“Le cose belle” in un cofanetto

Due Dvd, un libro e un Cd nel cofanetto “Le cose belle”, distribuzione Istituto Luce: tutto è partito da un documentario dei registi Agostino Ferrente (già autore de “L’Orchestra di Piazza Vittorio”) e Giovanni Piperno, e dal primo ci facciamo spiegare l’operazione.

Un lavoro in varie tappe?

Il cofanetto in qualche modo riprende la filosofia del documentario, che si espande: per uscire ha impiegato un paio d’anni, che però rispetto ai quindici necessari per realizzare il film è proporzionato. Il primo Dvd, “Intervista a mia madre”, è l’antefatto dell’altro, “Le cose belle”, il quale è in una versione diversa da quella uscita in sala, con scene inedite girate dopo.

Com’è iniziato questo viaggio temporale?

Io e Giovanni Piperno avevamo girato a Bari il documentario “Il Film di Mario”, protagonista un ragazzone quarantenne guardiano di un presepe allestito nel corso principale. Nella sua Fiat 126 studiava per diventare attore e ballerino, ma siccome sognava di fare anche il regista, ha pensato che fossimo la troupe per realizzare il suo film: ne è nato un corto circuito che abbiamo assecondato, per raccontare lui. Il lavoro lo videro a Rai 3, dove in quel momento c’èra la messa in onda, in prima serata, una volta a settimana, di due documentari. Uno di questi fu affidato a noi due: ci chiesero un altro film, con lo stesso stile, sempre in una città del Meridione. La individuammo in Napoli, però con protagonisti dei bambini. Diedi loro la telecamera chiedendogli: “Come immagini il tuo futuro?”, e anche di interloquire con le proprie madri. Con i tempi molto contingentati, in tre mesi portammo a casa un “reportage” dove i ragazzini si raccontavano rispondendo alle nostra domande, ma principalmente interpellando le mamme, figure centrali delle famiglie. “Intervista a mia madre” fu un record, con il 9 per cento di share e due milioni di picco d’ascolti.

E poi, cos’è successo?

Ci è rimasto l’appetito di voler far meglio, io avevo l’ossessione di vedere com’era stato quel futuro. Quindi, complice una promessa di finanziamento (elargito a distanza di sei anni), dieci anni dopo siamo tornati a Napoli per girare il documentario, con il montaggio alternato di spezzoni del 1999 e del periodo che va dal 2009 al 2013. Stavolta abbiamo chiesto ai quattro protagonisti di non guardare in macchina, cercando un linguaggio più cinematografico, che richiedeva più tempo per tradurre in immagini la vita vissuta e far crescere gli eventi; li avevamo ritrovati che la loro vita sembrava quasi bloccata, e penso che il nostro intervento sia anche servito un po’ a riavviarla, esortandoli ad agire, per rendere il film anche più dinamico. Inoltre, la mancanza di produttori ha fatto sì che non ci fossero neanche scadenze di consegna, e quindi le riprese si sono dilungate. Infine, ci siamo presi l’ulteriore libertà di non considerare il lavoro definitivo perché, in attesa che fosse presentato nei festival, trovasse una distribuzione, uscisse in Dvd, ad ogni “step” c’è stata una versione aggiornata, con nuovi personaggi ed evoluzioni.

Il contributo degli scrittori?

Il volume “Parlami delle cose belle - storie di fiori tra le rovine”, curato da Christian Raimo, che mi ha commosso, include racconti originali di sedici autori. Spesso e volentieri, per usufruire di un regime agevolato di Iva, in un cofanetto con Dvd si include un testo - che poi è un foglietto, venduto con lo status di libro – contenente pressbook, rassegna stampa, note di regìa. Invece, Derive Approdi ha edito un vero libro di 160 pagine e foto a colori: con la crisi dell’editoria, un investimento fatto per amore. Nonostante un potenziale commerciale sicuramente inferiore alle spese, è un testo che usa il film per raccontare un po’ sia Napoli che l’Italia e il cinema. Gli autori sono stati scelti tra chi aveva già manifestato amore per il nostro film, ed è stato chiesto loro il perché. Ad esempio, Stefano Bises, autore della serie televisiva “Gomorra”, ha messo a confronto le persone reali, protagoniste del documentario, con i racconti di finzione tratti da storie vere, mentre Maurizio Braucci ha raccontato non solo il fenomeno della disoccupazione a Napoli, ma anche della inoccupabilità, spiegando per quale motivo, per come sono state realizzate le politiche del lavoro a Napoli - e forse nell’intero Sud - è anche impossibile trovare lavoro. Marco Bertozzi invece ci prende in giro, il titolo del suo contributo è “Del non finito”, e paragona il film ad un’opera teatrale dove la prima recita non è mai uguale all’ultima, perché a furia di rifarla scopri nuove cose, le reazioni del pubblico, e aggiungi pezzi.

Ci parla anche del disco, “Guaglione”?

È una chicca, prodotto da me e dal musicista, polistrumentista e autore di colonne sonore Valerio Vigliar. Raccoglie collaborazioni di una decina di artisti internazionali, di cui siamo orgogliosi, con interpretazioni inedite di Enzo Della Volpe, che è uno dei protagonisti de “Le cose belle”, estratti dal documentario, classici, neomelodici, musica più di “avanguardia” e un umile omaggio a Pino Daniele.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:36