“Parenti serpenti”, la purezza del cinismo all’Eliseo

Famiglia infame! Ovvero, una sottile guerra di facciate perbeniste tra figli e genitori. Protagonisti dieci “Pupi” pirandelliani: i due capostipiti, lei la moglie Trieste (Giorgia Trasselli) e lui il marito Saverio (Lello Arena) anziani e soli che accolgono nella loro casa di Sulmona i loro quattro figli e due dei loro consorti, dato che uno dei maschi, Alfredo, è single e un’altra (Milena) impersona la vedova sterile e per questo profondamente depressa.

Il racconto di questa famiglia particolare, dal titolo “Parenti Serpenti” di Carmine Amoroso, diretto da Luciano Melchionna, dramma-farsa con sorpresa finale, va in scena al Teatro Eliseo di Roma fino al 18 marzo. Che cosa aggiunge l’omonimo spettacolo dal vivo di Lello Arena all’esilarante film di Mario Monicelli dell’ormai lontano 1992? Sostanzialmente una rivitalizzazione dei contenuti a proposito dell’implosione della famiglia moderna, in cui i figli, single o sposati con prole, non sanno più provvedere all’accudimento dei propri genitori anziani. Questa ghettizzazione della vecchiaia è dovuta al fatto che la sua sofferenza e i suoi bisogni affettivi non hanno diritto di cittadinanza in una società della fitness, dove solo chi si mantiene giovane e autonomo anche a tarda età appare come soggetto-oggetto commerciale nei media e nella pubblicità.

Solo l’interesse, l’eredità dei beni materiali trova attenta accoglienza nelle discussioni tra figli e parenti acquisiti quando litigano tra di loro, chiedendosi: “Dove li collochiamo i nonni?”. Ovviamente, la soluzione preferita per tutti costoro è l’ospizio (e i suoi succedanei moderni), con la scusa della mancanza di spazi, dell’impossibilità di rinunciare alla privacy e al segreto inconfessabile relativo, come quello del più giovane dei figli maschi, omosessuale e convivente da più di dieci anni con un compagno. Molto interessante è la posizione di Saverio, che ha solo apparentemente scompensi di memoria, accorgendosi benissimo in realtà di quanto degradate e false siano le relazioni tra i suoi figli naturali e acquisiti. Così, nelle parti più acute del conflitto la mole di Arena, la sua recitazione stentorea, il suo passo lento e affaticato diluiscono di sano umorismo, alleggerendole, situazioni che, altrimenti, avrebbero generato qualche reazione violenta in più. Ai figli non basta che i due anziani, pur di essere accolti, siano disposti a sacrificare tutto ciò che hanno, come la casa e una parte della pensione da carabiniere di lui.

Del resto, quanto affetto reale ricevono quei milioni di pensionati che con il loro reddito mantengono figli e nipoti, costretti dove va bene a mille lavoretti precari o, dove va male, a una disoccupazione senza speranza per mancanza di lavoro, soprattutto in quelle aree del Paese dove intere famiglie vivono sotto il livello di povertà? Poi, certo, ci sono questioni etiche, per così dire, che riguardano il folklore esistenziale, come le relazioni clandestine tra cognati, vuoi perché intrinsecamente fedifraghi, vuoi in quanto condannati a vivere come fratello e sorella con i propri consorti, una volta che attrazione e desiderio sessuale siano rimasti vittime di un quotidiano pallido, senza umori né arterie pulsanti. Poi, c’è anche lei, la Mater, Trieste, che preferisce sempre non vedere e non sentire pur vivendo con passione inespressa e tormentata il dramma dei figli che, come al solito, conosce assai meglio del marito Saverio, tenuto costantemente all’oscuro dei fatti. Ed è lei che, da brava chioccia, tesse ancora con un filo sempre più stanco, sottile e frastagliato l’aspirazione a stare tutti assieme, sobbarcandosi la solita, enorme fatica di preparare cenone e pranzo natalizio per tutti. Un bel richiamo al conflitto generazionale senza più compensazioni.

(*) Per info, biglietti e prenotazioni: Teatro Eliseo

Aggiornato il 09 marzo 2018 alle ore 08:01