“Perché nella notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino”.

Gianrico Carofiglio, per il suo ultimo romanzo edito da Einaudi, omaggia Francis Scott Fitzgerald. Che cos’è una separazione vista con gli occhi di un bambino e, poi, di un adolescente quando è del tutto assente una narrazione, una spiegazione coerente dell’assenza dell’uno e della presenza dell’altra? Semplice: si cresce con in testa le idee sbagliate e si risponde in modo errato alla domanda fondamentale: “Di chi è la colpa?”. Non conoscere nulla della storia d’amore dei propri genitori vuol dire non sapersi spiegare quella loro improvvisa separazione. Il colpevole è sempre chi è assente. Il padre, in questo caso. Una professoressa di materie umanistiche, lei. Lui, invece, un noto professore universitario di matematica, disciplina intesa come “una difesa dalla paura, un rimedio al caos e un modo per addomesticarlo”. Quand’è che si comincia a capire? Invecchiando, forse. Oppure, come nel romanzo (verità) passando con il proprio padre le 48 ore più intense, drammatiche e cariche di stupore, ammirazione e di vero amore riscoperto.

Due giorni senza mai dormire. Dove accade l’impensabile, in attesa di una sentenza che vale una vita intera. Poi, quegli eventi tornano, impetuosi come un vento rovente del Sahara che azzanna i ricordi ed evoca  miraggi che, però, si reificano in paesaggi concreti, come quella di un urbano antico (la città vecchia di Marsiglia) fitto di viuzze malfamate, localini equivoci, bistrot esotici dove si acquista di tutto, senza che nulla sia in mostra. Un figlio che a cinquantuno anni, la stessa età che aveva suo padre quando lo lasciò per sempre, ritraccia in un racconto scritto, come un solco d’aratro sulla terra riarsa,  tutto ciò che accadde allora, nei lontani anni Ottanta del secolo scorso. Partendo dall’infanzia, dalle scuole elementari quando “l’Alieno” che era in lui si manifestò in tutta la sua potenza. Un’improvvisa, sensazionale e devastante iperbole sensoriale in grado di superare le relative soglie di tolleranza del rumore, che l’evoluzione ha costruito e adattato nel tempo. Suoni normalmente impercettibili perché flebili o confusi tra altri centinaia sono anormalmente amplificati e analizzati da una mente stordita dall’invasione aliena.

Così si materializzano lunghi anni di isolamento, depressione e straniamento in cui è vietato partecipare ai giochi con altri coetanei, bere bevande gassate e molto altro. Divieti atroci per un bambino e poi per un adolescente. Finché si materializza suo padre per accompagnarlo da un (vero!) famoso luminare neurologo, Henry Gastaud di Marsiglia. Si chiama epilessia questa iperpercezione che sfinisce, fa svenire e arriva in tenera età quando la socializzazione con i compagni di classe rappresenta l’intero universo di riferimento dell’età infantile. E poiché, dopo anni di cure, la prova del nove (oggi proibita) dell’avvenuta guarigione è lo “scatenamento con la privazione di sonno” per quarantotto ore, padre e figlio decidono di affrontarla insieme, scoprendo di tutto. Di loro due, di quanto siano simili, uniti, saldi in un affetto profondo mai reso intelligibile alla ragione. Scoprire le complicità assolute e più intime con un genitore che si credeva perduto e assente, è un po’ come rinascere a nuova vita, facendosi aiutare a vedere il mondo con i suoi occhi.

Lettura vivamente consigliata.

Aggiornato il 23 novembre 2017 alle ore 18:26