“Dio odia le donne”, il libro della Sgrena

venerdì 13 maggio 2016


Le tre principali religioni monoteiste (cristianesimo, ebraismo, islam) e la discriminazione della donna. Questo lo studio effettuato dalla giornalista Giuliana Sgrena nel suo libro “Dio odia le donne”, edito da “Il Saggiatore”, uscito il 5 maggio e occasione di diverse presentazioni alla presenza dell’autrice. Ne parliamo proprio con lei, storica inviata de “Il Manifesto” che ha realizzato vari reportage da zone di guerra in Medio Oriente e Africa.

Come descriverebbe, in breve, questo lavoro?

«La mia è un’analisi a partire dai testi sacri per arrivare ai nostri giorni, senza avere la pretesa di fare un’esegesi delle scritture; non è però nemmeno un pamphlet, ma una ricerca per vedere quale supporto forniscono queste tre religioni al patriarcato, perché sono convinta che è questo che opprime le donne. D’altra parte io sono atea, nel libro spiego perché, e quindi penso che siano gli uomini che parlano in nome di Dio ad odiare le donne. Non ho trovato grandi differenze in Bibbia, Talmud e Corano: l’inferiorità della donna è sancita in tutte”.

Da dove è partito il progetto?

“Ho scritto anche libri relativi alla religione islamica, perché soprattutto per lavoro ho frequentato Paesi musulmani, e mi sono trovata a confrontarmi con realtà terribili per le donne. Sugli altri testi sacri non c’è molta differenza rispetto a quello che mi dicevano le mie amiche musulmane sul Corano, e a quel punto ho deciso di analizzare queste tre religioni mettendole a confronto su alcuni argomenti. Ad esempio, una volta mi aveva particolarmente colpito una mia amica marocchina quando mi disse che nell’Islam la voce della donna è la sua nudità, e questa affermazione l’ho trovata in tutti e tre i testi sacri. Ma ci sono molti altri punti in comune”.

Ad esempio?

“Tutti e tre i credi sono d’accordo sul fatto che Eva sia stata creata da Adamo, anche se in modi diversi, ed è stata creata per lui, quindi doveva servire, rispondere ed obbedire a lui, e questa già è una soggezione all’uomo. Poi c’è il peccato originale che condanna la donna, oltre che a partorire nel dolore e nel sangue, anche a diventare la peccatrice, e da questo non riesce più a liberarsi. Anche le mestruazioni segnano la donna in tutte e tre le religioni, secondo le quali il ciclo la rende instabile, inadatta a determinate attività come fare il giudice o legiferare, e questo fino a molto di recente. Secondo una lettura ortodossa, tale periodo mensile di infermità, squilibrio, impurità della donna le impedisce di accedere alle funzioni di potere”.

Sono state anche altre le fonti, oltre alle Sacre Scritture?

“Altri testi più di attualità, scritti soprattutto da donne - come una rabbina francese - che hanno documentato la condizione della donna in rapporto alla religione”.

Com’è il rapporto religione-patriarcato?

“Il patriarcato esisteva prima delle religioni, e quindi ne ha determinato, influenzato la visione. Adesso invece il patriarcato si sostiene molto attraverso di esse, come anche i fondamentalismi. Però, per sottrarsi a queste responsabilità, si dice ‘la religione non c’entra niente’. Invece c’entra molto, non penso sia una questione di interpretazione, perché se la donna nell’Islam ha ancora metà dell’eredità rispetto al maschio è un fatto ben specificato in tanti versetti del Corano, e considerato insuperabile dalla legislazione dei Paesi musulmani. E poi, cosa secondo me negativamente molto importante, queste religioni dicono di osservare la legge degli Stati in cui sono diffuse, finché la legislazione non va contro la religione. E allora nei Paesi musulmani, in genere, c’è un Consiglio degli ulema che deve esaminare la legge prima che venga varata, mentre in Israele il Consiglio dei rabbini a volte entra in contrasto con la legge, e rispetto alla Corte suprema di solito prevale. Da noi, invece, sull’aborto esiste una legge che prevede l’interruzione della gravidanza in determinate condizioni, ma l’80 per cento dei medici italiani sono obiettori di coscienza, e quindi non applicano la legge, mentre i medici non obiettori - conclude la Sgrena - non fanno nessun progresso in carriera”.


di Federico Raponi