Conversazione con Andrea Satta

Concerti, teatro autobiografico, un libro-raccolta di favole, film e videoclip. Dopo la Targa Tenco ottenuta lo scorso anno per il disco Extra, dedicato a Léo Ferré, nella lunga storia dei Tete de Bois - cominciata nel 1992 - le prossime tappe attraversano diverse forme artistiche. E sono un modo per incontrarne la voce, Andrea Satta.

Ripercorriamo brevemente l’esperienza ultraventennale dei Tete de Bois?

Una band particolare, abbiamo lavorato molto per strada, nelle stazioni abbandonate, nelle metropolitane. Amiamo molto l’arte di strada: abbiamo costruito un festival, Stradarolo, che dopo la pausa di quest’anno tornerà il prossimo, e poi abbiamo una passione per la bicicletta che ci ha portato all’idea del “palco a pedali”, soluzione con la quale un centinaio di bici possono alimentare una piazza per un migliaio di spettatori. Abbiamo poi a cuore le canzoni libertarie di Léo Ferré, stiamo arrivando ai mille palchi ed è emozionante, continuiamo a girare e questo va benissimo.

Giovedì 15 a Roma, nella rassegna Summer Tales, con l’autore/attore Ulderico Pesce porterete il nuovo spettacolo teatrale La Fisarmonica verde, ad ingresso libero. Di cosa si tratta?

Con Ulderico siamo amici da tanti anni, abbiamo fatto molte battaglie insieme, per gli operai licenziati della Fiat di Melfi come per la sepoltura dell’anarchico Giovanni Passannante. Stavolta ci siamo messi all’opera sulla storia di mio padre, che abbiamo portato a dimensione teatrale, un lavoro in corso ormai prossimo all’approdo. È il racconto quasi privato di una vicenda straordinaria, io sono l’ultimo di una numerosa famiglia fortunata ad avere un papà così, professore di francese che a vent’anni è stato prigioniero in un campo di concentramento nazista e si è salvato con la complicità di una fisarmonica. È stato un uomo di grandissimo coraggio e umanità. Oltre ad Ulderico, che ne cura anche la regìa, c’è Angelo Pelini dei Tete che suona il pianoforte.

Sabato, poi, i Tete de Bois saranno in concerto alla decima edizione di “Maremma a Veglia - a teatro col baratto” a Manciano, festival che riprende la tradizione della socialità contadina.

Mi incuriosisce tantissimo, non c’è un cachet per gli artisti ma noi offriremo quello che artisticamente sappiamo fare e il pubblico - invece di pagare un biglietto - porterà generi alimentari. Sarà sicuramente divertente.

Lì suonerete le canzoni dell’album Extra: qual è oggi l’attualità di Ferré?

L’anticonformismo, il non accettare le convenzioni, l’essere comunque libero: ti fa navigare in una dimensione ulteriore, che non è quella della battaglia di condominio. Il suo spirito è eccezionale, quando lo riascolti ti vien sempre da pensare che c’è qualcosa in più che puoi fare e un po’ più lontano che puoi guardare. A me fa bene cantarlo, e penso che questa sia una sensazione spesso condivisa. È il centenario della sua nascita, e anche per questo siamo fieri di portare in giro quello che ha scritto e che abbiamo tradotto con la complicità di personaggi come Giuseppe Gennari, Anna D’Elia, Daniele Silvestri.

Prima del concerto ci sarà, in collaborazione con la Biblioteca di Manciano, la presentazione del suo libro Mamma quante storie!. Ci spiega questo progetto?

Per mille bambini della mia zona, nell’hinterland di Roma, io sono un pediatra di base, e nel mio ambulatorio una volta al mese, da sette anni, si raccontano fiabe dei luoghi di origine dei loro genitori, cioè trenta paesi: il quaranta per cento dei miei piccoli assistiti ha almeno un genitore non italiano, tanto per far capire quanto sia anacronistico fare distinzioni. Il mondo è fortunatamente misto, inesorabilmente e inevitabilmente, la nostra realtà è diventata così più interessante potendo vivere anche le culture di tanti. I papà e le mamme vengono a raccontarci le loro storie più lontane e ne abbiamo realizzato un libro con la Treccani, il cui incasso andrà a sostenere la Biblioteca di Lampedusa.

Sarà inoltre proiettato un vostro filmato, realizzato con il regista Agostino Ferrente (conosciuto come autore del doc L’Orchestra di Piazza Vittorio, ndr). Un altro racconto?

È dedicato ad Alfonsina Strada, ragazza che nel 1924 partecipò al Giro d’Italia, stretta in maglie scure per sembrare meno femmina, in un’epoca in cui era ancora più forte la discriminazione tra i sessi, le donne neanche potevano votare. La Gazzetta dello Sport, organizzatrice della manifestazione, non poteva accettare che una donna partecipasse, per cui scrisse “Alfonsin”. Lei si iscrisse alla tappa, e solo un temporale tra Terni e L’Aquila le compromise la gara, e comunque, sia pur fuori tempo massimo, la portò a termine. Con Agostino chiamammo l’astrofisica Margherita Hack, andammo alla Ciclofficina dell’ex Snia Viscosa sulla via Prenestina e girammo il videoclip con la canzone Alfonsina e la bici, che racconta il grande coraggio, l’anticonformismo di questa ragazza, impersonata da una donna formidabile come la Hack.

Aggiornato il 17 giugno 2017 alle ore 16:17