“Metro Manila”, film di dolore e povertà

Film del 2013, coproduzione tra Filippine e Regno Unito, l’opera di Sean Ellis, “Metro Manila” - insignito del Premio del pubblico al Sundance Film Festival - è arrivato, a distanza di quasi 4 anni, nelle sale italiane lo scorso 21 giugno, distribuito da Bunker Hill.

Una storia forse come tante. Una storia di dolore e povertà, ma anche di quella gioia spontanea, infantile, fatta di piccole cose. Oscar è un contadino di Banaue sposato con Mai, e padre di due bambine, una di 9 anni e una di soli pochi mesi. La vita è molto dura da quelle parti e nonostante Oscar si spacchi la schiena di lavoro, a fine giornata i denari non sono sufficienti neppure a sfamare la famiglia. È così che pieni di speranza e con un pugno di risparmi, Oscar e Mai decidono di andare a Manila, convinti che la grande metropoli possa offrir loro una vita più dignitosa. Ma l’impatto con la metropoli è peggiore di ogni previsione. Manila si dimostra ostile fin dall’inizio e la giovane coppia, povera e ingenua, si trova subito schiacciata da soprusi e corruzione. Trovare un lavoro dignitoso sembra una chimera. La famiglia Ramirez finisce così in una baraccopoli dell’ampia periferia.

Ma un giorno la fortuna sembra virare dalla loro parte e mentre Mai ha trovato un lavoro come intrattenitrice in un equivoco “bar”, Oscar viene reclutato per un impiego ben pagato come agente di sicurezza nei camion blindati porta valori. Un lavoro apparentemente semplice, ma molto più rischioso di quanto fosse possibile immaginare. Nei blindati si lavora in due, dovendo trasportare cassettine piene di denaro da una parte all’altra della città. Le cassettine hanno una chiave, allocata nel quartier generale della società, unico strumento che consente di aprire i box e prelevarne il denaro. Se forzate, sprigionano inchiostro che va a rovinarne il contenuto. Il collega e superiore di Oscar, Ong, è un impiegato di lungo corso. Ha perso diversi partner negli anni, rimasti uccisi in sparatorie successive a tentativi di rapina. Ong mostra da subito per lui grande simpatia, lo prende sotto la propria ala protettrice e lo aiuta con tutti i mezzi di cui dispone, dandogli anche un piccolo appartamento (con acqua corrente) dove vivere più dignitosamente.

Presto però anche Ong mostrerà i suoi lati oscuri e lo stesso Oscar, dopo aver appreso che nel suo alloggio è nascosta una cassettina piena di denaro, finirà risucchiato nel vortice dell’ambizione e della bramosia che lo porta alla rovina. Sean Ellis racconta una storia difficile, estremamente toccante (soprattutto per chi, come noi occidentali, non ha mai sperimentato realtà come quelle), interpretata da attori locali veramente notevoli capaci di sguardi profondi e fortemente comunicativi.

Si tratta di un film durissimo, che mette in scena una situazione in cui la vita umana non vale niente. Un film pieno di speranze e sogni infranti, desiderio di riscatto e ambizione di dare alla propria famiglia una vita migliore. A qualunque costo. Ma è anche un film che mostra la cruda realtà per cui, a qualsiasi latitudine, i soldi rappresentano spesso un mezzo con cui scambiare anche vite umane

Aggiornato il 24 giugno 2017 alle ore 14:54