“Pouilles”, uno struggente viaggio nel tempo all’India

Il teatro? Una perfetta macchina del tempo. I “Sei Personaggi” pirandelliani rievocano se stessi prendendo forma da sbiadite fotografie di fine XIX e di inizio XX secolo. All’improvviso, la dimensione piana si corruga, impegna con il suo volume e i suoi corpi eterei la dimensione superiore; dai due ai tre, dieci, mille e più assi cartesiani. Quelli interminabili delle risalite progressive lungo l’immenso albero genealogico che da uno, tornando indietro nel tempo, si moltiplica fino a contare miliardi, moltitudini innumerabili. Vivi per molto o per poco. In base al loro destino. Uccisi dal tifo, da malattie oscure, da parti malriusciti, da mani maldestre nelle cure mediche, o dalle guerre. Come la Grande Guerra del 1914-18. Ma per mille, centomila che muoiono in quel giorno infausto di Caporetto, quattro giovani ufficiali si salvano, avendo avuto una brevissima licenza per salutare il genetliaco del patriarca. Tutto inizia dal punto di confluenza di questo interminabile flusso di anime beate: il cimitero. Quello della Taranto moderna, irriconoscibile ai suoi avi, matrigna e assassina del suo demos.

Una tomba di famiglia un po’ malmessa. Un albero genealogico da ricostruire. Amedeo Fago, autore, ideatore e regista della pièce autobiografica “Pouilles - Le ceneri di Taranto”, in scena al Teatro India fino a domani, ci porta nel suo studio spartano intento a ricomporre con pazienza i pezzi di un’abbondante teiera bianca di porcellana, mentre sullo schermo gigante nello sfondo si svolge il docufilm parallelo, con protagonista se stesso. Lui, uno dei tanti viaggiatori in uno spazio-tempo lento e struggente, tessuto pazientemente attraverso gli archivi di famiglia e riesumato da grandi bauli conservati in soffitte e cantine, contenenti foto, vestiario d’epoca, documenti autografi vergati con raffinata eleganza da mani femminili e maschili. Come disegni rapidi, luminosi e baluginanti di fuochi d’artificio alti nel cielo, così le vite dei personaggi adulti e bambini, che appaiono nella trama dei racconti di famiglia distanti un secolo, risplendono per pochi attimi per rientrare rapidamente nel loro nulla dopo essere stati appena evocati. Ma non crediate che sia solo ricognizione, storia o nostalgia. Sbagliereste. Perché Fago ha una sua precisa idea di macchina del tempo.

Lui, nato settantatré anni fa da un padre che ne aveva oltre sessanta ed era figlio quindi del secolo romantico, quando l’onore e servire la Patria era tutt’uno con l’esistenza stessa. Anche se per una Nazione appena fatta, che a stento stava in piedi, trovarsi catapultata nel primo, devastante conflitto mondiale significava sottoporsi a un battesimo terribile di vedove, orfani e invalidi per milioni di unità sofferenti, le cui ferite non si sarebbero mai più rimarginate. Fago lavora sull’onda lunga di un sentimento, di un rapporto padre-figlio che transita attraverso la magia dell’inversione del quoziente d’età. Il Teatro “Stargate” fa arrivare sul palcoscenico, di fronte al figlio anziano, un padre giovane e aitante cui verrà svelato da chi ancora deve nascere quale sarà il suo futuro, ricevendo una ragione pre-postuma per ciò che gli accadrà. Lui, il padre, strappato dalla sua fotografia di gruppo dov’era collocato assieme a fratelli e sorelle, al padre e alla madre. Costretto a transitare per una finestra temporale attraente come un desiderio irrefrenabile, ma con i cardini immaginari troppo oliati per restare aperta a lungo. Un racconto emozionante e struggente del tempo che passa.

(*) Per info, prenotazioni e biglietti: Teatro India

Aggiornato il 10 febbraio 2018 alle ore 08:15