La vita di San Suu Kyi al Teatro Argentina

giovedì 14 aprile 2016


Ventuno anni di arresti domiciliari inflitti dal regime del proprio Paese, un Nobel per la Pace conferitole dalla Comunità internazionale.

“Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi” (al Teatro Argentina, fino al 17 aprile) narra di quella figlia di un contadino combattente per l’indipendenza dagli inglesi e la democrazia - incaricato presidente e subito assassinato, quando lei aveva due anni - ma anche decenni di storia birmana, arrivando fino alla liberazione, nel 2010, di una donna simbolo, ministro di Myanmar dopo libere elezioni nel novembre scorso.

Ideato da Marco Martinelli (sua la regìa) ed Ermanna Montanari (premio Eleonora Duse 2013) che interpreta la protagonista (sul palcoscenico anche Roberto Magnani, Alice Protto, Massimiliano Rassu, mentre la partitura musicale è di Luigi Ceccarelli), lo spettacolo è nato da una foto di una sorridente San Suu Kyi, dalla domanda su quanto sia lontana quella terra e da un sopralluogo per captarne materia e umori.

“Ho chiesto ad Ermanna - ricorda Martinelli, che con Montanari ha dato vita alla storica compagnia Teatro delle Albe, tra i soggetti fondatori del Ravenna Teatro - se sentiva una somiglianza che per me era molto forte, e poi abbiamo sentito la necessità di arrivare in Birmania pochi mesi prima del debutto per assorbire colori, luci, melodie. È una nostra caratteristica: non ci basta la sala prove, dobbiamo andare nei luoghi che ci possono ispirare”.

L’atmosfera della messinscena è onirica, con le maschere dei graduati e militari- scimmie, come gli spiriti malvagi della locale tradizione animista. “Non si poteva - prosegue l’autore/regista - raccontare la storia di San Suu Kyi, leader politico, senza sovrapporla a circa settant’anni di quella birmana; quindi è un affresco intimo e politico allo stesso tempo. Per far questo, dovevo utilizzare vari stili: realistico, tragico, onirico e grottesco, soprattutto nei profili dei generali, che sembrano nipotini del Padre Ubu di Alfred Jarry”.

Il tutto in un doppio universo: la casa-cella, con una donna e il proprio inconscio, tra fantasmi e sogni, in un soliloquio dell’anima, e un Paese, con la voce pubblica di lei, dall’intervista al comizio. “C’è sempre una difficoltà - spiega ancora Martinelli - nell’affrontare delle icone anche mediatiche. Il teatro può permettersi di andare in profondità, e allora vedi che le vite delle persone sono strettamente legate a quelle delle società dove sono nate e cresciute. Come dice un bellissimo proverbio senegalese, che per me è sempre un faro, ‘io sono noi’; personale e politico non si possono separare, questo lo fanno solo i peggiori pubblicitari”.

Il testo si confronta pure con il pensiero brechtiano, secondo cui maledetta è la terra che ha bisogno di eroi. Qui la scelta è di non cedere alla legge dominante della violenza della sopraffazione: “Se vogliamo cambiare il mondo, la bontà è un’eresia necessaria” attraverso compassione, sereno sacrificio di sé e un silenzioso eroismo del quotidiano dove cercare “ciò che inferno non è” e dargli respiro, spazio, durata.

“Anni fa - rivela il drammaturgo - volevamo mettere in scena ‘l’anima buona di Sezuan’, dove il teorema è che in un mondo così cattivo e ingiusto non si può essere buoni. San Suu Kyi invece ci dimostra il contrario, dà al termine bontà il senso del rigore, di una mitezza d’acciaio. Seguiamo il nostro antenato, perché la costruzione dello spettacolo ha diversi aspetti brechtiani, ma anche contraddicendolo su quelli che erano certi suoi ‘incagliamenti’ ideologici”.

Marco Martinelli darà inoltre pubblica lettura, oggi all’Angelo Mai, del suo scritto “Farsi luogo – varco al teatro in 101 movimenti”, mappa etica per un teatro necessario. “Ho cercato di fare il punto - conclude l’autore - dopo trent’anni di lavoro, di capire che cosa questa pratica, in cui arte e vita sono intrecciate, poteva suggerire al miglior teatro, quello che nell’epoca dei non-luoghi, dell’anonimato di massa, del macello di cervelli, cerca di farsi spazio di accoglienza e dialogo, in cui si va alla ricerca della verità e della bellezza. Un libricino per il futuro”.


di Federico Raponi