“Spes contra spem”, il docufilm a Venezia

A Berlino, al Festival, nel 2012, il “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani vinse l’Orso d’oro raccontando attraverso Shakespeare la storia di alcuni attori ex o ancora detenuti. A Venezia invece quest’anno sono di scena gli ergastolani ostativi, quelli che non possono aspirare a uscire di galera a meno che non si pentano e ci mandino qualcuno al posto loro. Chissà se anche il docufilm di Ambrogio Crespi avrà un premio o una menzione. Certo la meriterebbe.

Perché persino stazionare 22 anni al 41 bis su 24 di detenzione come ergastolano ostativo può fare di un detenuto un filosofo. Chiedere per credere ad Alfredo Sole, ex killer delle guerre di mafia in Sicilia nei primi anni Novanta e oggi tra i protagonisti del docufilm di Crespi, “Spes contra spem – liberi dentro”, tutto girato nel carcere di Opera, dentro la sezione del “fine pena mai”. Un’odissea compiuta insieme al segretario di “Nessuno tocchi Caino”, Sergio D’Elia e alla ex deputata radicale Elisabetta Zamparutti, per una pellicola che sarà a Venezia il 7 e il 9 settembre in due distinte proiezioni. A una delle quali parteciperà anche il guardasigilli Andrea Orlando. Film che non poteva non essere dedicato allo scomparso Marco Pannella, con un prologo tratto dalla lettera spedita poco prima di morire a Papa Francesco.

Sergio D’Elia, segretario di “Nessuno tocchi Caino”, è quasi un Dante che conduce gli spettatori attraverso i gironi della vergogna della giustizia italiana. Quella che ci fa condannare dalla Cedu come torturatori di Stato.

I nomi degli ergastolani protagonisti oro malgrado di questa sorta di psicanalisi collettiva? Oltre al su citato Alfredo Sole, Rocco Ferrara, Roberto Cannavò, Antonio Trigila, Ciro D’Amora, Giuseppe Ferlito, Gaetano Puzzangaro, Orazio Paolello, Vito Baglio. Lo Stato con il 41 bis e l’ergastolo ostativo li ha ridotti a “uomini ombra”. C’è quello che non vuole nemmeno uscire più da Opera per paura della realtà esterna e l’altro che crede di essere bersaglio della dea greca Nemesi perché un figlio, “che era un grande lavoratore, non un criminale come me”, è morto in un incidente automobilistico mentre lui era detenuto per reati di mafia. E c’è chi ormai si è rassegnato a “vivere ma non ad esistere”. Perché la vendetta delle istituzioni insieme al poderoso senso di colpa per aver ucciso il prossimo possono togliere la speranza anche a chi si vuole fare speranza. “Spes contra spem”. Paolo di Tarso docet.

@buffadimitri

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:28