Cannavacciuolo è “Yves Montand”

L’immortalità riguarda sia gli dei olimpici che quelli di origine umana, o semidei per l’appunto. “L’Arte”, per esempio, fa parte delle fonti e delle strutture antropologiche creatrici di miti. E li produce attraverso tutte le sue forme espressive, come la canzone popolare in particolare. In questo paradiso terreno deificato il personaggio Yves Montand ha un suo meritato posto nella storia. Quale, ce lo ricostruisce con consumata maestria Gennaro Cannavacciuolo, noto attore e cantante napoletano, nella sua brillante rappresentazione teatrale dal titolo “Yves Montand: un italiano a Parigi”, che va in scena al Teatro della Cometa di Roma fino al 19 marzo. Ivo Livi (in arte Yves Montand), nato nel 1921, era figlio di poveri immigrati e, al pari di moltissimi adolescenti nelle sue condizioni, per dare una mano alla famiglia si trovò a svolgere lavori umili come il manovale. Ma la condizione sociale non costituisce ostacolo per chi sa scindere i propri atomi e farne un inesauribile carburante emotivo interno, che ti conduce nell’orbita di altre stelle per formare pianeti a sé stanti, dove l’autore originale sperimenta e dà corpo solido alla materia ondulatoria dell’arte sua inafferrabile, ma che avverte presente in ogni luogo come la radiazione cosmica.

Quell’energia, che occorre a ogni costo liberare per avviare la reazione a catena del successo planetario, si chiama “talento”, per il quale semidei come Yves lavorano instancabilmente notte e giorno iniziando fin dall’età di 12 anni a esibirsi con la sua indimenticabile voce nei teatrini della periferia di Marsiglia, per giungere poi ancora molto giovane all’Olympia di Parigi e successivamente al Metropolitan di New York. Ciascuno di questi semidei ha una stella cometa che lo accompagna e lo annuncia alle immense platee che lo acclamano e ne reclamano la contaminazione: il suo “fascino”. Come quello delle donne della sua vita, che Cannavacciuolo si impegna a interpretare, tra un successo e l’altro del Montand showman. Édith Piaf, in primo luogo, che se lo trova dinnanzi nel 1950 avendone pretesa l’audizione e se ne innamora follemente per anni, fino alla rottura. Perché il “passerotto” (questo è il significato di Piaf in patois) ha becco d’aquila. Afferra i cuori, li porta oltre le nuvole, ma poi se ne nutre, li “déchire” (fare a brandelli) come ripete nelle sue struggenti canzoni, da “Milord” a “Ne me quitte pas” e soprattutto a “Non, je ne regrette rien”.

Poi, la stella cometa si posa leggera e incantata sulla bellissima personalità di Simone Signoret, con cui si sposa nel 1951 e alla quale resterà legato per 35 anni, ricevendo tra i regali di nozze un vaso dipinto da Picasso che verga la sua dedica epistolare con un “pennarello”, oggetto marziano per l’epoca!

E, poi, all’apice del successo, quella sua fedeltà a Simone che va in frantumi, sconvolta, ridotta in cenere dal fascino di Marilyn di cui si innamora perdutamente durante le riprese del film “Facciamo l’amore” (detto e fatto!) e che Cannavacciuolo insegue facendo spargere il suo profumo nella sala mentre si abbraccia a una coda di volpe bianca. Ma, l’amore che non passa, quello di Simone, così risponderà a una stampa affamata di scandali, “ebbene, ditemi: chi di voi saprebbe resistere al fascino di Marilyn?”. Poi quel fondamento ideologico (ereditato dal padre vero proletario), quello stato d’animo profondamente politico del comunista Yves, alla fine degli anni Cinquanta s’infrange come tempesta sullo scoglio durante il suo incontro riservato con Kruscev che lo investe con un inarrestabile sfogo contro i mostruosi delitti di Stalin. Alla domanda ovvia di Yves “E voi dov’eravate? Che cosa facevate?” la risposta disarmante di Kruscev: “Avevamo paura. Non sapevi entrando nell’ufficio di Stalin se ne saresti uscito vivo in quel momento o all’indomani”.

Con il comunismo Yves chiuse per sempre nel 1968, quando l’Armata Rossa represse in un bagno di sangue la rivoluzione di Praga. Rifiuto e rabbia sottolineate da una sontuosa, quasi violenta interpretazione in italiano di “Bella ciao!”. Rubo per voi soltanto la conclusione: una bellissima caduta di gigantesche foglie autunnali di mille fogge mentre in chiusura Cannavacciuolo interpreta “Les feuilles mortes”. Se non siete della “digital generation” (ma anche sì!), non potete perdervelo.

(*) Per info e biglietti: Teatro della Cometa

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:24