Webb prova a fare “Il laureato” a New York

mercoledì 1 novembre 2017


Tom, get your plane right on time, I know your part'll go fine fly down to Mexico, do-n-do-d-do-n-do and here I am, the only living boy in New York”.

Questa moda di costruire le trame e dare i nomi ai protagonisti dei film partendo da note canzoni come l’omonima e indimenticabile di Simon & Garfunkel (“The only living boy in New York”) può essere in certi casi considerata una scorciatoia verso il successo. Quantomeno uno specchietto per le allodole.

Forse però, benché la cosa sia stata così concepita e costruita scientificamente anche nel caso del film di Marc Webb presentato alla Festa del cinema di Roma, per una volta si può perdonare la furbata. Magari anche perché nel caso in questione la trovata è riuscita.

Tom, il figlio di un editore, è alla continua ricerca di se stesso. Sognando un’agnizione sulla propria vita e su quella dei suoi genitori: un padre di successo con un’amante giovane che poi avrà un flirt anche con lui, e una madre costantemente depressa. Più una quasi fidanzata di colore che lavora in una libreria alla moda di New York e che tanto assomiglia a una Angela Davis della porta accanto. Insomma, un bel film su New York, costruito con un colonna sonora fatta di “A whiter shade of pale”, Lou Reed, e naturalmente l’attesa canzone di Simon & Garfunkel. Una New York che forse esiste solo nei film di Woody Allen, dove sono tutti ricchi, famosi e... falsi.

L’ambiente è quello rassicurante e inarrivabile delle grande case editrici. Tom incontra per caso questo vicino di casa apparentemente invadente che diventerà il suo consigliere. Alla fine nulla è veramente come appare: la madre non è depressa, il padre non è quello vero anche se fa tutto per lui, il vicino non è lì per caso, e Tom è meno ingenuo di quel che pensa lui e di quello che gli altri pensano di lui.

E anche la fidanzata di colore non cadrà tra le sue braccia proprio quando si deciderebbe a farlo e capisce invece che non desidererebbe altro. Tom è diventato come tutti gli altri, cioè come il padre, la madre e l’amante del padre (e anche quello della madre): un ipocrita arrivista. E, stranamente, anche nella New York democratica di Barack Obama e Woody Allen alla fine sarà una nera a rimetterci. Forse una svista del regista che ha approfittato di uno stereotipo per dare un po’ di agrodolce a uno scontato lieto fine? Vallo a sapere.

Il film, comunque, merita. Adesso aspettiamo il sequel, magari con una trama basata su “Bridge over troubled water”. Non dovrebbe essere difficile a Webb e al suo team di sceneggiatori trovare qualcosa di appropriato. Per vestire la trama e dare un pretesto ai  fan nostalgici dei vari “Concert in Central Park” di correre di nuovo al cinema per attendere la canzone di Simon & Garfunkel all’interno della colonna sonora.


di Rocco Schiavone