Al Teatro Quirino il “Consiglio d’Egitto”

venerdì 29 aprile 2016


Il “Consiglio d’Egitto”? Un’espressione popolare per indicare un consiglio (e, quindi, un consigliere) senza nessun valore e privo di affidabilità. Oggi quel detto diventa un titolo per il capolavoro di Leonardo Sciascia e per lo spettacolo omonimo, che va in scena al Teatro Quirino di Roma fino all’8 maggio, per la regia di Guglielmo Ferro e l’interpretazione magistrale di Enrico Guarneri nella parte del protagonista: l’Abate Vella.

La pièce, in fondo, è una perfetta trasposizione del capolavoro di Cervantes, con un Don Chisciotte togato e un impeccabile monaco Sancho Panza appartenente allo stesso ordine religioso con sede a Malta. E Vella - grazie alla sua passione per la cabala - è assai più vicino alla componente esoterica che a quella fideistica, pur restando lontanissimo dall’anima antagonista razionalista e illuminista, rappresentata dal volterriano avvocato Di Blasi, protettore del sottoproletariato agricolo e nemico giurato di una nobiltà parassitaria e fellona.

E lo spettacolo è tutto un discorrere, un narrare del “Potere”: Re, viceré, nobilato e clero che hanno le mani in pasta sui beni e sui privilegi terreni, mentre ai poveri è concessa a malapena la sola avventura della cabala: quel tentar la fortuna giocandosi i numeri al lotto. E a questo gioco sta inizialmente il curato Vella, con lo stomaco ruminante d’aria come i suoi poverissimi compaesani. Finché arriva la Fortuna che bagna le sue fedi matrimoniali nell’oro dell’ignoranza altrui. Per essere sposata, quindi, quella Dea iconoclasta e arbitraria ha bisogno che la si prenda con astuzia, costruendole tutt’attorno un regno incantato, altrettanto menzognèro e fugace come i vacui sogni che genera il desiderio dell’arricchimento facile. Il veicolo e la chiave del riscatto dalla miseria arriva, per Don Vella - che essendo maltese conosce l’arabo - dalla richiesta perentoria del viceré di Sicilia di fargli da interprete con l’ambasciatore accreditato che viene dal Marocco.

E sarà proprio quest’ultimo a smascherare per primo un libro, il “Consiglio d’Egitto”, che il cardinale di Palermo conserva gelosamente nella sua biblioteca, credendolo fonte di chissà quali verità storiche, risalenti alla Corte di Federico II. In realtà, il libro è un mero panegirico in arabo delle gesta di Maometto e non ha nulla a che vedere con ricostruzioni storico- documentali dell’allora Regno di Sicilia. Ma Vella, incaricato di tradurlo, ha un’idea geniale: costruire attorno a quelle pagine di nessun valore un castello sofisticato di menzogne, che gli permettano di far giustizia dei soprusi centenari dei nobili, dimostrando al Re l’illegittimità dei loro possedimenti, in quanto svuotati del relativo fondamento storico. Così, sostenuto da una scenografia essenziale ma estremamente efficace, un secondo sipario si alza e scivola alternativamente su scene simili a un sinedrio di sapienti, con pedane rialzate ai lati per gli oratori di turno e un’altra più in alto, estesa longitudinalmente, in cui fanno bella mostra di sé i vari personaggi autorevoli dell’epoca.

Vella è assistito nella sua pratica fraudolenta da un altro monaco dell’Ordine di Malta: Camilleri (impersonato da un bravissimo Vincenzo Volo), lussurioso e malandrino. Il protagonista, una volta divenuto abate, lo utilizzerà come un Pinocchio di vetro perché il potere costituito lo infranga a suo piacimento, perseguitato dall’inquisitore reale che aveva ben compreso l’inganno del superiore gerarchico del monaco. Distruggere l’ingiustizia con il curaro della falsità rende l’uomo più libero e giusto? E che cosa accade se il laico, il giacobino eretico, svetta per dirittura morale su colui che indossa il saio? Come si concilia la superiorità etica dell’ateo rispetto alla dignità dell’abito talare e all’obbligo della verità in Cristo? Ve lo dirà un finale a effetto garantito.

Si ride di cuore e si piange interiormente di gusto, volendo leggere fino in fondo il messaggio di Sciascia. Spettacolo appassionante. Da non perdere.


di Maurizio Bonanni