Debito pubblico e Pil: “Macigno” di Cottarelli

sabato 30 aprile 2016


“Il Macigno”... che vien giù dalla montagna del debito pubblico. Nel libro dal titolo omonimo (Edizioni Feltrinelli - Serie Bianca), il professor Carlo Cottarelli ci parla del dinosauro dell’indebitamento pubblico che lui conosce molto bene, essendo stato direttore del Dipartimento Affari fiscali del Fmi e Commissario straordinario per la Revisione della spesa pubblica durante il Governo Letta.

Di facile lettura, il libro - confezionato in modo chiaro e lineare a beneficio di una categoria molto ampia di lettori non specializzati - dimostra come l’indebitamento produca danni sensibili all’economia, facendo mancare le necessarie risorse per gli investimenti privati destinati all’aumento della produzione e, quindi, alla crescita del Pil nominale. L’opera è un vero regalo per il cittadino comune, in quanto lo mette in grado di orientarsi con facilità all’interno di fenomeni macroeconomici piuttosto complessi, rivelandosi come un piccolo manuale universale - con annesso, dettagliato ricettario - per muoversi nelle politiche fiscali e monetarie dei singoli Stati e in quelle dell’Unione europea. Preziosissima è, tra l’altro, la ricostruzione storica - per quanto riguarda l’Italia - di come si sia giunti all’attuale, insidioso valore del 133 per cento nel rapporto Debito pubblico/Pil.

Così veniamo a sapere che negli anni Cinquanta e Sessanta il nostro debito sul Pil era pari al 25 per cento, mentre dagli anni Sessanta in poi il rapporto cresce più del doppio e la conseguente prassi governativa di prendere a prestito il denaro da Bankitalia provoca un’impennata dell’inflazione per eccesso di moneta. Nel decennio successivo, è il notevole aumento delle spese per indennità e pensioni a far salire drammaticamente l’indebitamento pubblico. A partire dagli anni Ottanta, il venir meno del supporto monetario della Banca d’Italia costringe lo Stato a indebitarsi con i mercati finanziari e, in assenza di un consistente aumento delle entrate, negli anni Novanta il debito sale dal 60 al 120 per cento. Poi arrivano puntuali le crisi monetarie e finanziarie. La prima, nel 1992, è affrontata con un forte inasprimento della pressione fiscale contemperato da un contenuto taglio delle spese. La crisi del 2008 vede l’asticella fissata al 100 per cento del rapporto tra Debito e Pil e un netto peggioramento dei conti pubblici a partire da quella data. “Il Macigno” italiano è, in particolare, rappresentato dal servizio sul debito, che impone allo Stato il pagamento di 80 miliardi di interessi all’anno.

Cottarelli si sofferma in più riprese sui possibili rimedi, sulla loro efficacia sempre relativa e parziale e mai risolutiva, perché gli attori e le variabili in gioco sono molteplici e assoggettati a forti fluttuazioni. I mercati finanziari, infatti, sono come belve che fiutano l’aria e hanno orecchie da elefante per scoprire quei comportamenti pubblici fraudolenti, che spacciano politiche keynesiane di spesa di medio-lungo periodo per tendenze estemporanee e contingenti. E le soluzioni più pericolose sono proprio quelle rappresentate dalle false scorciatoie, che non possono funzionare per definizione.

L’utopia più frequentata (soprattutto dai leader populisti) è l’uscita dall’Euro di cui, certo, si può discutere. Ma, da esperto, Cottarelli mostra come gli svantaggi di questo auspicato ritorno alla Lira siano ben maggiori della riconquistata libertà di stampare moneta in una valuta che, per come stanno attualmente le cose in Italia, aumenterebbe notevolmente il rischio per gli investitori internazionali (che chiederebbero un ulteriore premio, facendo così lievitare i tassi di interesse!) di essere ripagati con... carta straccia, creando per di più un’inflazione a due cifre.

E a chi sostiene che l’abbandono dell’Euro favorisca la crescita, Cottarelli cita le statistiche che vedono gli altri Paesi dell’area euro in crescita, mentre l’Italia è rimasta ferma in questo ultimo decennio semplicemente perché ha accumulato un tasso di competitività più basso. Controprova del tutto è la Spagna, che ha sfruttato le politiche di austerità e i bassi tassi di interesse per tornare a crescere. L’altra soluzione drastica per la riduzione del debito è la sua cancellazione totale o parziale, del tipo: hai investito 100 e te ne restituisco 50. Il che andrebbe quasi bene se i creditori fossero tutti esteri (anche se, poi, subentrerebbe un tremendo problema di credibilità internazionale), ma non se i 2/3 del debito è detenuto dagli italiani stessi. In questo caso, infatti, il ripudio è una tassa su coloro che hanno investito sul proprio debito pubblico.

Terza ipotesi alternativa di frantumazione del “Macigno”: lo “Sharing Burden”, ovvero tutti gli altri Paesi dell’area euro si fanno garanti del debito pubblico italiano. Pia illusione, in un momento in cui la stessa idea dell’Europa ed i crescenti egoismi nazionali vanno in direzione esattamente opposta a quella della condivisione delle responsabilità! Del resto, nota Cottarelli, gli Stati federali non rispondono dei debiti contratti dagli Stati membri, come accade negli Usa e in Germania. Idem per la quarta opzione: la vendita di asset pubblici. Non può funzionare nemmeno così, dato che stime ottimistiche ci dicono che nell’arco di 10/15 anni si può arrivare al 15 per cento del Pil, quando servirebbe il 70 per cento!

In conclusione: mai esagerare con l’austerità come visione morale dell’economia. L’Austerity va somministrata con moderazione e affiancata da politiche strutturali. Basterà ad esempio mantenere invariata in termini reali e per 3/4 anni la spesa delle Pubbliche amministrazioni. L’attuale deficit pubblico dal 2,4 deve essere azzerato, congelando la spesa in termini reali, in modo che il debito non cambi più e il Pil continui a aumentare nel tempo, anche se ci vorrà qualche anno per arrivare al 70%. L’importante è che lo Stato non spenda ciò che nel frattempo entrerà in più, perché la vera soluzione è il congelamento della spesa. Mi fermo qui. Il libro di Cottarelli è una vera miniera d’oro su cui vale la pena di soffermarsi a lungo e ritornare più volte sui passaggi chiave. Complimenti, professore!


di Maurizio Bonanni