Le “Bestie” di Emma

Mettersi nella testa e nel corpo di una bestia. “Naked”, questo è il teatro oggi proposto da Emma Dante al Teatro Argentina (repliche fino al 22 ottobre), dal titolo eloquente di “Bestie in scena”. Muto e primitivo, com’è da sempre l’istinto animale dell’essere umano. Avvolto, e questo ci sembra il messaggio, in un diluvio di armonie che solo il silenzio dei passi sciolti e cadenzati riesce a nutrire e ascoltare. Timbri sonori e masse dinamiche. Branco e tendenza. Danze rupestri e guerriere che si alternano e si mescolano, senza mai rivolgersi ai riti della mietitura, all’uomo stanziale e poi urbanizzato. In un palcoscenico completamente spoglio, gesti e passi di danza sono scanditi da un pentagramma mentale, con piedi che si muovono come le mani di Beethoven su di una tastiera disegnata. Le braccia diventano rami e le dita foglie sottili. Per coprire i sessi nudi degli “Imbecilli” (cioè, gli attori-automa) in scena; per attrarsi, respingersi e combattersi in un gioco di coppie e di damine ruotanti stregate dal suono ripetuto e moltiplicato di sadici carillon.

Una volta denudati, i gruppi si muovono ora come greggi, ora come un sol uomo a passi lenti con un incedere timoroso del giorno come della notte. Solo il calore dei corpi li conforta. Talvolta accade che il branco si terrorizzi e i singoli individui fuggano in tutte le direzioni, abbandonando passi e danze coreografiche coordinate, con effetti ottici a sorpresa, improvvisi e carichi di energia autodistruttiva. Chi è l’Uomo? E chi è la Bestia? Ma, soprattutto, chi reca doni avvelenati facendoli scendere dall’alto o scagliandoli dal basso al centro della rappresentazione? Dio? Satana? Caronte o Virgilio? Forse tutte le cose assieme. E tutte transeunte. Non c’è mai un atto finale, ma continue morti e resurrezioni. Burattinai che fanno ruotare fino allo stremo le figurine intrise di dolore e di sudore, meravigliate, spaventate e indifese. Corpi di uomini che mostrano tutta la loro abilità circense che li aiuta a credere e sperimentare il loro istinto vitale. Flussi disperati di movimento per tenere lontana la Nera Dea e le sue bamboline di lutto, con le loro voci metalliche registrate il cui suono tramuta uomini e donne in manichini meccanici dai movimenti rigidi e sciocchi. Pinocchi perfino privi del loro inventore, perché Mastro Geppetto è un fato anonimo, che fa calare dall’alto manne e strumenti della provvidenza a proprio capriccio.

Come l’acqua incatenata, che disseta con un grande e unico bidone una fila ordinata di assetati, stremati dal brivido del movimento scatenato: quello della catarsi tra una morte interiore e l’espressione più viva della vita. Ovvero, il movimento fine a sé stesso. Oppure la tinozza, che raffredda gli umori dei palchi dei cervi che combattono per amore, perché uno prevalga e si riproduca, e l’altro emigri lontano alla ricerca di miglior fortuna e di un capobranco più debole di lui. La vita svuotata del progresso, senza parole per ingannare o supplicare, né penne di pavone da indossare. Poi, come il mistero dei tuoni e dei fulmini che terrorizzavano i Neanderthal, il fuoco della guerra umana, dove tutti sono relitti e derelitti e nessuno si salva dalla tragedia del non essere. Né i Cesari, né i soldati alla fine conquistano il senso della vita, che è un’arte già data dall’evoluzione di diecimila secoli. Come si vede, il Simbolico in questo spettacolo della Dante, si fa Dittatore e regola di ogni singola composizione e dinamica di movimento. Da vedere, studiare e capire.

(*) Per info e biglietti: Teatro di Roma

Aggiornato il 17 ottobre 2017 alle ore 10:15