“Copenaghen”: un trio da applausi

venerdì 27 ottobre 2017


Come siamo noi? Fatti di “indeterminazione”. Perché lo sono, per l’omonimo principio di Heisenberg, tutte le particelle di cui siamo costituiti, elettroni, atomi, quarks, etc.. Come gli venne quell’idea al geniale Werner? E che cosa comportò la sua scelta di rimanere nella Germania nazista per il resto del mondo di allora, come di oggi? Perché lui non ebbe nessuna vittima sulla coscienza, al contrario degli “uomini-bomba” di Los Alamos, rifugiatisi in America per motivi razziali, come Enrico Fermi, che aveva sposato una donna ebrea, Julius Robert Oppenheimer ebreo tedesco, e il suo grande maestro Niels Bohr di madre ebrea che aveva partecipato a partire dal 1943 al Progetto Manhattan. Sono loro eticamente responsabili delle centinaia di migliaia di morti di Hiroshima e Nagasaki. Lo spettacolo “Copenaghen”, in scena all’Argentina di Roma fino al 12 novembre, con l’interpretazione magistrale dei trio Orsini-Popolizio-Lojodice per la regia di Mauro Avogadro (curioso: ricordate la costante atomica omonima?), parla proprio dell’ultimo incontro tra i due grandi geni della fisica teorica moderna, mediato dalla moglie di Bohr, Margrethe.

Entrambi i protagonisti danno il nome alla Scuola di Copenaghen, in cui confluiscono i due pilastri della meccanica quantistica: il Principio di Indeterminazione (Heisemberg) e quello di Complementarità. In breve: il primo elimina per sempre l’illusione deterministica di Newton e Lagrange, che predicono con certezza il moto di un sistema classico date le condizioni di partenza: rimane vero per progettare una macchina, ma assolutamente falso per predire il comportamento di un insieme molto grande di particelle elementari. L’altro, dice che ogni particella ha caratteristiche duali di onda (radiazione) e corpuscolo (pallina solida), e non c’è verso di misurare “simultaneamente” queste due caratteristiche. Perché, durante un esperimento fisico si manifesta o l’una o l’altra. Così, malgrado che Einstein gridasse al sacrilegio contro l’Interpretazione probabilistica di Copenaghen, perché “Dio non gioca a dadi”, tutta la nostra conoscenza attuale parte dalla rinuncia al principio deterministico nella scienza, per arrivare al Dio della Probabilità che regola l’Universo e le sue creature cosmiche e microscopiche.

Margrethe aiuta con i suoi brillanti interventi di donna matura e appassionata antinazista (odiava Heisemberg per non aver lasciato la Germania hitleriana) a capire il vero significato etico e politico del confronto tra i due: lavagne giganti coprono interamente le tre pareti e una grafica di formule avvolge come una rete a strascico il sistema della rappresentazione. I tre si rivedono post mortem e iniziano a ricostruire il famoso incontro del 1941, con la Danimarca occupati dai nazisti. Che cosa davvero avvenne quella volta? Di che cosa parlarono i due grandi amici-rivali? È vero o no che Werner chiese a Niels notizie sui lavori di Fermi a Los Alamos? Quanto confessò al suo maestro di come stessero andando analoghe ricerche sulla fissione dell’atomo da lui condotte nella Germania nazista? Perché Heisemberg sbagliò clamorosamente i calcoli di diffusione per la stima della massa critica? E che cosa raccontò al Ministro della Guerra di Hitler, Speer, a proposito del carburante di uranio necessario al funzionamento del primo rudimentale reattore tedesco? Werner fece o no in modo che Berlino non avesse la sua bomba atomica, per lanciarla su di una grande capitale europea? La risposta la troverete soltanto al centro esatto di quella loro disputa.

(*) Per info e biglietti: Teatro di Roma


di Maurizio Bonanni