Scent of a woman in versione teatrale

Perdersi tra Al Pacino, Vittorio Gassman e Massimo Venturiello. Quest’ultimo felice interprete e regista dello spettacolo “Profumo di Donna”, in scena al Teatro della Cometa di Roma fino al 25 marzo.

Sarete curiosi di sapere, come tifosi da stadio, se veramente “c’è stata partita” tra l’ultimo e i primi due. Sì, assolutamente. Un po’ perché con un’ottima compagnia come quella di Venturiello tra cinema e spettacolo dal vivo vince sempre quest’ultimo, con notevole distacco. Impressione che abbiamo già evidenziato in precedenza, in occasione della rappresentazione de “Il nome della Rosa” andato in scena poco tempo fa all’Argentina di Roma.

Che cosa rappresenta, quindi, il valore aggiunto dell’attuale riduzione teatrale? L’intensità del coinvolgimento, innanzitutto. Privato del contorno sontuoso del set cinematografico, con i suoi arredi, i gli interni-esterni raffinati ed elaborati, la storia emerge viva, calda e umanissima nei pochi metri quadrati di un piccolo palcoscenico, in cui gli attori (la prostituta e la simpatica “burbetta”, soldatino da caserma inviato allo sbaraglio nelle fauci del lupo non vedente) sono costretti per mancanza di spazi ad andare a sedersi proprio sul bordo esterno della scena, utilizzando così appieno il fascino della. Quarta Parete.

La grande abilità di Venturiello nel muoversi senza rete tra spazi angusti dimenando senza sosta come una frusta il suo bastone con pomello d’argento lavorato, fa sì che ogni gesto simile non venga ignorato come un semplice dettaglio, bensì vissuto e accompagnato da un certo pathos.

Poi, l’intensità e le tonalità delle voci: l’irritazione della burbetta, di cui è impossibile non condividere la ribellione; il piacere di seguire i moti dell’intelligenza luciferina del sadico capitano, di cui però capiamo benissimo, fin dall’inizio, la sua umanità violata, il senso immane di impotenza di chi è stato forte e coraggioso. Immediatamente ci si accorge del potere del suo “terzo occhio” che sa scrutare oltre la vista nutrendosi di “visione”, di percezione interna dello stato delle cose e dell’anima altrui, come quella fragilissima, ingenua ed estremamente buona del suo tenero attendente.

La scelta perfetta di un soldatino un po’ rotondetto, che si torce le mani emozionato dinnanzi a un superiore prepotente, tradito per telefono da una fidanzata bugiarda che il capitano già dal primissimo “sguardo” nell’anima del suo attendente, ascoltandone soltanto una impercettibile sfumatura mentre gli parla della sua “fidanzata”, definisce per ciò che poi si rivelerà vero: “una puttana!”.

Struggente è l’intera messa in scena, con l’ufficiale che si alcolizza per anestetizzare il suo dolore e sfida il mondo dei “normali” (che per lui è soltanto un buio inconsolabile) nel modo che solo un eroe mancato potrebbe fare: scacciando brutalmente il soldatino e tutti coloro che amorevolmente lo assistono e assumendo sempre maggiori dosi di whisky invecchiato di 25 anni, nella speranza di un collasso irrecuperabile.

Molto penetrante è poi la compenetrazione progressiva tra superiore e subordinato, con la creazione di una dualità che alla fine si intuisce avere una densità affettiva fuori dell’ordinario e al di sopra delle righe. Come l’amore folle e incondizionato di una ragazza adolescente, figlia di carissimi amici di famiglia, che si innamora perdutamente del suo affascinantissimo invalido, che si veste da dandy come nessun ricco snob potrebbe mai fare. Fino all’epilogo del dramma.

Aggiornato il 16 marzo 2018 alle ore 08:04