Enzima Nox2, ne parla il prof. Francesco Violi

sabato 14 gennaio 2017


Identificato da un gruppo di ricercatori dell’Università “La Sapienza di Roma” un enzima chiamato Nox2, che favorisce l’arteriosclerosi e quindi l’occlusione dell’arteria carotide, causa di ictus. Il team, diretto dal professor Francesco Violi, Ordinario di Medicina Interna e direttore della Prima Clinica medica del Policlinico Umberto I di Roma, ha condotto anni di studi che hanno portato all’eccezionale scoperta. La formazione di una placca che ostruisce il passaggio del sangue impedendo di raggiungere i distretti di irrorazione periferica, il sistema nervoso centrale, è una condizione frequente soprattutto fra chi ha fattori di rischio, specie l’ipertensione, il diabete, il colesterolo alto, chi fuma e chi ha familiarità per malattie cerebrovascolari come l’ictus. Non c’è una differenza di età. Anche una persona giovane che ha il diabete deve fare il test, così come chi non ha fattori di rischio ma ha la familiarità per ictus. La ricerca è stata pubblicata su “Atherosclerosis Thrombosis Vascular Biology”, la rivista scientifica ufficiale dell’American Heart Association.

Studi durati cinque anni, da quando i ricercatori hanno esaminato pazienti affetti da carenza ereditaria dell’enzima Nox2, cioè della malattia granulomatosa cronica con deficit completo (che attacca i bambini maschi, in quanto legata al sesso). Successivamente le indagini sono state estese anche alle loro mamme (che hanno un deficit parziale con un’attività del 50 per cento di questo enzima). La raccolta dei dati è avvenuta nei centri italiani specializzati che studiano questa malattia - molto rara nei bambini (un caso su un milione di soggetti che vanno incontro continuamente a infezioni) - che hanno permesso ai ricercatori della Sapienza di Roma (nella foto) di studiarli, valutarne l’attività, la dilatazione delle arterie e poi lo spessore della carotide, l’arteria che va al cervello. Questi dati sono stati confermati da un gruppo di studiosi americani un anno dopo dalla scoperta dei ricercatori della Sapienza, attraverso la risonanza delle carotidi.

Si arriverà al farmaco professor Violi?

Sì, ma la cosa principale è mettere a punto il metodo che noi al Policlinico Umberto I abbiamo per individuare i soggetti che possono essere a rischio, per cui è ipotizzabile che quando l’enzima è molto attivato il rischio di placca è maggiore. Il secondo aspetto è il farmaco che penso troveremo nel giro di uno/due anni.

Che indagini si fanno per scongiurare la presenza di una placca?

Analisi del sangue e delle urine e un’ecografia. Poi si misura l’enzima e se questo è elevato dice che la placca può progredire di più rispetto a chi ha un enzima la cui attività non è molto alta.

Quando si deve operare una placca?

Quando è al 70 per cento di stenosi anche in assenza di segni clinici.

Chi ha un’ostruzione del 35/40 per cento può condurre una vita normale?

Normalissima, ma deve controllarsi spesso.

Una placca operata può riformarsi?

Certamente, dopo l’intervento di rimozione va tenuta sotto controllo.

Come si può prevenire la placca alla carotide, si può evitare?

Controllare la pressione e fare in modo che resti bassa, questo è il fattore di rischio principale. Poi cerchiamo di capire se si può intervenire farmacologicamente qualora l’enzima fosse aumentato, per ridurre l’attività. Non sappiamo ancora se altri strumenti possono essere efficaci: alcuni tipi di dieta, lo sport, il fumo, tutte cose che vedremo nel prossimo futuro.

Ci spieghi bene la faccenda dell’enzima.

L’enzima ce lo abbiamo tutti. Serve perché uccide i batteri, ma è presente anche nelle arterie. Era noto il suo effetto battericida perché è un enzima che produce radicali di ossigeno che servono per uccidere i batteri che con i virus provocano le infezioni, come la polmonite, le cistiti. Non avere l’enzima predisporrebbe ad infezioni gravissime. Quei bambini che abbiamo analizzato muoiono per banali infezioni. Le loro mamme sono invece portatrici sane (hanno un’attività ridotta del 50 per cento), quindi non vanno incontro a malattie infettive. In questo modo abbiamo potuto studiare due attività ridotte diverse, una totale e una parziale, però in tutti e due i casi rispetto al gruppo di controllo, questi soggetti avevano un minore inspessimento della carotide. L’originalità della ricerca è che noi siamo partiti da un enzima che serve per i leucociti, ma siccome c’è nelle arterie, siamo andati a studiare queste comprendendo che quando l’enzima è poco espresso c’è meno inspessimento della carotide. Questo sta ad indicare che l’enzima predispone ad un aumento dello spessore della carotide. L’enzima di solito ce l’abbiamo tutti. Ci sono persone che ce l’hanno di più e, fra questi, quelli che lo esprimono di più sono quelli più a rischio di arteriosclerosi carotidea. In questo senso, questa scoperta servirà come primo aspetto per mettere a punto un sistema diagnostico per cui si potrà attraverso un prelievo di sangue misurare la Nox2 che, se fosse elevata, presenterebbe un soggetto a rischio, che se avesse già una placca, sapremo quanto velocemente progredirà. Poi si penserà al farmaco.

Quando ha iniziato a studiare questo processo?

Quindici anni fa studiando le cellule del sangue. Volevo studiare l’effetto dell’enzima sulle piastrine. Poi ho pensato all’arteriosclerosi.

@vanessaseffer


di Vanessa Seffer