Preziosi-Don Giovanni   al Teatro Quirino

Fedele, questo Don Giovanni di Alessandro Preziosi! Cioè, fedele a se stesso (depravato fino in fondo) e allo spirito di Molière che così lo volle nella sua opera. Per la cronaca: fino al 14 febbraio, per la regia di Alessandro Preziosi che interpreta la parte del protagonista, va in scena al Teatro Quirino di Roma il Don Giovanni alla francese (in realtà, il personaggio trova le sue radici storiche in una commedia spagnola seicentesca!) di Molière, che precede di molto l’equivalente mozartiano. Diciamolo subito: messa in scena e recitazione sono di tutto rispetto. La coralità e l’impegno di tutti gli attori della compagnia è di prim’ordine, senza dubbio. Quindi, spettacolo da non perdere! Preziosi è sempre energico, fondamentale nei suoi gesti attoriali nel descrivere il carattere di un disturbato sessuomane d’antan. Il che, ovviamente, è solo una comoda apparenza. Dietro la figura tragica del Don c’è un’interpretazione personalissima del concetto di Libertà individuale, anche se qui quel principio utilizza per esprimersi il paravento del libertinaggio!

La scenografia è di fattura contemporanea: la quinta di sfondo funziona da schermo gigante, per prospettive neoclassiche (perfetti “trompe-l’oeil” con piccoli accorgimenti da effetti speciali, per quanto riguarda il Convitato di Pietra e la sovrapposizione delle quinte) e, soprattutto, per quelle sulfuree e variegate atmosfere del tipo “effetto-seppia”, con emissioni nembiformi di filamenti colorati che simulano, per l’appunto, il rilascio della componente inchiostrata, dando così il massimo risalto alla drammaticità di fondo dell’insieme e della sua evidenza diabolica.

Ottimamente lavorati e approfonditi sono i due personaggi chiave della pièce: il Don e il suo servitore, Sganarello (italianizzato dall’originale francese di “Sganarelle”). Quest’ultimo, pesantemente truccato, assomiglia come una goccia d’acqua a certe maschere delle commedie goldoniane, rivestendo in buona sostanza i ruoli tradizionali dell’arte comica veneziana di Pulcinella e Arlecchino, finti stupidi e un po’ tocchi, i quali (come il “fool” di Re Lear) scherzando non solo dicevano la verità ai loro presuntuosi e vaniloquenti padroni, ma aggiungevano un sano portato di buon senso e filosofia popolari. Sganarello e il suo Don a guardarli davvero bene sono la versione continentale della coppia shakespeariana Fool- ReLear, dato che la pazzia del Don è tutta concentrata nei suoi riti ossessivi e compulsivi del consumo libero della vita, fuori dalle regole e dai conformismi. Se Casanova è il modello speculare, versione allegra, incosciente e disincantata del cicisbeo rubacuori, questo Don Giovanni ne costituisce la parte oscura, ben presente dentro ognuno di noi.

Il protagonista non è solo un ladro d’amore, che s’innamora delle situazioni eccitanti, piuttosto che delle donne stesse che conquista, ma rappresenta lo spirito libero dell’avventura: colui che fa naufragio e, appena arrivato in salvo sulla costa, non si fa nessuno scrupolo a tentare di sedurre la giovane contadina Carlotta, promessa sposa del suo salvatore e l’altra sua amica, Maturina, che mette abilmente in competizione tra di loro. Quello stesso Don Giovanni che sfida a duello e uccide il “Commendatore” (che diverrà, da morto, il suo terribile Convitato di Pietra), si precipita a soccorrere uno sconosciuto (che poi si rivelerà il fratello di Elvira, la più importante delle donne sedotte e abbandonate dal Don), aggredito da tre balordi che cercavano di rapinarlo. Ed è molto leale nella sua slealtà di fondo, il Don. Non si nasconde alla furia vendicatrice dei fratelli di lei, che lo risparmiano temporaneamente, rimandando al suo ritorno la resa dei conti. Non piega mai la testa dinnanzi alla furia e allo sdegno paterno per quella sua vita dissoluta.

Perché, in fondo, Don Giovanni è un monumento alla coerenza (l’appassionante recitazione di Preziosi ce lo fa scoprire tutto, in questo suo aspetto!): i suoi sconfinati spazi di libertà sono da proteggere a qualunque costo, perché non si può dare a una sola donna il Sé pieno, in quanto bisogna dare piacere e godimento a tutte coloro che ce lo chiedono. Ma lascia che Sganarello faccia da Cupido invertito, avvisando di nascosto le sue potenziali prede a fuggire da lui, dal suo padrone di cui ben conosce tutti i risvolti della perversione che lo divora. Il servitore è la buona coscienza: obnubilata, lasciata parlare (come il Fool di Lear), ma poi sistematicamente piegata ai voleri imperativi del nobile signore. Bellissimo il passaggio sull’ipocrisia, che durerà solo lo spazio di un mattino e non allontanerà il protagonista dalle sue fiamme infernali.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:32