Pasolini e il Coro delle contraddizioni

Una narrazione, una lettura e un canto per dar varia forma alle parole di un ritratto. Grazie al successo della scorsa stagione, torna in scena “Sono Pasolini - composizione per coro e voce recitante” (Teatro India, dal 25 al 30 ottobre), lavoro basato sui testi dello scrittore friulano I giovani infelici/La meglio gioventù e inserito nel lungo omaggio teatrale “Roma per Pasolini” - per il quarantennale della sua scomparsa - iniziato nel novembre del 2015 per concludersi a marzo prossimo. Ne parliamo con Giovanna Marini, che ne cura musica e racconto.

Qual è stata l’origine del progetto?

Volevo mostrare Pasolini con le sue contraddizioni. Lui ha sempre dichiarato “lo scandalo del contraddirmi” perché lo faceva continuamente, come tutte le persone intelligenti. Le quali non è che continuano a ripetere la stessa cosa all’infinito, quando si accorgono che è cambiata lo dicono, e quindi a volte entrano in contraddizione con se stesse, con quanto hanno pensato, detto e vissuto prima. Pasolini rifletteva a lungo e profondamente; introspettivo e capace di analisi, si rendeva conto di quello che gli capitava, lo scriveva e a volte veniva aggredito da tutti. Diceva “con me o contro di me, oppure con te nella luce della ragione, contro di te nelle buie viscere”, quindi sentiva questa doppiezza, la duplicità del carattere di ogni uomo, che da un lato ha i bassi istinti e dall’altro la razionalità.

In proposito, ha qualche ricordo in particolare?

Nel 1968 c’è stata la contestazione della Mostra del Cinema di Venezia. Pasolini era tra i contestatori, ma allo stesso tempo aveva un suo film in concorso, “Teorema”, e questo ha impressionato tutti. Quando glielo abbiamo fatto notare, lui ha risposto: “Certo, sono in contraddizione, ma io ci sto benissimo, è il mio genere”, e ci ha fatto ridere.

Com’è stata preparata la “composizione”?

L’ho immaginata, e ho scritto la musica sulle sue poesie friulane - dolcissime, piene di gioia, di amore per la vita, di tenerezza, di affetti - mettendole in contraddizione con altri scritti, fra cui le “Lettere luterane”, che invece son piene di critica, cattive, aspre, certamente non gentili verso l’umanità. Sul palco c’è un lettore, Enrico Frattaroli, il coro che lo interrompe continuamente con i canti, e io in mezzo - in un triangolo, è una scena a tre punte - racconto la vita privata di Pasolini, quello che faceva e diceva, ciò a cui si appassionava, come lo ricordano in paese. Ci abbiamo lavorato col Coro di Testaccio, quello che io chiamo “Favorito”, diretto da Patrizia Rotonda. Frattaroli a un certo punto ha detto: “Ma questo lo mettiamo proprio in scena” e ne ha fatto una bella regìa, così è nato lo spettacolo.

Quali sono le peculiarità del Coro Favorito della Scuola Popolare di Musica di Testaccio?

Non canta in scala temperata; quella che parte dal “do” - attraverso toni e semitoni - il mio coro non la rispetta, perché nel canto contadino non c’è, esistono altre scale, di toni scelti che a forza di ripeterli diventano i suoni di un motivo, di un tema. Questo fa una grande differenza. Ho scritto per loro le musiche, mettendo in conto che le avrebbero eseguite “alla contadina”, perché io insegno estetica del canto contadino. Ho passato la vita a ridare dignità a questa cultura, e il Coro è delizioso.

Ci sono altre diversità che caratterizzano questa musica?

Esiste da sempre, da prima di quella classica, ed è molto più legata al corpo, ha una scala naturale. La dimensione del suono è naturale, noi lo dividiamo in ottave e quinte - che sono intervalli giusti - sulle vibrazioni delle nostre ossa, e questo non corrisponde ai temperati, a quello che si decise nel 1750 per far entrare cinque ottave in un pianoforte, in una tastiera. Fu un accordo artificiale, infatti quei suoni bisogna impararseli a memoria, non puoi averli naturalmente. Naturalmente noi abbiamo delle dimensioni di suono diverse: l’ottava è più larga, la quinta molto di più, e cantiamo se c’è un intervallo aumentato; a seconda della sua posizione, lo aumentiamo di più o di meno.

Oltre a “lo scandalo della contraddizione”, per lei qual è il lascito pasoliniano più importante, oggi?

Secondo me il suo lavoro vive, ci lascia un’eredità nella ricerca costante. Su questo Pasolini ha sempre insistito, diceva: “non abbandoniamo mai l’esercizio dell’intelligenza”, della comparazione, della critica. Era il suo esempio, e lo hanno ucciso anche per questo, non poteva non riflettere e parlare, arrivava a dire cose che andavano male a tanta gente. Insomma, quello che è giusto è giusto, e lui lo seguiva. Non avrebbe taciuto mai, e per me questo lo ha portato alla morte come è successo a molta altra gente, non ultimo Ettore Majorana. Pasolini è stata una persona straordinaria, di una coerenza profonda, quella che in lui ho sempre apprezzato e ti fa dire: “Quando vengo a sapere cose che l’umanità deve conoscere, lo devo fare”.

Aggiornato il 17 giugno 2017 alle ore 16:18