Aldo Busi ci umilia

Se da domani mia moglie guadagnasse più di me, domani stesso stapperei una bottiglia di spumante per festeggiare l’evento, pregustando gli sfizi futuri che potrei togliermi. Non nutro, infatti, invidia sociale nei confronti di nessuno, uomo o donna che sia; o meglio non conosco invidia nei confronti della pecunia altrui (forse per questo antiberlusconiano non sono mai stato, che, in fondo e al netto degli alti lai contro la volgarità politica del parvenu padano, quel che a questo non si è mai perdonato sono la ricchezza e soprattutto la sua ostentazione), che invece l’invidia per l’intelligenza altrui, per l’eccellenza del pensiero altrui la provo, la provo eccome tanto da schiumare di rabbia (e forse per questo comunista non sono, che per me la disuguaglianza nelle capacità intellettuali è ben più bruciante di quella economica; ma alla prima non c’è rimedio, che a forza di studiare e con qualche santo in paradiso, o meglio in famiglia, puoi aprire il tuo bello studio notarile ma il fuoco sacro che fa uno scrittore o pittore e non imbrattacarte o imbrattatele, quello ce l’hai o non ce l’hai. Si potrebbe allora, non potendo tutti innalzare, atterrare i pochi che svettano sugli altri ma si avrebbe allora la pacificazione, l’eguaglianza dei cervelli all’ammasso e la mia invidia, per quanto canagliesca, non arriva a chiedere tanto).

Ecco perché delle 463 pagine dell’ultima fatica di Aldo Busi (L’altra mammella delle vacche amiche, Venezia, Marsilio 2015) sono arrivato solo a pagina 100, poi, sfinito, ho alzato bandiera bianca; troppa, per l’appunto, l’invidia nei confronti della busiana padronanza della parola, della sua capacità di ammaestrarla, addomesticarla come un domatore di leone e condurla dove vuole per poi farla esplodere in fantasmagorici fuochi pirotecnici. Capacità che io non avrò mai.

Poi, quando penso di avere perso ogni speranza, una luce squarcia le nubi. Rivado allora alla pagina 21 dove Busi parla di una ricorrente “pressione soffocante al torace” che però non gli impedisce di “andare alla porta e, facendo forza sulla ciabatta nella cunetta dell’alluce, sollevare lo scrocco giù nel pavimento che la blocca dall’interno” (pag. 22), sdraiarsi e poi aspettare; che se lo spasmo “questa volta non passa non dovranno sfondare niente per entrare e fare la constatazione” (ibidem). E allora confido, meschino, vigliacco, pusillanime, nella fortuna e nel tempo che non daranno forse a Busi un’altra possibilità per farsi beffe della mediocrità mia e della maggior parte di noi altri.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:09