferrante. Il raccontare una storia, forse autobiografica, come una saga, rende la scrittrice avvincente. Vuoi sapere cosa succede dopo, quale è l’evoluzione psicologica e di azione dei personaggi. La descrizione dei protagonisti, le loro dinamiche caratteriali, lo sviluppo della storia che non appartiene ad un luogo particolare, che non è legato a stereotipi culturali, fa un po’ la differenza. Anche Acciaio di Silvia Avallone, pur raccontando una tematica italiana e di ambientazione locale, possiede qualità universali che attraggono qualunque lettore, anche straniero. In Italia si pubblicano molto più spesso storie locali o regionali, spesso legate a eventi precostituiti della nostra società. C’è poi spesso l’uso di uno stile forse troppo ricercato, di maniera. Ma questo è un giudizio puramente personale. Il mercato americano ha delle dinamiche e, diciamo, dei gusti differenti rispetto all’Italia: il paradosso è che invece il mondo editoriale italiano è abituato ed ampiamente aperto a comprare i diritti e tradurre dall’inglese, introducendo in Italia scrittori americani di grande peso e altissima qualità.

Pensi che sia possibile incrementare il numero di libri italiani pubblicati in America, e la loro promozione? Se sì, come?

È una speranza. Esistono delle fiere del libro in America, una fra queste il Book Expo America (BEA) che rappresenta una grande vetrina per l’editoria mondiale, ed anche per quella italiana. Quello che ci penalizza è l’accesso a quel mercato, specie per i più piccoli, e, come afferma Leopoldo Sposato, responsabile ICE per l’industria culturale, la questione è anche un fattore di numeri. Se 10mila copie pubblicate possono sembrare un buon numero in Italia, negli States risulterebbe ancora un numero irrisorio per un mercato così di vaste dimensioni. E poi c’è la problematica appunto dei costi di traduzione, dei pochi incentivi e finanziamenti per facilitare la pubblicazione e la diffusione estera. Le case editrici fanno fatica a seguirne la promozione. Insomma, la forbice per noi italiani si stringe moltissimo. La traduzione, in particolare, è talmente importante che gli stessi traduttori diventano gli apripista ad un mercato straniero. Una buona traduzione che passa sotto gli occhi di un editore americano illuminato può fare la differenza. Ciò che possiamo fare per incrementare il numero dei libri italiani pubblicati in America lo spiega bene Maria Ida Gaeta della Casa delle Letterature di Roma, con cui collaboriamo strettamente per il The Bridge: “Considerando che l’editoria italiana è una delle editorie che traduce maggiormente dalle lingue straniere (soprattutto dall’inglese per i contemporanei) - mentre invece investe pochissimo nella promozione degli autori italiani all’estero e in particolare in America - il ruolo di premi come The Bridge diventa importante proprio per ampliare e stimolare la conoscenza, la pubblicazione e la diffusione della cultura letteraria italiana contemporanea, aiutando gli autori, ma anche pungolando e sollecitando  i nostri editori”. Insomma, la nostra ambizione, offrendo un incentivo che ricopre la traduzione dei libri vincitori, è di scardinare questo paradosso e invogliare gli editori, sia italiani che americani, ad aprirsi a sfide maggiori.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:33