“La Regina Dada”, la sfida di Barbareschi

Al Teatro Eliseo di Roma è andato in scena lo spettacolo di Stefano Bollani e Valentina Cenni dal titolo: “La Regina Dada”. Musica e parole. Poche, in verità, quest’ultime. Perché abdicare al potere è un po’ (anzi, molto) “tacere” sul potere. Così la parte dissacrante del Dadaismo (in cui Dio e lo spazzolino da denti si equivalgono) entra con prepotenza nella metafora del vissuto: una mosca e una regina fantasy diventano equivalenti, dato che solo il caso ha voluto che la prima fosse più piccola e stupida della seconda. Il mondo esterno che bussa alla porta dell’abitazione del maestro di musica della regina Dada è il lato oscuro della tastiera di un pianoforte, che accompagna con le sue musiche deliziose e i suoi ritmi, talvolta forsennati, le disquisizioni per assurdo della regina in fuga dai suoi fantomatici sudditi. Poi, per ribadire il carattere magico delle scene, le meravigliose dita snodate della Cenni si illuminano di luci multicolori, disegnando geometrie che imitano il volo degli uccelli notturni, per poi divenire ancora, in seguito, dei lunghi flagelli di luce, vortici di colori in rapida rotazione. Cento grandi lucciole filamentose sgretolano il buio con il loro movimento perenne, a complemento delle note di Bollani che risponde e interagisce attraverso le sue musiche con le parole e i gesti di lei.

La scenografia si articola su giochi di luce, rigorosamente di un bianco luminoso abbagliante, impostati su cornici e telai che scandiscono i cambi scena con i loro bagliori violenti, mentre una porta sghemba collocata sulla parete di fondo opera da Stargate tra la dimensione presente e quella fantasmatica, fiabesca e irreale di gabbie liberate dal fatto che non esistono più i prigionieri, “concetti” compresi! Nulla è strutturato, in quanto il principio dadaista è per definizione un criterio destrutturante che diviene nel paradosso un principio fine a se stesso. Alla stregua di un grande cantiere dialettico, in cui persino l’insulto è fonte di ispirazione per indagare a fondo l’animo di chi lo ha pronunciato e pensato. Questo, in definitiva, è il nuovo prodigio dell’Eliseo che si va costruendo, giorno dopo giorno, come una sorta di contenitore universale delle arti e una proposta di sintesi per spazi creativi eterogenei. Del resto, nel corso di una recente conferenza stampa è stato proprio il suo “dominus”, Luca Barbareschi, a rivelarne la portata presentando una prima trilogia su David Mamet, drammaturgo americano da lui amatissimo. Ad accompagnarlo per l’occasione c’erano artisti di prima grandezza come Sergio Rubini e il direttore del Teatro Stabile d’Abruzzo, Alessandro D’Alatri.

E il vero, unico protagonista di quell’evento è stato il teatro. Quello delle cose “normali”, perché (come testimoniato da Rubini) “Mamet ci ha insegnato ad aprire un frigorifero!”. Relazioni, rete e socializzazione sono le componenti forti del discorso teatrale di Mamet, biologo dei comportamenti del potere che vengono denunciati in modo tagliente, con linguaggio accessibile a tutti, anche per quanto attiene le cose complesse. Ma è lo stesso D’Alatri a far notare come la traduzione linguistica dei detti popolari (dallo slang al dialetto napoletano) sia molto complicata. Come lo è la dialettica - ricca di incongruenze sui falsi conflitti dei due concetti - tra il vecchio potere e la sua rottamazione. E ciò che - lodevolmente - si vuole tentare con questo nuovo esperimento di teatro universale (per inciso: il Teatro Eliseo aspira a essere un luogo dell’arte che non chiude mai, senza pause estive, arricchito da eventi jazzisti musicali che andranno avanti fino a notte) è di mettere insieme protagonisti con storie diverse, in modo da creare fertili intersezioni avvalendosi della diversificazione delle carriere.

L’impegno di Barbareschi è di far diventare l’Eliseo una grande casa, in cui tutti gli artisti lavorino insieme, divenendo (un po’ come lo furono i bistrot di Montmartre nei primi due decenni del Novecento) un luogo dove i creativi si siedano e discutano. Per tutto ciò vi sarà un “Logo” onnicomprensivo, un nuovo marchio d’azienda. In questo scenario è previsto che grandi autori statunitensi tengano lezioni di drammaturgia in uno spazio di aggregazione per una comunità di talenti, in cui sedersi a parlare con qualcuno avrà finalmente un senso! Nei foyer ristrutturati con wi-fi libero si ricostruiranno luoghi certi e affidabili di ancoraggio e aggregazione perché il teatro, in fondo, è equiparabile a una chiesa laica! E anche il cinema avrà la sua parte, dato che oggi nel settore sembra mancare molto più l’offerta della domanda. La sfida è quella di fare un palinsesto dove la domenica si proiettino due film fuori circuito, come accadeva una volta, negli anni Sessanta e Settanta con il mitico Nuovo Cinema Olimpia.

Oggi, infatti, è molto più semplice utilizzare piattaforme diverse, dove vengono distribuiti contenuti diversi, producendo spettacoli a costi bassissimi grazie alla moderna tecnologia. Insomma, una grande scommessa che tutti gli intellettuali seri dovrebbero sottoscrivere!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:33