La vita in Russia dopo il comunismo

Esistono opere letterarie che hanno la capacità di rappresentare la fine di una epoca e di un mondo, in alcuni casi, meglio dei libri di storia. Rientra in questo genere di opere letterarie il libro di Svletlana Aleksievic, scrittrice a cui è stato assegnato il premio nobel per la letteratura questo anno, intitolato "Tempo di Seconda Mano" ed edito dalla Bompiani.

Questo libro, vasto e monumentale, narra la fine del comunismo in Russia, la dissoluzione della Unione Sovietica e la nascita di un mondo nuovo. Il libro non ha il carattere di una indagine saggistica volta a individuare le cause del crollo dell’impero Sovietico e quelle della capitolazione del Comunismo, ma raccoglie le testimonianze di persone, diverse per il ruolo esercitato nella società e la formazione intellettuale, che hanno vissuto mentre finiva una epoca, durata settanta anni, e aveva inizio una nuova era politica e culturale. La narrazione è divisa in due parti: la prima è intitolata la Consolazione della Apocalisse, la seconda Il Fascino del Vuoto. L’autrice del libro, affascinante per come è descritto un tempo oramai relegato nel passato, ricorda che l’epoca sovietica deve essere divisa in diversi periodi. Quello di Stalin, il tempo del terrore e dello stalinismo, quello di Chruscev, il periodo della speranza, quello di Breznev in cui la Russia era imprigionata nella stagnazione e nell’immobilismo, e quello, infine, di Gorbaciov e della Perestrojka. Nel periodo di Stalin vi fu, come emerge dalle testimonianze raccolte dalla autrice di quanti vissero in quegli anni, la vittoria di Stalingrado contro le forze nemiche naziste, la industrializzazione a tappe forzate della Unione Sovietica, la conquista dello spazio con Gagarin prima degli Americani, ma anche la collettivizzazione forzate delle Campagne, con i contadini Kulaki trasferiti e internati nei Gulag in Siberia. Da questi racconti dolorosi e strazianti, che consentono di capire la essenza dello stalinismo, si ha la conferma che il regime sovietico si è retto per settanta anni sulla paura e inoculando il terrore nell’animo del popolo. Sono indimenticabili le pagine che spiegano come nacque e si diffuse il dissenso degli intellettuali Russi contro il Pcus. I cittadini più consapevoli erano costretti, in mancanza della libertà di stampa e della libertà di parola, a discutere nelle piccole cucine delle loro abitazioni. L’interesse del libro è dovuto al fatto che queste storie formano una sorta di narrazione a intarsio in cui si sovrappongono le vicende di persone che hanno punti di vista diversi. Vi è la storia della scrittrice che ha un vivido ricordo del periodo trascorso in Siberia, dove era stata internata con la sua famiglia al tempo di Stalin, e quella di chi rimpiange il sistema sovietico per gli aspetti positivi che aveva, legati alla capacità di impedire che vi fossero povertà diffuse, diseguaglianze e ricchezze spropositate, sia pure senza godere dei benefici e vantaggi della democrazia liberale e della libertà di parola. Molto belle e di notevole efficacia sono le analisi dedicate nel libro al momento in cui si ebbe la crisi del Sistema Sovietico, che precedette la capitolazione dell’impero comunista. Nel 1991 Gorbaciov si trovava nei mesi di agosto nella sua splendida e raffinata villa e Dacia di Foros. A Mosca in sua assenza un manipolo di burocrati e di militari, persone mediocri e senza qualità appartenenti alla nomenclatura del partito, concepirono un Putsch per fermare e impedire la Perestrojka, che era nelle intenzioni di Gorbaciov l’estremo tentativo di dare vita ad un socialismo dal volto umano. Una volta debellato il Putsch, con i carri armati che dovettero rientrare nelle caserme, ci fu l’affermazione di Eltsin come leader democratico.

