Maria Paiato, quattro parti di Gattopardo

A un anno di distanza, l’attrice Maria Paiato propone nuovamente la lettura in quattro serate del romanzo “Il Gattopardo”, stavolta a Roma (Casa Internazionale delle Donne, dal 25 al 28 Maggio), ed è l’occasione per incontrarla.

Come è venuta l’idea?

L’anno scorso, a Ferrara, in uno spazio gestito da Marco Sgarbi e Giulio Costa, che mi hanno coinvolta perché siamo molto amici. Era il centenario dalla nascita di Giorgio Bassani, il quale - oltre che grande scrittore - è stato “editor” per Feltrinelli, e ha voluto sfidare le altre grandi case editrici che non avevano creduto nel romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa; lui ha deciso di farlo pubblicare, ed è stato il successo che è stato, dal Premio Strega al film di Luchino Visconti. Abbiamo quindi celebrato Bassani, in questa sua carica, nei quattro sabati di giugno, ed è andata molto bene. In questo meraviglioso libro io e Giulio, che ha curato la regìa, siamo riusciti a vedere una qualità ironica lampante e raffinata, la scrittura è molto divertente. E poi parla di un momento storico che vede l’Italia che si unisce, ancora oggi ne stiamo facendo i bilanci.

Quest’opera contribuisce a definire l’identità del nostro Paese?

Lungo questo stivale succede e si vede di tutto, siamo una popolazione con aspetti diversissimi, ci sono tanti colori. Le considerazioni che Tomasi fa attraverso la voce del Principe di Salina, portando anche fatti oggettivi, trovo che siano molto attinenti e riscontrabili tutt’oggi. Il suo tratteggio della popolazione, intrisa di orgoglio, di grande fierezza, però ormai talmente sfiancata, abituata ad essere dominata da invasori di ogni tipo, che ha perso la voglia di fare, di combattere, è grande poesia.

Quali altre sue caratteristiche letterarie lei ha più apprezzato?

La costruzione del romanzo è bellissima, perché sposta i personaggi nei luoghi, c’è un arco degli avvenimenti molto felice, completo, pieno, e contiene dramma, politica, amore: ce n’è per tutti i gusti. La scrittura è altissima e molto generosa, perché si offre con la possibilità di goderne a tutti i livelli, chi è conoscitore del linguaggio ci scopre moltissimo, per chi invece ama solo il racconto c’è una grande storia d’amore e anche di un Paese, compreso il decadimento di una tradizione, racchiusa nel Principe di Salina. E la fine è un momento meraviglioso, commovente, nei confronti della morte non c’è paura, sgomento; il Principe ha sempre coltivato una grande passione per l’astronomia, il suo è un proiettarsi verso il futuro, un guardare anche all’Aldilà, fuori del contingente, volare lontano, quindi accoglie la sua morte non con dolore: tutto è stato compiuto, ed è accaduto nel modo più giusto. Nel suo delirio, lui immagina l’arrivo di una donna bella, elegante, sontuosa, che lo prenderà per mano, e io lo trovo toccante, poetico.

La scelta di suddividerlo in quattro parti, ognuna con una propria compiutezza e autonomia?

L’anno scorso, per aiutare le persone che magari perdevano una puntata, mandavamo anche in onda la registrazione della precedente. Il testo già è costruito in grandi blocchi, per cui non ne è stata fatta una cucitura che va contro il romanzo, Giulio lo ha ridotto con grande accortezza, semplicemente per far rientrare ogni appuntamento in poco più di un’ora. Essendo il libro concepito in capitoli compiuti, si può quindi godere della serata in sé, di ciò che si ascolta in quel momento. Poi, è un romanzo talmente entrato nell’immaginario che abbiamo più o meno presenti tutti i vari momenti, ciò che accade.

Dato anche il fiorire degli audiolibri, che ne pensa delle letture, della grande scritttura che passa attraverso un interprete?

Io le adoro, perché mi piace leggere, c’è un materiale infinito ed è anche qualcosa di utile: ci sono persone che per vari motivi non possono leggere, come è stato - due anni fa - per mia madre, all’ospedale. Trovo che sia un’operazione molto intelligente e giusta, mi piacerebbe farne di più, ho dei miei sogni.

In questo periodo, quali percorsi artistici sta intraprendendo?

A me, nella vita difficilmente gli eventi accadono perché li voglio, magari riesco a imprimere una direzione tra le proposte che mi arrivano, e in genere prediligo quelle differenti tra loro. Mi piace molto la drammaturgia contemporanea, l’anno scorso in “Due donne che ballano” di Josep Maria Benet, con la regìa di Veronica Cruciani, interpretavo il personaggio di una settantatreenne bello e divertente, poi mi hanno offerto “Play Strindberg” e l’ho acchiappato, perché comunque è di Friedrich Dürrenmatt e la possibilità di rincontrare Franco Però mi ha divertito molto; soprattutto, facevo un personaggio della mia età, mi sembrava giusto offrirmi al pubblico anche in questa veste, e all’interno di una scrittura così bella. Sono un po’ un’ingorda, mi piacciono tante cose, e anche il teatro è fatto di incontri; magari un testo che mi viene proposto in questo momento posso non sentirlo giusto, per poi dire invece, tra una decina d’anni: “Ecco, ora sono pronta”. Mi piace un teatro che abbia impegno e sostanza, ma questo vuol dir tutto e niente.

Aggiornato il 16 giugno 2017 alle ore 19:51