Germano, Artisti 7607: una battaglia sui diritti

La tutela degli artisti è passata prima per l’Europa. L’Italia, dietro a cercare di adeguarsi, e gli stessi diretti interessati che si autorganizzano come in “Artisti 7607”, forma collettiva di cui fa parte anche l’attore Elio Germano. Ne parliamo con lui.

Cos’è precisamente Artisti 7607?

“Una società cooperativa di artisti, attori soprattutto, e quel numero rappresenta la data dello statuto sociale europeo che ha inquadrato il nostro lavoro e stabilito regole di tutela - ratificate anche in Italia - tra cui quelle connesse al diritto d’autore”.

Com’è nata quest’esperienza?

“Tra attori non sentendoci salvaguardati abbiamo deciso, a livello orizzontale, di confrontarci sui nostri problemi, informarci dei nostri diritti e su quelli portare avanti alcune vertenze, soprattutto a tutela dei più deboli che non hanno avuto fortuna nella carriera o magari sono solo agli inizi”.

Attraverso tale ricerca quale scoperta avete fatto?

“Una follia tipica dell’Italia, motivo per cui c’è una vertenza in atto, proprio sul diritto connesso al diritto d’autore: una volta tanto non ci sono da fare battaglie per ottenere una legge o dei soldi. La norma esiste, frutto appunto di un interessamento europeo sulla tutela degli artisti, e dice che, per ogni film trasmesso sul piccolo schermo, ci sono delle quote - erogate dalle emittenti - da destinare agli attori come compenso per lo sfruttamento televisivo. Tipo una seconda fase di compenso, di cui purtroppo molto spesso i nostri colleghi neanche conoscono l’esistenza”.

Invece cosa accadeva prima?

“Quei soldi venivano raccolti dall’Imaie (Istituto mutualistico per la tutela degli artisti interpreti ed esecutori, ndr), il problema era poi che non andavano agli attori, oppure sì ma in maniera molto misteriosa, e soprattutto non a tutti, secondo una discrezionalità particolare. Allora abbiamo voluto andare a prendere le carte, per capirci qualcosa. Prima abbiamo cercato - senza riuscirci - di cambiare l’Imaie, che poi è stata dichiarata estinta dal prefetto. Il quale ha certificato che esistevano dei problemi: al momento della chiusura, l’ente aveva più di centomila euro di attivo, mentre invece avrebbe dovuto restare a zero, in quanto doveva occuparsi solo di redistribuire soldi a chi spettavano”.

Quale è stata, allora, la vostra mossa successiva?

“Mentre l’Imaie è diventata poi Nuovo Imaie, noi - approfittando del decreto legge del Governo Monti sulle liberalizzazioni, per cui era possibile creare altre società di collecting alternative - abbiamo deciso di dare vita ad un altro organo parallelo, appunto Artisti 7607, dato che raccogliere soldi dalle televisioni e restituirli agli artisti non era così complicato, e anche gli attori, forse, mettendosi d’accordo tra loro, potevano riuscirci. E così è stato”.

Ora a che punto siete del percorso?

“Abbiamo in piedi una battaglia per farci riconoscere del tutto, perché lo siamo solo dal punto di vista legale e formale. Le televisioni fanno difficoltà, visto che prima esisteva un regime di monopolio per cui avevano rapporti forfettari con l’Imaie. Noi stiamo cercando dei criteri di distribuzione trasparenti, vogliamo che quei soldi tornino a chi li ha prodotti, tanto più che spesso sono colleghi che si ritrovano a fare i baristi o i camerieri. Perché questo è un mestiere molto violento, produce paura di fare qualcosa che possa infastidire qualcuno che poi non ti chiama a lavorare. Tutte le sindromi del precariato qui vengono alla luce in maniera forte, in quanto c’è competizione, terrorismo, mobbing. Quindi gli artisti fanno fatica a schierarsi ed è una delle situazioni che a me sembrano più assurde: ci sono dei soldi che ti rubano, e neanche di fronte a questo ci si riesce ad unire ed a farsi rispettare. Per ottenere, tra l’altro, le quote europee più basse, essendo stato tutto gestito, finora, senza concorrenza. Adesso speriamo che queste quote al minuto per gli attori possano anche crescere. Ecco, questa è la nostra piccola, grande vertenza”.

Aggiornato il 17 giugno 2017 alle ore 16:14