E’ rimasta nella memoria collettiva la immagine di Eltsin che arringa la folla, dopo il fallimento del Putsch, promettendo l’avvento della democrazia e della libertà economica ai suoi cittadini. Con la fine del comunismo si consumarono delle tragedie umane. Infatti vi fu chi come il Maresciallo della Unione Sovietica S. F. Achromeev si tolse la vita nelle stanze del Cremlino, quando vide che l’ideale a cui aveva consacrato la sua vita si era definitivamente dissolto e la bandiera rossa era stata ammainata nella sua patria. A questo proposito, un personaggio nel libro ammette che si sarebbe dovuto, mentre il comunismo implodeva, tenere un processo, simile a quello di Norimberga, per giudicare i responsabili del Pcus. In tal modo si sarebbe impedito che a prendere il potere in Unione Sovietica fossero speculatori e cambiavalute, i quali si sono appropriati delle ricchezze naturali del popolo Russo, Gas e Petrolio, costituendo una vera oligarchia. Sono di grande livello letterario le pagine nel libro che evocano la atmosfera di attesa e di fiducia che seguì la fine del comunismo e del regime Sovietico. Molti, forse perché ingannati dalla propaganda oppure ignari del trauma storico costituito dal passaggio dal collettivismo alla economia di mercato, hanno creduto che con la libertà sarebbe iniziata una era di agiatezze e benessere per tutti. In realtà queste speranze sono state deluse e disattese, poiché alla fine di questo rivolgimento, come osserva nel libro un ex dirigente politico del Pcus, in Russia non si è avuto né il socialismo, che tante aspettative aveva suscitato, né in seguito alla fine della guerra fredda un vero capitalismo, che presuppone la esistenza di una società liberale. La letteratura del dissenso, si pensi alla figura dello scienziato Sacharov, ostile alla guerra Sovietica in Afganistan, e a quella di Aleksandr Isaevic Solzenicyn, lo scrittore autore di Arcipelago Gulag, il libro che ha narrato l’orrore del totalitarismo sovietico, ha instillato nel popolo la idea grandiosa che bisogna vivere in modo autentico e libero, e non nella menzogna. Nella seconda parte di questo vasto affresco, che si legge con sentimenti di grande partecipazione emotiva e intellettuale, la scrittrice racconta l’epoca di Eltsin e di Vladimir Putin. Una donna che ha sofferto molto, coniugata con un soldato reduce dalla guerra in Cecenia, racconta come, dopo la fine della Unione Sovietica, sono sorte le rivalità nazionaliste tra i Russi, i Georgiani, gli Abchazi, gli Armeni, i Tagiki, gli Ucraini. A Baku gli Armeni, che subirono i pogrom nel 1915, hanno dovuto sopportare umiliazioni e persecuzioni di ogni genere, la cui ferocia lascia inorriditi. Bella e struggente è la storia di Margherita, una ragazza armena che aveva sposato un uomo musulmano, il cui nome era Abul’faz. Questo matrimonio, che fa pensare al Romeo e Giulietta di Shakespeare, tra una armena e un musulmano venne avversato dai parenti dell’uomo e da quelli della donna, poiché è inammissibile che persone che professano religioni diverse possano sposarsi e formare una famiglia. Dolorosa e terribile è la storia della madre di Olesia Nikolae, una donna che era sottotenente di polizia, la quale è stata uccisa in circostanze misteriose in Cicenia. Alla madre hanno raccontato che sua figlia si sia suicidata, perché non sopportava l’orrore della guerra. La madre di questa donna, che non si è stancata di ricercare la verità, rimpiange il periodo della Unione Sovietica, perché allora le guerre nazionaliste non potevano avvenire. Questa donna dice alla scrittrice che aveva educato sua figlia perché si elevasse intellettualmente e moralmente, mentre nella Russia di Putin assume valore solo il successo e il denaro. Concludendo il suo straordinario libro, Svetlana Aleksievic ricorda come l’uomo russo abbia secondo Dostoevskij un cuore generoso e infinito come il territorio di questo Paese, sicché né il socialismo né il capitalismo selvaggio potranno cambiarne la natura e la psicologia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:30