“L’individualismo statalista”, il “credo” degli italiani

martedì 10 ottobre 2017


Il tema del libro di Giancristiano Desiderio (nella foto), “L’individualismo statalista” (Liberilibri, Macerata 2017, pp. 132, 15 euro), è gli italiani e il loro rapporto col potere statale, con particolare attenzione alla domanda “è il potere che corrompe gli italiani o sono gli italiani che corrompono il potere?”.

E Desiderio risponde che tale corruzione è in primo luogo morale, prima che economica, amministrativa o d’altro genere. Scrive l’autore: “La corruzione morale è una vera e propria ideologia che rende il potere statale inutile e invasivo. L’ideologia italiana ha un nome preciso: individualismo statalista... Tanto sono realisti e concreti, avveduti e pratici, furbi e accorti, interessati e scrupolosi nel governo della vita privata, quanto sono astratti e finti, superficiali e invidiosi, boriosi e risentiti, dottrinali e pelosi nel governo della vita pubblica. Nel governare individualmente se stessi sono bravi ma nel governo nazionale sono disastrosi”.

Questo perché “il rapporto tra gli italiani e lo Stato non si basa sul reciproco riconoscimento e sulla fiducia ma sul carnevale e sulla finzione”. Le ragioni sono tante: nascita dello Stato nazionale senza una piena legittimità (v. Ferrero); Stato rappresentativo e poi democratico senza alternanza (a differenza di altri grandi Stati, in particolare la Gran Bretagna); trasformismo degli intellettuali; ipocrisia, conformismo e culto del guicciardiniano “particulare”, conseguenza del quale sono partigianeria (nel senso di partito), lobbismo (e familismo).

Dallo Stato ci si aspetta ogni garanzia dei rischi, onde spesso se ne ipertrofizzano gli apparati; ma apparati posti al servizio di interessi particolari. Così “L’individualismo statalista è la vera religione degli italiani. Il cattolicesimo e il comunismo nel Novecento hanno toccato la corda più profonda e ingannatrice dell’anima italiana: l’illusione dell’esistenza di un’istituzione salvifica alla quale vendere l’anima in cambio della salvezza del corpo. Così la libertà è stata sacrificata sull’altare della sicurezza... nessun Dio, mortale o immortale che sia, può garantire la totale sicurezza”. Al contrario, “la cultura di uno Stato moderno esige il buon rapporto tra sicurezza e libertà ma gli italiani, che credono di essere sempre i più furbi, si sono illusi di conservare la libertà individuale chiedendo il massimo della sicurezza sociale senza rendersi conto, o fingendo di rendersi conto, che l’aumento dell’incerta sicurezza comporta la statizzazione della libertà e la cessione della sovranità: L’Italia è un paese a sovranità limitata non perché in luogo della vecchia lira c’è l’euro ma perché la cultura statalista ritiene che ci possa essere sovranità senza responsabilità. L’europeismo italiano è fatto della stessa pasta”. E la “religione civile” (di cui spesso parlano i tromboni di sinistra) ha come connotato essenziale che “gli italiani vogliono dipendere dalla politica e dallo Stato”.

A voler considerare il “succo” del saggio, che presenta tante – e interessanti - considerazioni e sfaccettature – è che agli italiani manca la virtù, nel senso di Machiavelli, ma anche di Montesquieu. Così la classe “dirigente” (si fa per dire) si aggrappa alla morale (dal buonismo alla politicall correctness, all’angelisme) per coprire la propria decadenza e quella della formula politica (la Repubblica “nata dalla resistenza”): ma manca della virtù. Quella che acutamente Montesquieu distingueva dalla virtù (e dalla morale) privata, al contrario di quel che fanno – spesso – gli italiani, e, sempre i nostri media.

E il pensatore francese ne faceva il principio necessario della democrazia. Un grande giurista come Ernst Forstshoff nel secolo scorso si chiedeva se tale giudizio di Montesquieu fosse ancora attuale. E scriveva che “La concezione di Montesquieu che la democrazia si basi sulla virtù è, dopo il 1919, di un’attualità finora incompresa”. In mancanza di sufficiente virtù e con estesi compiti dello Stato si “può evitare a lungo andare la intensificazione della coazione solo rafforzando la virtù” sia della classe dirigente che dei cittadini. Perché solo uno “Stato moderno sostenuto dalla virtù può essere uno Stato liberale”. Che è meno di quello che vediamo nella realtà della decadente repubblica: non solo non è liberale, ma non è neppure una reale democrazia politica. Come diceva Croce nel suo discorso contro il “Dettato di pace” e Orlando nell’altra (splendida) orazione contro lo stesso, l’acquiescenza alle imposizioni delle potenze vincitrici avrebbe fiaccato (ancor più) la tempra (anche etica) degli italiani. Cosa, come profetizzato dai due grandi patrioti, puntualmente accaduta.


di Teodoro Klitsche de la Grange